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Il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho è uomo di parole assai misurate. Per questo la scelta che ne fa, in questa occasione, è assai importante. "I mafiosi non possono tornare a casa. E' impensabile fare uscire detenuti al 41 bis per l'emergenza Coronavirus. Bisogna curarli, assicurare loro tutte le protezioni. Ma rimandarli nelle loro abitazioni, seppur agli arresti, significa riconsegnare un pezzo di Paese alla criminalità organizzata. E, dunque, alla disperazione. Alla povertà. Far tornare i mafiosi a casa non significa aprire soltanto un'emergenza criminale. Ma accendere una bomba sociale. Economica".

Procuratore, ancora in queste ore un boss della 'ndrangheta è stato messo ai domiciliari. Il problema del sovraffollamento delle carceri è una questione sempre più pressante.
"E' importante analizzare con attenzione le cose. E' evidente che lo Stato ha il dovere di proteggere tutti i cittadini, a maggior ragione i detenuti che sono sotto la sua responsabilità diretta. La scarcerazione dei condannati al 41 bis va però in direzione opposta: primo perché sono contro una strategia del contrasto alle mafie. Ma poi va anche contro la stessa struttura carceraria: un detenuto in regime speciale di detenzione al 41 bis è, per definizione, in isolamento. Dunque, più protetto rispetto al diffondersi del virus rispetto a qualsiasi altra persona. Farlo uscire significa dare un segnale di debolezza che non possiamo permetterci".

Perché debolezza?
"Le ragioni sono tante. Pensare che un'epidemia, seppur gravissima come quella del Coronavirus, possa produrre effetti sulla detenzione di mafiosi e terroristi sarebbe come ammettere di non saper gestire le carceri. E questo non è vero. Ci sono tutte le strutture, le professionalità, per assicurare ai detenuti al 41 bis tutta la sicurezza sanitaria necessaria. E anche psicologica: è giustissimo, per esempio, aver concesso il doppio colloquio telefonico. In ogni caso se anche in alcune strutture i mafiosi e i terroristi corressero rischi in tema di contagio, bisognerebbe lavorare e investire sui presidi sanitari e su tutto quello che è necessario per mettere quelle carceri in sicurezza. La risposta non può essere la scarcerazione".

Perché dice che la questione non è soltanto criminale?
"I mafiosi sono tali perché attentano alla nostra democrazia e alle nostre istituzioni. Fare ritornare un capo mandamento a casa, come è accaduto, ha un significato quasi di resa agli occhi dell'opinione pubblica, è qualcosa di deflagrante. Per i mafiosi andare ai domiciliari è come essere liberi. Rientrati a casa sono in grado di riprendersi quello che lo Stato con grande fatica era riuscito loro a togliere: potere economico, considerazione sociale. Riattiverebbero in un attimo tutti quei traffici criminali che il lavoro delle forze di polizia, della magistratura, aveva interrotto".

Lei aveva denunciato proprio sulle pagine di Repubblica il rischio che la crisi sanitaria si trasformasse in una crisi criminale, in particolare al Sud.
"E purtroppo ne sono sempre più convinto perché quelli sono i segnali che ci arrivano dal territorio. L'impatto economico delle chiusure è stato devastante soprattutto su quelle fasce sociali che non ha impieghi stabili. E nemmeno regolari. Le mafie hanno fatto le proprie fortune come agenzie di servizi, investendo sulle mancanze dello Stato. E lo stanno facendo anche ora: distribuiscono la spesa, investono la loro grandissima liquidità nelle attività imprenditoriali e commerciali in difficoltà".