Torino — Oltre duecento esposti in nove giorni. Ventitré denunce ogni 24 ore. Firmate da operai, tecnici, saldatori, manutentori delle ferrovie residenti o operativi in Piemonte. Episodi circostanziati, frammenti di verità. Ricordi che risalgono a giorni, settimane e mesi fa. Le morti dei cinque operai travolti da un treno alla stazione di Brandizzo sembrano aver squarciato un velo di omertà e di paura.

PUBBLICITÀ

Dal 30 agosto a ieri oltre duecento persone hanno denunciato fatti e procedure rischiose che gli inquirenti, in queste ore, stanno vagliando. Gli esposti, molto spesso, sono stati mandati ai sindacalisti, altre volte sono arrivati alla procura di Ivrea, guidata da Gabriella Viglione. Gran parte delle segnalazioni riguarda il lavoro effettuato sui binari senza che fosse arrivata l’autorizzazione a procedere. Lavoro frettoloso, approssimativo, a volte abusivo. Altre denunce invece svelerebbero l’assenza di titoli per potere operare: ragazzi senza qualifica impiegati sui binari a spalare. Giovani inesperti messi a saldare. Operai esposti ai rischi senza protezioni. C’è chi vuole segnalare l’assenza di superiori o atteggiamenti che contribuirebbero a rendere l’attività insicura. Capi squadra o tecnici di Rfi che si sarebbero assentati dal luogo in cui avrebbero dovuto essere operativi. O che avrebbero dato l’ordine di eseguire operazioni a rischio, senza garanzie. Proprio come sarebbe successo a Kevin LaganàGiuseppe AversaChristian ZaneraGiuseppe SorvilloSaverio Giuseppe Lombardo.

Esclusiva Repubblica - Strage di Brandizzo, il video del treno che ha travolto gli operai

L’impressione che emerge dai racconti che gli operai (ed ex) colleghi delle vittime hanno riferito ai giornalisti ma anche alla procura, è che morire o salvarsi, a volte, sia stata questione di attimi. Pura fatalità. Come è accaduto ad Andrea Gibin, il caposquadra sopravvissuto, ora indagato per il disastro insieme all’altro superstite, Antonio Massa, la scorta di Rfi. Gibin si è salvato per caso, grazie a un martello.

«Ero anche io su quel binario con i ragazzi. Uno di loro mi ha chiesto un martello — ha raccontato agli amici più stretti subito dopo la tragedia — così mi sono spostato leggermente. Il martello era proprio a fianco al binario: per prenderlo ho alzato la testa. Ho visto la luce del treno e mi sono buttato di lato. Solo per questo io sono ancora vivo». «Ma quei cinque ragazzi non dovevano morire così» ha poi continuato a ripetere sconsolato Gibin, che, assistito dall’avvocato Massimo Mussato, non è ancora stato interrogato dai magistrati.

Ai due indagati è stato notificato ieri l’avviso di un accertamento tecnico irripetibile: un esperto informatico tenterà di estrapolare le “sim” e le memorie di chat e telefonate in due cellulari delle vittime, quelli di Giuseppe Aversa e di Giuseppe Lombardo. Seppur mal ridotti per l’impatto con il treno, potrebbero ancora rivelarsi utili alle indagini.

Brandizzo, gli operai al lavoro poco prima di essere travolti. La voce fuori campo: "Quando dico 'treno' vi spostate"

Si analizzerà anche il contenuto dei due tablet in dotazione ai macchinisti del treno, quelli che contengono tutte le informazioni da loro ricevute durante il percorso, in particolare nella fascia oraria in cui hanno attraversato la stazione di Brandizzo. «Avevamo il semaforo verde — avevano subito dichiarato i conducenti — non ci erano stati segnalati lavori su quella linea». La verifica servirà ad appurare anche questo.

Riscontri si cercano anche alle dichiarazioni shock rilasciate da alcuni operai. Ieri è stato ascoltato Francisco Martinez, il dipendente che aveva rischiato anche lui la vita sui binari. Si era salvato per un soffio, quattro mesi fa a Chivasso, perché un collega lo aveva tirato via all’ultimo per la maglia. «Altrimenti non sarei qua».