domenica 31 maggio 2020

                                                                            MAFIE

'NDRANGHETA

Il boss Graviano interrompe l’interrogatorio al processo ‘Ndrangheta stragista: “Motivo? Non ci permettono di approfondire alcuni temi”

Il boss Graviano interrompe l’interrogatorio al processo ‘Ndrangheta stragista: “Motivo? Non ci permettono di approfondire alcuni temi”
Il capo mafia di Brancaccio ha deciso di smettere di rispondere alle domande del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, lo stesso pm a cui in aula - dopo 26 anni di silenzio - aveva raccontato i rapporti della sua famiglia con Silvio Berlusconi. La spiegazione dalle parole del suo avvocato: "Avremmo voluto parlare dei rapporti di Contorno con alcuni imprenditori. Non ci è stata data la possibilità di poter andare ad accertare e integrare questi argomenti, la motivazione è questa: non c’è la possibilità di riscontrare le dichiarazioni del Graviano"
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Il boss Giuseppe Graviano ha deciso che non completerà l’interrogatorio iniziato nei mesi scorsi davanti alla Corte d’Assise di Reggio Calabria dove si sta celebrando il processo “’Ndrangheta stragista” in cui è imputato, assieme a Rocco Santo Filippone, come mandate dell’agguato in cui morirono due carabinieri nel gennaio 1994. Al termine dell’udienza dedicata alla testimonianza del pentito Diego Zappia e agli sgoccioli dell’istruttoria dibattimentale, che si concluderà nelle prossime settimane, il colpo di scena lo ha servito l’avvocato Giuseppe Aloisio, difensore del boss di Brancaccio detto “Madre Natura”.
“Volevo manifestare – dice in aula l’avvocato – la volontà di Graviano di rinunciare all’esame. Questa rinuncia è anche motivata. Ovviamente non vi è il timore di rispondere e lo ha dimostrato rispondendo a quelle che possono essere le domande della Corte, dell’ufficio (di Procura, ndr), ma anche dei colleghi. Vi è la consapevolezza che quelle dichiarazioni resteranno prive di riscontro”. E così, dopo molte settimane in cui Graviano, per poter continuare l’interrogatorio, ha chiesto più volte di ascoltare l’audio delle intercettazioni con il compagno d’ora d’aria Umberto Adinolfi, da oggi ha deciso di tornare al silenzio che ha caratterizzato i suoi 26 anni di carcere.

Eppure, nelle udienze di gennaio e febbraio, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, il boss aveva anticipato rivelazioni sconvolgenti: “Vi dirò dov’è l’agenda rossa di Borsellino e chi ha fatto l’attentato al poliziotto Agostino e la moglie”. Ma non solo: prima aveva parlato genericamente di “imprenditori del Nord” e poi ha fatto il nome di Berlusconi che avrebbe incontrato tre volte a Milano mentre era latitante: “Negli anni ’70 mio nonno aveva messo i soldi nell’edilizia al Nord. Il contatto è col signor Berlusconi, glielo dico subito”.
E ancora: “Vada ad indagare sul mio arresto e sull’arresto di mio fratello Filippo – aveva detto sempre al pm Lombardo – e scoprirà i veri mandanti delle stragi”. Tutto, in sostanza, lasciava intendere non solo che Graviano con quelle frasi stesse lanciando precisi messaggi all’esterno, ma anche che volesse continuare a parlare su una delle stagioni più buie dello Stato italiano. Chi sa il linguaggio mafioso, però, ha compreso subito che, sin dall’inizio della sua deposizione, l’intenzione del boss di Brancaccio non è stata mai quella di collaborare con la magistratura. Anzi, alla domanda postagli a gennaio dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo (“Lei ci vuole dire oggi chi sono i responsabili delle stragi?”), “Madre natura” ha precisato: “Io non faccio l’investigatore”.

Tornando all’udienza di oggi, quindi, l’attesa per le nuove dichiarazioni di Graviano rimarrà tale. Il perché lo si deve interpretare dalle motivazioni che l’avvocato Aloisio ha fornito al presidente della Corte d’Assise Ornella Pastore: “Durante il corso dell’esame dovevano essere affrontati alcuni argomenti che comunque andavano anche in linea a quella che è l’ipotesi accusatoria – dice l’avvocato – L’obiettivo era quello di chiarire i rapporti tra alcuni soggetti, ma anche del Graviano stesso, con alcuni imprenditori. Ma vi era anche la volontà di andare a integrare quella che poteva essere la linea dell’ufficio (di Procura, ndr) per dare maggiore ampiezza al processo stesso con alcuni riferimenti che sono già emersi durante l’esame”.
“Siccome queste dichiarazioni del signor Graviano, – aggiunge il difensore del boss – a mio parere, dovevano essere riscontrate e il riscontro ce lo potevano dare soltanto alcuni collaboratori, non ultimi Mandalà e Spataro, su alcune domande non ci è stato permesso di approfondire alcuni temi”. Quali? “In particolare – conclude Aloisio – quando parliamo di Contorno. Avremmo voluto parlare dei rapporti di Contorno con alcuni imprenditori. Non ci è stata data la possibilità di poter andare ad accertare e integrare questi argomenti, la motivazione è questa: non c’è la possibilità di riscontrare le dichiarazioni del Graviano”. Secca la risposta della presidente della Corte d’Assise di Reggio Calabria Ornella Pastore: “Non ritengo assolutamente che sia stato compromesso il diritto di difesa”.
                                                                   MAFIE

Mafia, l’informativa della Dia: “Nell’estate del 1993 i Graviano erano in vacanza in Sardegna a un tiro di schioppo dalla villa di Berlusconi”

Mafia, l’informativa della Dia: “Nell’estate del 1993 i Graviano erano in vacanza in Sardegna a un tiro di schioppo dalla villa di Berlusconi”

In un documento di duecento pagine inviato alla procura di Reggio Calabria, gli investigatori della Direzione investigativa antimafia dettagliano la latitanza in Nord Italia dei boss di Brancaccio e i loro legami – sempre presunti – con Marcello Dell'Utri. E citano un vecchio documento investigativo del '97 definito di "portata eccezionale, alla luce delle nuove risultanze sulle mancate attenzioni istituzionali sulla figura di Baiardo e che, con il senno del dopo, conferisce alle dichiarazioni confidenziali di questi comprovata attendibilità e riscontro"
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Nell’estate del 1993 i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano erano in vacanza in Sardegna “a un tiro di schioppo” dalla villa di Silvio Berlusconi. Un’informazione mai riscontrata che per la prima volta viene considerata attendibile in un documento di polizia giudiziaria. A raccontare i dettagli della latitanza dei boss di Brancaccio e i loro legami – sempre presunti – con Marcello Dell’Utri è un’informativa della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria. Duecento pagine inviate dal commissario Michelangelo Di Stefano, dal vice questore Beniamino Fazio e dal capo centro Teodosio Marmo al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, titolare della pubblica accusa al processo ‘Ndrangheta stragista.
La versione di Graviano – È il procedimento in cui l’imputato Graviano ha deciso per la prima volta di aprire bocca per mandare una serie di messaggi trasversali. Durante una serie di udienze nei mesi scorsi il boss di Brancaccio ha sostenuto di essere stato in affari con Silvio Berlusconigrazie agli investimenti compiuti dal nonno a Milano negli anni ’70. Ha parlato di “imprenditori di Milano” che non volevano fermare le stragi. Ha invitato a indagare sul suo arresto, avvenuto al ristorante Gigi il cacciatore il 27 gennaio del 1994, per scoprire i veri mandanti delle stesse stragi. Poi, solo 24 ore fa, ha comunicato l’intenzione di non volere più rispondere alle domande. Il motivo? “La consapevolezza che le sue dichiarazioni resteranno prive di riscontro”, ha spiegato il suo avvocato Giuseppe Aloisio.

Tutti a Omegna – I fatti provano il contrario. Da alcuni mesi, infatti, il pm Lombardo ha chiesto alla Dia di tornare a indagare su uno dei momenti più misteriosi della recente storia d’Italia: il biennio compreso tra il 1992 e il 1994. Due anni di stragi, di sangue, di tentativi eversivi e nuovi patti di convivenza tra Stato e mefia. Due anni che i Graviano trascorrono da latitanti in Nord Italia, a Omegna, sul lago d’Orta, accompagnati dal fidato gelataio Salvatore Baiardo. Nello stesso periodo e nella stessa zona dimorano Balduccio Di Maggio, il boss arrestato da latitante a Borgomanero e poi fondamentale per arrivare all’arresto di Totò Riina, e il generale Francesco Delfino, proprio l’uomo che arresterà lo stesso Di Maggio. Non è l’unica coincidenza che segnalano gli investigatori. “Da vecchi fascicoli non indicizzati delle tante attività della Dia è stata rinvenuta un’informativa del Centro Operativo di Firenze, indirizzata al compianto dottor Chelazzi avente ad oggetto: Stragi di Firenze, Roma e Milano e riguardante l’analisi dei movimenti di Giuseppe e Filippo Graviano”, scrivono gli inquirenti. Che definiscono quel documento, risalente al 26 febbraio del 1997, “di portata eccezionale, alla luce delle nuove risultanze sulle mancate attenzioni istituzionali sulla figura di Baiardo e che, con il senno del dopo, conferisce alle dichiarazioni confidenziali di questi – che il dr. Messina, nella recente deposizione, ha ritenuto doveroso non cautelare ex art. 203 cpp – comprovata attendibilità e riscontro, atteso che dall’analisi dei metadati del telefono cellulare del Baiardo è stato possibile ricostruire i movimenti dei fratelli Graviano nell’anno 1993, così confermando entità e consistenza dei rapporti con il gelataio di Omegna”.
L’informativa della Dia: “I Graviano in Sardegna”- Il primo a parlare della latitanza dei Graviano in Sardegna è proprio Baiardo. Nel 2012 racconta a Peter Gomez e Marco Lillo: “I Graviano sono stati lì due estati. Nel 1992 ho affittato io la villa per loro e invece di sentire me i magistrati sentono le cazzate di Tranchina e Spatuzza. Andate a vedere la villa pagata da me, affittata da me. Era in linea d’aria a 200 metri dall’ex presidente del Consiglio (Silvio Berlusconi, ndr). Via mare ci si arriva perché era proprio sul mare. Poi da quello a dire che si conoscessero e si frequentassero c’è ne passa. Io l’ho affittata nel 1992. Poi presumo che nel 1993 abbiano ripreso la stessa villa, ma il contratto non l’ho fatto io”. Queste dichiarazioni non sono finora mai state riscontrate: e per i magistrati Baairdo non è attendibile. Secondo la Dia, però, quella informativa del 1997 conferma le parole del gelataio di Omegna. “Non è possibile in queste pagine fornire alle cortesi valutazioni di codesto Ufficio una analisi approfondita di quei dati attesa l’esigenza di refertare la presente attività nei tempi strettamente utili all’istruttoria che si sta svolgendo ma è utile, quantomeno, fare un cenno a quelle confidenze di Baiardo riguardanti interessi comuni tra i Graviano e Marcello Dell’Utri in Sardegna”. Poi riportano un passaggio di quel documento della Dia di Firenze del 1997: “I fratelli Graviano avrebbero, inoltre, trascorso parte della latitanza (agosto- settembre 1993) in località della Sardegna, ivi occupando sia un appartamento (nel complesso denominato ”I tramonti” n.d.r.) che in una villa ( ubicata in contrada Volpe n.d.r.), entrambi ubicati nella zona di Porto Rotondo“. Gli uomini della Dia fanno notare oggi come “la zona che si sta considerando è ricompresa in un’area che vede, a poche centinaia di metri di distanza, la nota Villa Certosa di Berlusconi Silvio. All’interno dell’informativa c’è anche una mappa geografica della zona. “Quindi – commentano – il dato che qui preme evidenziare – annotato il cointeresse imprenditoriale dei Graviano e Dell’Utri tra il 1992 e il 1994, durante la latitanza dei due e caratterizzata da incontri de visu con il politico – è la presenza dei due ricercati, nell’agosto del 1993, a un tiro di schioppo dalla residenza estiva del leader della istituenda Forza Italia, rendez vous dei collaboratori di Berlusconi e, si presume, anche di Dell’Utri”. Davvero dunque i Graviano trascorrevano le ferie dell’estate del 1993 a pochi passi da casa dell’ex premier? E se è vero è solo un caso? “Naturale – continuano gli investigatori – chiedersi, allora, se nel corrispondente periodo anche il loro presunto socio in affari, Marcello Dell’Utri (secondo quanto oggi riferito dal dr. Messina in relazione alle propalazioni di Salvatore Baiardo) si trovasse a Villa Certosa in vacanza”.

Baiardo, il Majestic e l’ex senatore che dice: “Berlusconi è fottuto” – Il dottor Messina è l’attuale capo della Direzione centrale anticrimine della polizia: il 4 novembre del 1996 è lui a firmare l’informativa sul colloquio avuto con lo stesso Baiardo, in cui per la prima volta si parla dei legami tra i Graviano e Dell’Utri. “C’era un rapporto tra il signor Marcello Dell’Utri e i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano che, tramite lui, erano interessati al finanziamento del nascente movimento politico Forza Italia perché erano convinti che questo li avrebbe garantiti e avrebbe garantito i loro interessi”, ha ripercorso lo stesso Messina, deponendo in aula pochi giorni fa a Reggio Calabria. E confermando che la fonte della sua informativa era proprio Baiardo, il cui nome non è mai stato indicato nel documento, ha raccontato come quelle informazioni esplosive “non furono sviluppate” dalla Procura che “diede atto del fatto che si trattava di un soggetto che non intendeva apparire”. Il capo dell’Anticrimine definisce “ondivago” l’atteggiamento del favoreggiatore dei Graviano, che per i magistrati non è mai stato affidabile. Adesso la Dia ripesca un documento vecchio di 23 anni che proverebbe i suoi spostamenti – e con i suoi anche quelli dei Graviano – nell’ultima estate di libertà dei boss delle stragi. Gli investigatori vanno oltre: e tornano a mettersi sulle tracce dei movimenti di Dell’Utri, che si trovava all’hotel Majestic di Roma proprio negli stessi giorni del gennaio 1994 in cui Graviano incontrava Gaspare Spatuzza al vicino Bar Doney per dirgli che grazie a “quello del Canale 5” si erano messi il Paese nelle mani”. Uno dei dipendenti dell’albergo, interrogato, oggi ricorda che Dell’Utri incontrava al Majestic alcuni soggetti di “chiara provenienza calabrese e siciliana, dal momento che parlavano con marcato accento dialettale da me conosciuto per le mie origini calabresi”. Chi erano quei siciliani e quei calabresi incontrati da Dell’Utri proprio nei giorni in cui veniva lanciato il partito azienda di Berlusconi? Hanno niente a che vedere con gli incontri del siciliano Graviano nel vicinissimo bar di via Veneto? Nell’informativa trova spazio anche un’intercettazione dell’ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli: “Senti, sto leggendo questa storia che hanno riportato sul Fatto Quotidiano della trattativa stato Mafia”, dice l’ex parlamentare il 20 luglio del 2018. Il riferimento a un articolo che riportava le motivazioni del processo sul Patto tra pezzi delle Istituzioni e Cosa nostra. Quel procedimento individua il primo governo Berlusconi come parte lesa del ricatto allo Stato. Il commento di Pittelli, però, è di tenore diverso: “Berlusconi è fottuto…Berlusconi è fottuto“.