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martedì 1 settembre 2020

                                                                        SHOAH    


                

“LA VITA È BELLA NON È UN BRUTTO FILM, MA NON È REALISTICO” – LILIANA SEGRE: “NESSUN BAMBINO SAREBBE POTUTO RESTARE NASCOSTO NEL LAGER. I BAMBINI ANDAVANO SUBITO AL GAS O ERANO VITTIME DI TERRIBILI ESPERIMENTI” – “SCHINDLER’S LIST? LE COMPARSE ERANO TUTTE BELLE RAGAZZE, IN CARNE. NOI ERAVAMO SCHELETRI” – L’APPELLO AI GIOVANI, IL MARITO MISSINO E L’AMORE PER LO STUDIO CHE L’HA SALVATA: “AD AUSCHWITZ CONOBBI UN PROFESSORE DI STORIA FRANCESE. ERA PROIBITO PARLARCI, MA…”

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liliana segre tiene in braccio la figlia federicaLILIANA SEGRE TIENE IN BRACCIO LA FIGLIA FEDERICA

Alessia Rastelli per il “Corriere della Sera”

 

«Cari ragazzi, tocca a voi. Prendete per mano i vostri genitori, i vostri professori. In questo momento d' incertezza prendete per mano l' Italia».

 

Liliana Segre, superstite alla Shoah, si rivolge ai più giovani da nonna, come spesso ha fatto da quando è stata nominata senatrice a vita da Sergio Mattarella, il 19 gennaio 2018, e da un trentennio come testimone nelle scuole. Il 10 settembre compirà 90 anni.

 

Il Corriere la incontra nell' appartamento di Pesaro che fu dei suoi suoceri. Con lei ci sono i carabinieri della scorta che le è stata assegnata per i messaggi d' odio e le minacce, diventata un' affettuosa appendice alla famiglia.

liliana segre con la scorta 1LILIANA SEGRE CON LA SCORTA 1

 

Qui nelle Marche, da dove venivano i nonni materni, Liliana Segre trascorre ogni estate.

Qui, lungo la riva del mare, incontrò l' uomo che sarebbe diventato suo marito e padre dei tre figli, l' amore salvifico dopo l' abisso.

 

Senatrice Segre, come ha passato i mesi del lockdown?

«Sono stata a casa mia a Milano. È stata molto dura, mi mancavano i miei figli e i miei nipoti, mi percepivo meno forte e affiorava di tanto in tanto la paura di morire da sola. La città fuori era deserta, arrivavano solo le sirene delle ambulanze.

 

Quante ne abbiamo sentite in Lombardia! Nella mia mente evocavano altre sirene, quelle dei bombardamenti, prima che mi deportassero, quando dovevamo correre nei rifugi.

liliana segre con il padre albertoLILIANA SEGRE CON IL PADRE ALBERTO

 

A quel tempo gli sciacalli entravano nelle case che restavano vuote e anche adesso, in forme diverse, sono riapparsi: a fare affari mentre in televisione vedevamo tutte quelle bare. Questo mi ha rattristato, incupito, mi sono chiusa per un po', ma ora va meglio.

Non mi hanno sommerso allora, non ci sono riusciti oggi. Io provo ancora speranza».

 

Da dove le arriva?

«Innanzitutto dalle tantissime storie di eroi sanitari, medici e infermieri che hanno scelto di stare dalla parte giusta. Sono loro i vincenti, non gli sciacalli. E poi ci sono i ragazzi. Non ci sono solo quelli che vanno in discoteca appiccicati, rischiando di trasmettere il Covid, il nostro nemico invisibile, ai nonni e ai genitori. Ce ne sono di meravigliosi. Purtroppo i vecchi intubati soccombono.

 

liliana segre foto di bacco (1)LILIANA SEGRE FOTO DI BACCO (1)

Ecco perché tocca ai più giovani in questo momento passarsi tra loro una parola d' ordine, quella di un sacrificio coraggioso, di essere, finché non avremo un vaccino, come Enea che porta sulle spalle il padre Anchise. Sarebbe davvero un inno alla vita.

 

Così come sarebbe importante, nell' attuale incertezza sulla riapertura delle scuole, che fossero loro, i ragazzi, a dire: "Noi ci siamo". In presenza o a distanza, senza approfittare di questo momento per saltare la scuola. Io fui cacciata a 8 anni e fu un dramma. Mentre l' amore per lo studio, in diversi momenti, mi ha salvato».

 

In che modo?

«Ad Auschwitz lavoravo schiava in una fabbrica di munizioni. A un certo punto dovetti consegnare pezzi di ferro a un altro operaio schiavo. Era francese, un professore di storia.

Era proibito parlarci, ma riuscimmo a scambiare qualche parola e così ogni giorno, nei due minuti della consegna, mi raccontava un evento del passato.

 

Per un po' di tempo, in quell' istante, non eravamo più "pezzi" senza nome, ma un' alunna e un professore. Lo studio poi fu decisivo al mio ritorno dal lager. Ero un animale ferito, avevo perso mio padre e i nonni, concentrarmi a recuperare gli anni di scuola perduti mi permise di non impazzire».

 

liliana segre by spinozaLILIANA SEGRE BY SPINOZA

È mai tornata ad Auschwitz?

«No, non ci tornerò, perché non lo reggo. Anche se mi dispiace moltissimo perché lì ho perso le persone più care. Mio padre è stato la figura più importante della mia vita. Mia madre Lucia è morta quando avevo un anno e mezzo, così lui è stato tutto.

 

Mi ha amato e io lo ho amato con tutta me stessa. Resta il grande nodo irrisolto della mia vita. Il dolore più grande del mondo ce lo siamo dati reciprocamente: io per la sua perdita, lui perché quando ha lasciato la mia mano sulla rampa di Auschwitz-Birkenau, non credo pensasse che ce l' avrei mai fatta. Avevo 13 anni. Ricordo ancora il mio ultimo compleanno prima del lager, due giorni dopo l' 8 settembre 1943».

 

Dove eravate?

LILIANA SEGRELILIANA SEGRE

«Sfollati a Inverigo, in Brianza. Il 25 luglio 1943 con la caduta del fascismo in tanti si illusero che l' incubo fosse finito. Dalle finestre volarono fasci littori e statuette di Mussolini. Ma durò poco e fu come svegliarsi da un' ubriacatura.

 

L' 8 settembre l' Italia centro-settentrionale fu messa sotto il controllo militare tedesco e l' amministrazione civile dei fascisti. Due settimane dopo fu comunicato che gli ebrei italiani dovevano essere deportati. Dormivo in una camera con mio padre, me lo ricordo ancora sbattere la testa contro il muro.

 

l articolo di pietro colaprico su liliana segreL ARTICOLO DI PIETRO COLAPRICO SU LILIANA SEGRE

Era combattuto tra fuggire con me o restare. Mio nonno non sarebbe stato in grado di viaggiare. Mancò forse la figura di mia madre, una donna giovane e pratica che avrebbe potuto incoraggiare il marito. Nonostante tutto, il 10 settembre 1943 mio padre mi portò a condividere la festicciola di una bambina sfollata che compiva gli anni il mio stesso giorno. Restammo solo mezz' ora: sentivo già che quella festa non era per me».

 

Alla fine tentaste la fuga in Svizzera.

«Sì, il 9 dicembre 1943, con mio padre e due cugini. Fummo nelle mani di orribili contrabbandieri, non troppo diversi dagli scafisti di oggi. Pagammo 45 mila lire per andare oltre il confine e altre mille per trascorrere la notte sotto un tetto. La Svizzera però ci respinse. E allora si susseguirono il carcere di Varese, San Vittore a Milano, il Binario 21, Auschwitz-Birkenau, per la sola colpa d' essere nati».

 

PRIMO LEVIPRIMO LEVI

Sia lei che diversi altri superstiti raccontate che la salvezza arrivò per caso.

«Ad Auschwitz un passo avanti o indietro poteva cambiare il destino. Sono anziana, ma non sono mai uscita davvero dalla me stessa di allora. E ogni anno che passa, mi chiedo "Ma come ho fatto, ma come ho fatto, ma come ho fatto?".

 

Potrei andare avanti all' infinito ma non ho la risposta. Uomini di qua, donne di là: quando scendemmo dal treno e ci separammo, mio padre mi disse di restare con una nostra conoscente, la signora Morais. Eppure quando la guardia mi chiese se fossi sola, ebbi l' istinto di dire di sì. Finii in una fila, la signora Morais in un' altra, e andò al gas».

auschwitz 24AUSCHWITZ 24

 

Primo Levi scrisse che «la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo». Lei come le ha trovate quando ha iniziato a testimoniare?

«Molte ne ho prese a prestito proprio da Primo Levi. È stato coraggioso a scrivere subito, tra il 1945 e il 1947. Io lessi Se questo è un uomo nell' edizione Einaudi del 1958 e via via vi trovavo il modo di dare voce a quello che avevo vissuto. Lo stupore, lo stupore per il male altrui che Primo Levi provò di fronte ai nazisti che spingevano i prigionieri sui treni, io lo avvertii per tutto il tempo nel lager».

PRIMO LEVI VAGONEPRIMO LEVI VAGONE

 

Vi siete mai incontrati?

«No, ma gli scrissi due volte. La prima subito dopo avere letto Se questo è un uomo , perché speravo che l' amico Alberto, di cui scriveva, potesse essere mio padre. La seconda volta fu dopo l' uscita de I sommersi e i salvati , nel 1986.

 

liliana segreLILIANA SEGRE

Mi turbò molto. "Basta - gli dissi - se da Auschwitz non si esce mai, come lei sostiene, e se anche i salvati sono sommersi, allora non c' è speranza". Mi rispose con una lettera secca: "Se non l' ha ancora capito, è inutile che ne parliamo". L' anno dopo si tolse la vita».

 

Ancora Primo Levi sosteneva che «se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare».

«Quando arrivai a Milano dopo Auschwitz, mi sembrava normale raccontare, ma capii ben presto che l' esperienza che avevo vissuto restava per i più inimmaginabile. Una professoressa di greco, in classe, davanti a tutti, disse che la mia deportazione era "un' esperienza interessante". Fu tremendo. Per anni non parlai.

 

goti bauerGOTI BAUER

Solo dopo una pesante depressione, intorno ai sessant' anni, capii che dovevo fare il mio dovere. Mi accompagnò nel percorso la mia amica dolcissima e insieme determinata Goti Bauer, anche lei superstite di Auschwitz».

 

Di supporto fu anche suo marito Alfredo.

«Mi salvò con l' amore quando lo incontrai a 18 anni, a Pesaro, dove ero in vacanza con i nonni materni. Nel 1943 era stato uno dei seicentomila "no", uno dei soldati italiani catturati che non vollero aderire alla Repubblica sociale e furono rinchiusi nei campi di prigionia.

Quando molti anni dopo decisi di testimoniare, sapevo che c' era lui ad accogliermi ogni volta che tornavo a casa. Fu fondamentale».

Alfredo belli paci il marito di liliana segreALFREDO BELLI PACI IL MARITO DI LILIANA SEGRE

 

Ci fu solo un momento di crisi.

«A un certo punto lo vidi cambiare. Era molto deluso da come andavano le cose nella nostra democrazia. Pensava che quanto aveva subito fosse stato inutile. Si avvicinò a destra, ad Almirante. Per me, con la mia storia, non era accettabile. Ma non volevo limitare la sua libertà, semplicemente gli chiesi di scegliere. E scelse me».

LA VITA e' BELLALA VITA E' BELLA

 

Un Nobel come Imre Kertész (1929-2016), anche lui sopravvissuto alla Shoah, lamentò una banalizzazione della memoria. Lei stessa fu perplessa da «La vita è bella» di Roberto Benigni.

«Non è un brutto film, ma non è realistico. Nessun bambino sarebbe potuto restare nascosto nel lager. Nessuna coppia comunicare con un altoparlante in un campo di sterminio. I bambini andavano subito al gas oppure erano vittime di terribili esperimenti. Benigni avrebbe dovuto dire che si trattava di una favola».

 

schindler listSCHINDLER LIST

Non la convinse neppure «Schindler' s List» di Steven Spielberg.

 

«Le comparse erano tutte belle ragazze, in carne. Noi eravamo scheletri. Ed è inverosimile che Schindler potesse far scendere dal treno un ebreo già chiuso dentro. Ricordo che andai a una prima con le scuole, all' Odeon di Milano, proprio con Goti Bauer.

 

schindler listSCHINDLER LIST

E nella scena in cui il nazista spara dal balcone, si levò un applauso. Fu terribile. Non ressi e me ne andai. Rividi Schindler' s List più avanti, alle due del pomeriggio, in un cinema semivuoto. Per fortuna, grazie alle mie testimonianze, ho trovato altri ragazzi, con bravissimi insegnanti, che nel tempo hanno mostrato un ben diverso atteggiamento.

 

A volte dopo anni mi incontrano e ricordano dettagli del mio racconto. Anche se fosse solo per uno di loro, ne è valsa la pena».

 

A proposito del conflitto tra israeliani e palestinesi, al Festivaletteratura di Mantova 2019, Abraham Yehoshua ha detto che «troppa memoria fa male ai due popoli». Che cosa ne pensa?

liliana segreLILIANA SEGRE

«Rispetto le opinioni di tutti, ma forse è un fatto che anche un grande scrittore alcune esperienze non le abbia provate sulla propria pelle. Piuttosto, quando sono andata in Israele per la prima volta, notavo che per uno Stato che desiderava essere vincente, circondato da chi intorno lo voleva annientare, la Shoah era un tema difficile.

 

Chi è nato lì faceva fatica ad accettare che milioni di persone fossero morte. Ci sono voluti anni, soprattutto il processo Eichmann, perché si prendesse atto che gente denutrita, disarmata, sopraffatta, nulla avrebbe potuto anche contro un solo nazista armato su una torretta».

pio xiiPIO XII

 

Di recente la riapertura degli archivi vaticani di Pio XII ha rivelato che i fratelli di sua madre chiesero l' aiuto della Santa Sede per avere notizie di lei e suo padre.

«I miei zii me lo raccontarono dopo la guerra. Ahimè fu un tentativo vano. Però nel 1945 fui io a rivolgermi a mio zio Dario Foligno.

 

Convertito al cattolicesimo nel 1933 dopo aver letto sant' Agostino, fu avvocato della Sacra Rota. Chiedemmo un' udienza a Pio XII perché cercavo disperatamente notizie di mio padre».

 

papa pio xiiPAPA PIO XII

Sull' operato di Pio XII rispetto alla Shoah sono stati avanzati numerosi dubbi. Come fu il vostro incontro?

«Mi fece un grande effetto. Pio XII aveva occhi neri come fessure. In seguito, vedendo i tagli dei quadri di Fontana avrei sempre ripensato a quello sguardo. Mi disse di non inginocchiarmi: "Sono io che dovrei farlo davanti a te".

 

Sulla sua condotta il mio giudizio è sospeso. Da anni aspettavo l' apertura degli archivi. C' è però una bella foto di lui che benedice a San Lorenzo, a Roma, dopo i bombardamenti. Nella mia fantasia mi sono sempre chiesta: perché non si è messo a braccia spalancate davanti alle locomotive dei treni per i lager?».

 

auschwitz 7AUSCHWITZ 7

Durante il lockdown l' Osservatorio Mediavox sull' odio online dell' Università Cattolica di Milano ha rilevato su Twitter post antisemiti inerenti un supposto potere ebraico sulla finanza. A luglio il presidente Mattarella è stato vittima degli insulti social per avere nominato Sami Modiano, superstite della Shoah, Cavaliere di Gran Croce. Dopo l' apparente tregua Covid, l' odio si è riacceso?

«Antisemitismo e razzismo ci sono sempre. Semplicemente in alcuni momenti è più facile che riemergano. Certo, se torna la paura dell' altro, demonizzato come untore nella sana Europa, e ci si abitua a pensare che ci sono uomini forti a cui affidarsi, allora molto tranquilli non possiamo stare. Ci sono state città che hanno fatto barricate per poche decine di disgraziati arrivati dal mare».

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Riprenderanno i lavori della sua Commissione contro l' odio?

«Si sono fermati per il Covid. Sono consapevole che sto per compiere 90 anni e sono meno forte fisicamente, ma ci credo moltissimo. Mi farò aiutare da persone che hanno meno anni e più energia, ma sono pronta a guidarla e spero che si ricominci presto».

liliana segre con la scortaLILIANA SEGRE CON LA SCORTA

LA VITA e' BELLALA VITA E' BELLA

venerdì 6 marzo 2020

                                                               SHOAH


DA PELLE D’OCA - UN RACCAPRICCIANTE ALBUM FOTOGRAFICO REALIZZATO CON LA PELLE DELLE VITTIME DI UN CAMPO DI STERMINIO NAZISTA È STATO TROVATO IN UN MERCATINO DELL'ANTIQUARIATO IN POLONIA - GLI ESPERTI CHE HANNO ANALIZZATO LA COPERTINA E LA RILEGATURA DELL'ALBUM AFFERMANO CHE È PROBABILE CHE LA PELLE TATUATA SIA DI UN PRIGIONIERO DEL CAMPO DI BUCHENWALD NOTO PER… - VIDEO
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DAGONEWS

album pelle umana nazisti 2ALBUM PELLE UMANA NAZISTI 2
Un raccapricciante album fotografico della Seconda Guerra Mondiale realizzato con la pelle delle vittime di un campo di sterminio nazista è stato trovato in un mercatino dell'antiquariato in Polonia.

L'album è stato consegnato al personale del Museo di Auschwitz dopo che l'acquirente ha notato che la copertina aveva “un tatuaggio, capelli umani ed emanava un cattivo odore". Gli esperti del museo hanno ora analizzato la copertina e la rilegatura dell'album e affermano che è probabile che la pelle provenga da un detenuto assassinato nel campo di concentramento di Buchenwald, in Germania.
album pelle umana nazisti 4ALBUM PELLE UMANA NAZISTI 4

Aggiunsero che era "senza dubbio la prova di un crimine contro l'umanità”. Istituito nel 1937 come primo campo di concentramento di Hitler, Buchenwald acquisì notorietà per le sue esecuzioni, gli esperimenti, le condizioni bestiali e la depravazione delle sue guardie. Tra queste c'era Ilse Koch, nota ai detenuti come "Cagna di Buchenwald": moglie del comandante del campo Karl-Otto Koch, la donna faceva assassinare i prigionieri con tatuaggi interessanti per usare la pelle come paralumi, libri, album, copritavoli e pollici che venivano adoperati come interruttori della luce.
ilse koch 1ILSE KOCH 1

Testimoni affermano che aiutava il dottore nazista Erich Wagner che collezionava pelle umana nel campo per la sua tesi di dottorato: delle 100  pelli raccolte da Wagner, molte furono trasformate in articoli da regalo. Dopo essere stato catturato dalle truppe americane alla fine della guerra, fuggì e continuò a praticare come medico in Germania con uno pseudonimo fino alla sua cattura nel 1958. Si suicidò un anno dopo.
organi prigionieri di buchenwaldORGANI PRIGIONIERI DI BUCHENWALDilse kochILSE KOCH

buchenwaldBUCHENWALDalbum pelle umana nazisti 3ALBUM PELLE UMANA NAZISTI 3

martedì 28 gennaio 2020

                                                                   SHOAH


“MENGELE? ARRIVÒ CON I CANI...” - DUECENTO SOPRAVVISSUTI TORNANO AD AUSCHWITZ NEL GIORNO DELLA MEMORIA – “NEPPURE GLI ANIMALI POTREBBERO SOPRAVVIVERE ALLE CRUDELTÀ A CUI FUMMO SOTTOPOSTI” – MENGELE ERA INTERESSATO PER ABERRANTI MOTIVI PSEUDOSCIENTIFICI AGLI ESPERIMENTI SU DONNE INCINTE E FRATELLI SIAMESI – LA STORIA DI ANGELA OROSZ NATA SETTIMINA. PESAVA UN CHILO. LA MAMMA ERA STATA PRESA COME CAVIA UMANA DAI ‘DOTTORI’ NAZISTI E...

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Michele Farina per il “Corriere della Sera”

mengeleMENGELE
Il più vecchio ha 101 anni, la più giovane è nata ad Auschwitz, da prigioniera. E ci è tornata ieri, insieme con altri duecento sopravvissuti che hanno varcato il cancello con la scritta «Arbeit macht frei» (il lavoro rende liberi) forse per l' ultima volta, sempre per tenere viva la memoria.

Tra loro, dicono al Cdec (Centro di documentazione ebraica contemporanea), non c' era nessuno dei tredici italiani, ancora in vita, passati dal Lager simbolo del male assoluto. La neonata di Auschwitz ha 75 anni, l' età della liberazione: il 27 gennaio del 1945 i primi soldati russi entravano nel campo dove i nazisti avevano ucciso un milione e centomila persone, quasi tutti ebrei.

mengeleMENGELE
Angela Orosz è nata settimina: la mamma, Vera Bein, della comunità ebraica ungherese (425 mila deportati da maggio a luglio 1944, 90% sterminati) era stata presa come cavia umana dai «dottori» nazisti. Il parto fu indotto con un' iniezione dolorosissima.

Quando venne alla luce pesava un chilo: «Ero troppo debole per piangere - ha raccontato anni fa -. E questo probabilmente mi ha salvato». Cinque mesi dopo, il campo fu liberato. In una baracca quel giorno nacque un altro bambino, Gyorgy Faludi.

«Sua madre era troppo debole, così la mia mamma allattò tutti e due».
Eva Szepesi, anche lei ungherese di Budapest, anche lei catturata nel 1944 con la mamma e il fratello, il giorno della liberazione era sdraiata su un tavolaccio, moribonda.
I nazisti che volevano svuotare il Lager dai testimoni viventi non l' avevano nemmeno inserita tra i prigionieri destinati alle «marce della morte».

Ma «qualcuno, non so chi, mi diede da bere la neve - ha raccontato al Guardian la signora Szepesi, che oggi vive a Francoforte in Germania -.

mengeleMENGELE
Sono sopravvissuta grazie alla neve. Mi ricordo il suo sapore: com' era buona. E mi ricordo un soldato con il cappello di pelliccia e la stella rossa che si china su di me e sorride».
Eva ha 87 anni e ieri era ad Auschwitz con la figlia Anita.

Il 27 gennaio è il giorno dei sopravvissuti, che non sono soli. Sono arrivati con parenti, amici, molti giovani. C' è la consapevolezza che potrebbe essere l' ultima occasione per ritrovarsi nel luogo che ha segnato le loro vite. Nel pomeriggio, sotto una tenda, là dove arrivavano i treni piombati con il loro carico umano, si è tenuta la cerimonia con le autorità e i leader politici.

Ha parlato il presidente polacco Andrzej Duda. E se non c' è Vladimir Putin, che accusa la Polonia di aver collaborato con Hitler all' inizio della Seconda Guerra Mondiale, ben più importante è la presenza di Ernest Ehemann, 91 anni, che viene dal Canada: «Questo è il mio tredicesimo ritorno. E ogni volta è come se un video terribile ripartisse nella mia mente. L' arrivo con i miei genitori, la nostra separazione. Loro a sinistra e io a destra. Soltanto alla liberazione ho scoperto che erano morti mezz' ora dopo il nostro arrivo». A sinistra le camere a gas, a destra la vita e la morte nel Lager.

josef mengeleJOSEF MENGELE
«È un dolore, ma ci torno - racconta Ernest -. È l' ultimo posto dove ho visto vivi il mio papà e la mia mamma». Con Ernest c' è la figlia sessantenne Audrey: «È la terza volta che vengo, e non lo sento come un peso. Sento che questa è una parte di me, come è una parte di me imparare a raccontare la storia dei mei genitori e di chi ha vissuto la loro esperienza».

Eva Szepesi, il numero 26877 tatuato sul braccio sinistro, ha scoperto soltanto nel 2016 che la mamma e il fratello erano morti ad Auschwitz, due dei sei milioni di ebrei uccisi nell' Olocausto. «È stata mia nipote a scoprire i nomi scritti in bianco e nero» nell' elenco delle vittime. Per decenni Eva ha preferito non indagare, non sapere. È una cosa naturale. Ed è bello che siano le nuove generazioni a cercare le tracce della memoria.

Jona Laks ha 90 anni, viene da Israele. È una delle ospiti d' onore delle celebrazioni di oggi: «Sembra impossibile che sia passato tanto tempo - racconta alla Reuters sotto il cielo grigio di Auschwitz -.
JOSEF MENGELEJOSEF MENGELE

Rivedo il forno, le scintille dal camino, l' odore della carne bruciata». Jona non doveva essere lì. Aveva 14 anni quando dal ghetto ebraico di Lodz, nella Polonia occupata dai nazisti, fu condotta al Lager nel carro bestiame, con la gemella Miriam e la sorella più grande Chana. Jona all' arrivo del treno fu mandata a sinistra, verso i forni, le sorelle a destra.

Era un dottore delle SS a fare la selezione. Il suo nome era Joseph Mengele, il famigerato «Angelo della Morte». «Arrivò con i cani e un bastone. Destra, sinistra, destra, sinistra. Non penso che guardasse le persone, sembrava annoiato - ricorda la signora Laks -. Quando ci separarono, mia sorella maggiore lo implorò: "Non separi due gemelle"». E Mengele, che era interessato per aberranti motivi pseudoscientifici agli esperimenti su donne incinte e fratelli siamesi, mandò un ufficiale a recuperare Jona dalla fila di sinistra. «Fui fortunata - dice oggi lei -. O forse sfortunata», prosegue dopo un istante di silenzio.
mengele conduceva esperimenti umani ad auschwitzMENGELE CONDUCEVA ESPERIMENTI UMANI AD AUSCHWITZ

«A volte penso che neppure gli animali potrebbero sopravvivere alle crudeltà a cui fummo sottoposti», racconta la nonna alla nipote Aldar che l' accompagna. Al Blocco 10 la signora Laks si ferma: lì c' era il laboratorio di Mengele.

Fuori, un cortile con quello che viene chiamato «il muro della morte», dove i prigionieri a volte venivano allineati e uccisi, e dove oggi i sopravvissuti si ritrovano per accendere candele alla memoria.

Altre scintille. «Dall' interno, sentivamo i lamenti di chi veniva assassinato», dice la novantenne sopravvissuta. Poi guarda Aldar, e ha come un sussulto della memoria. «Sono qui con mia nipote, e posso dire che ce l' abbiamo fatta.
JOSEF MENGELEJOSEF MENGELEjosef mengele angelo della morteJOSEF MENGELE ANGELO DELLA MORTEjosef mengeleJOSEF MENGELE
Io ho vinto la guerra. Noi abbiamo un futuro».
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