venerdì 28 dicembre 2018




DESIRÉE ERA VERGINE QUANDO È STATA VIOLENTATA – “GIALLO” RIVELA NUOVI DETTAGLI CHOC SULLA TRAGEDIA DELLA 16ENNE MORTA A SAN LORENZO DOPO DUE GIORNI DI SEVIZIE E VIOLENZE –DESIRÉE È STATA PRIMA DROGATA E SEDATA CON POTENTI PSICOFARMACI, POI VIOLENTATA RIPETUTAMENTE E LASCIATA MORIRE – MA NON SI ERA MAI CONCESSA IN CAMBIO DI DOSI DI DROGA. NELL’AUTOPSIA È STATA RISCONTRATA UNA…
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Anteprima stampa da “Giallo”

l'esclusiva di 'giallo' su desiree 1L'ESCLUSIVA DI 'GIALLO' SU DESIREE 1
Desirée Mariottini è deceduta a seguito di una crisi cardiocircolatoria. Inoltre, nel corso dell’esame autoptico, si è riscontrata una recentissima rottura imeneale”. Desirée era vergine prima di essere violentata! È lo scioccante dettaglio emerso dall’autopsia eseguita dal medico legale sul cadavere della 16enne di Cisterna di Latina morta due mesi fa a Roma. La tragedia è avvenuta nel quartiere San Lorenzo, in uno stabile abbandonato: la ragazzina vi è arrivata la sera del 17 ottobre, ma è morta dopo due giorni di atroci sevizie. Desirée è stata prima drogata e sedata con potenti psicofarmaci, poi violentata ripetutamente. Infine, è stata lasciata morire nell’indifferenza generale.

Nessuno in quel maledetto edificio fatiscente, che si trova in via dei Lucani, cioè in pieno centro a Roma, ha mosso un dito per aiutarla. Anzi, la minore sarebbe stata violata perfino da morta. Violenza su violenza, orrore su orrore. Chi era presente la tragica notte del 17 ottobre non ha avuto un briciolo di umana pietà nei confronti di questa sfortunata ragazzina, per il cui decesso sono accusati quattro immigrati clandestini, abituali frequentatori di quel palazzo abbandonato nonché noti spacciatori di sostanze stupefacenti.
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DUE AFRICANI SONO GIÀ STATI SCARCERATI!
Sono Mamadou Gara detto “Paco”, 27 anni, del Senegal, Brian Minteh detto “Ibrahim”, 43 anni, anche lui del Senegal, Chima Alinno detto “Sisco”, 46 anni, della Nigeria, e Yusif Salia detto “Youssef”, 32 anni, del Gambia. Due di loro, Paco e Youssef, sono in carcere con l’accusa di omicidio volontario.

l'esclusiva di 'giallo' su desiree 6L'ESCLUSIVA DI 'GIALLO' SU DESIREE 6
Per gli altri due, Ibrahim e Sisco, è decaduta l’accusa di violenza di gruppo. Tuttavia, entrambi restano indagati per la morte della 16enne di Cisterna di Latina e sono ancora in carcere con l’accusa di spaccio di droga. Ma torniamo all’autopsia, i cui risultati, clamorosi, sono finiti in una dettagliata relazione consegnata in questi giorni alla Procura di Roma, titolare delle indagini. Da quanto ha potuto constatare il medico legale incaricato dal pubblico ministero di eseguire l’esame sul cadavere di Desirée, quest’ultima, fino a poco prima di morire, non aveva mai avuto rapporti sessuali. Insomma, Desirée era ancora vergine.

DESIREE MARIOTTINI - LO STABILE DI VIA DEI LUCANIDESIREE MARIOTTINI - LO STABILE DI VIA DEI LUCANI
Molti si chiederanno perché vi riferiamo un particolare così intimo della vittima. Ve lo riferiamo perché ha una grandissima rilevanza nell’inchiesta sulla morte della ragazzina. Dopo il decesso, infatti, era stato detto che la vittima si concedeva sessualmente in cambio di droga. Un oltraggio alla memoria di questa ragazzina morta nel fiore degli anni. Accuse che si sono rivelate completamente false.
YUSIF SALIAYUSIF SALIA

 Non è vero che Desirée concedeva il suo corpo per la droga. Lo ha stabilito, come avete letto, un esame scientifico “infallibile”. Nel clamore iniziale che aveva suscitato questo crimine così efferato, qualcuno aveva creduto alle voci circolate sul conto della ragazza e della sua famiglia: «Desirée Mariottini non era seguita dai genitori. Era una drogata. Faceva sesso in cambio di stupefacenti», dicevano. Tutto falso! Da quanto è stato possibile ricostruire durante le indagini, la ragazza apparteneva a una buona famiglia. I genitori sono persone perbene, stimate da tutti. Non è vera nemmeno la circostanza secondo cui la 16enne viveva con la nonna. Le era molto affezionata, questo sì, e qualche volta andava a dormire a casa sua, ma la maggior parte delle notti le trascorreva a casa della mamma, a cui era stata affidata dal giudice dopo la separazione dei genitori.
DESIREE MARIOTTINI - LO STABILE DI VIA DEI LUCANIDESIREE MARIOTTINI - LO STABILE DI VIA DEI LUCANI

È STATA ACCERCHIATA DAI QUATTRO MOSTRI
Ora che sono trascorsi più di due mesi dalla tragedia, è doveroso stabilire un minimo di verità sul conto di questa ragazzina, che, complice la tenera età, ha commesso l’errore di entrare in un luogo degradato, senza alcun controllo da parte delle autorità. Ma niente giustifica ciò che le è stato fatto. All’interno del “palazzo della droga”, come viene ribattezzato lo stabile di via dei Lucani, è stata accerchiata da un manipolo di orchi, che l’hanno violentata ripetutamente. E sono andati avanti ad abusare di lei anche quando la ragazza non aveva più le forze per opporsi alle barbarie. Desirée era incosciente, ma loro andavano avanti.
DESIREE MARIOTTINI - LO STABILE DI VIA DEI LUCANIDESIREE MARIOTTINI - LO STABILE DI VIA DEI LUCANI

I risultati dell’autopsia hanno fatto emergere tutta la verità sulla tragica fine della povera ragazzina. E allora lo ripetiamo ancora una volta: Desirée non si è affatto concessa ai suoi aguzzini in cambio di dosi di droga. Non lo ha fatto in quei tragici giorni di ottobre e non lo aveva mai fatto prima di allora. È stata vittima della crudeltà di un branco di quattro uomini senza scrupoli. Dei veri e propri mostri, la cui spietatezza emerge dalle testimonianze raccolte durante la prima fase dell’inchiesta.

DESIREE MARIOTTINI E LA MADREDESIREE MARIOTTINI E LA MADRE
 Si legge nelle carte in mano al giudice per le indagini preliminari: «La condizione di incoscienza in cui si trovava la ragazza e che diventa con il trascorrere delle ore sempre più grave e intensa è riconosciuta da tutti coloro che sono presenti nel palazzo. Essa è chiara a coloro che l’hanno procurata, a coloro che ne approfittano, ai soggetti intervenuti per prestare ausilio, nonché a coloro che tale soccorso impediscono».
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Fa venire i brividi quanto si legge a un certo punto nel provvedimento di fermo, emesso nei confronti degli indagati: «La persona offesa (Desirée Mariottini, ndr) manifesta, invero, sin dal pomeriggio del 18 ottobre, lo stato di stordimento strumentalizzando il quale gli indagati abusano di lei. Ma esso si aggrava, così da tramutarsi in una condizione di dormiveglia prima e incoscienza poi che viene immediatamente avvertita dai presenti allorché trasportano il corpo della ragazza dal container al capannone. Ed è proprio in questa fase che Youssef, Ibrahim e Sisco, che pure sono presenti, ridimensionano la gravità delle condizioni della ragazza e impediscono che vengano allertati i soccorsi, assumendo lucidamente la decisione di sacrificare la giovane vita per garantirsi l’impunità o qualsivoglia fastidioso controllo delle forze dell’ordine.

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Al riguardo appare di estrema efficacia la frase “meglio che muore lei che noi in galera”, che secondo quanto riferito da diversi informatori gli indagati avrebbero pronunciato». Poi ci sono le parole pronunciate da Noemi C., una ragazza giapponese.

IL CERCHIO STA PER CHIUDERSI
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Ecco cosa ha riferito la testimone agli inquirenti: «Hanno abusato di Desirée solo per divertimento». Ma per comprendere meglio l’immane tragedia, leggiamo la ricostruzione meticolosa che in poche ore gli agenti della squadra mobile di Roma, coordinati dal dirigente Luigi Silipo, sono riusciti a fare: «Alle ore 4.20 del 19 ottobre, personale del commissariato interveniva all’interno dello stabile sito a Roma, in via Lucani 22, per una segnalazione relativa al presunto decesso di una donna.

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Lo stabile in questione, i cui cancelli apparivano chiusi con dei lucchetti, era ritrovo solitamente frequentato da senzatetto e tossicodipendenti. Questi ultimi hanno certezza di trovare all’interno del predetto sostanza stupefacente, in particolare cocaina ed eroina. Avuto accesso all’edificio, per il quale si rendeva necessario l’intervento dei vigili del fuoco, gli agenti rinvenivano, riverso su un materasso, il cadavere di una ragazza dall’età apparente di anni 20/25 (in realtà ne ha 16, ndr).

YUSIF SALIA 1YUSIF SALIA 1
 I preliminari accertamenti sullo stato dei luoghi permettevano di rinvenire tracce del consumo di sostanze stupefacenti avvenuto in quel luogo e, inoltre, dal riscontro dattiloscopico (identificazione, ndr), si individuava il cadavere in questione come quello appartenente in vita a Desirée, nata a Latina il 13 settembre del 2002. Ciò che si è immediatamente evidenziato è che la persona offesa (Desirée, ndr) frequentava da qualche settimana il complesso in questione dove si recava per procurarsi sostanza stupefacente di ogni tipo che assumeva ivi (sul posto, ndr). In tali occasioni era entrata in contatto con le persone lì gravitanti, per lo più costituite da spacciatori, ricevendo da alcune donne il consiglio di stare molto attenta in quanto si trattava di un ambiente difficile e pericoloso».

Le indagini della squadra mobile e della Procura di Roma continuano e molto presto il cerchio intorno a tutti i responsabili della morte di Desirée sarà chiuso. Se lo augura la sua famiglia, assistita dall’avvocato Valerio Masci.
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mercoledì 19 dicembre 2018


"C'ERANO I SERVIZI DIETRO STRAGI E DEPISTAGGI" - CLAUDIO FAVA SU VIA D’AMELIO: “IL RUOLO DEI SERVIZI SEGRETI È ANOMALO E SI VEDE NELLE IMMEDIATEZZE DELLA STRAGE CON LA SPARIZIONE DELL'AGENDA ROSSA DI BORSELLINO - LA LEGGE VIETAVA IL COINVOLGIMENTO DEI SERVIZI SEGRETI NELLE INDAGINI EPPURE FU CHIAMATO IL SISDE DEL QUALE ERA NUMERO TRE ALLORA BRUNO CONTRADA, GIA’ SOSPETTATO PER I SUOI RAPPORTI CON LA MAFIA…”
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Marco Lillo per il “Fatto quotidiano”

Oggi alle 15 la Commissione Antimafia della Regione Siciliana pubblicherà la relazione conclusiva di 80 pagine sul depistaggio nelle indagini per la strage del 19 luglio 1992 nella quale sono stati uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta.
CLAUDIO FAVACLAUDIO FAVA
"La relazione è il primo tentativo di interrogarsi a livello politico sulle conseguenze delle rivelazioni di Gaspare Spatuzza sulla strage di via D'Amelio.

Dieci anni dopo era un passaggio necessario", spiega il presidente della Commissione regionale antimafia. Per Claudio Fava non basta processare i tre poliziotti ora a giudizio a Caltanissetta o prendersela con il loro capo ora scomparso, Arnaldo La Barbera, o con il procuratore Giovanni Tinebra, allora alla guida delle indagini sulle stragi a Caltanissetta.

Alla luce del vostro lavoro chi sono i responsabili ultimi del depistaggio?
GASPARE SPATUZZAGASPARE SPATUZZA
Ci sono state più responsabilità che si sono cumulate. Il depistaggio è la somma di colpe e consapevolezze che attraversano la magistratura, le forze di Polizia e i servizi segreti. Il frutto di molte azioni, negazioni e omissioni.

I servizi segreti si sono impegnati nel depistaggio per celare i veri colpevoli? O è giusta la lettura minimimalista: Arnaldo La Barbera e alcuni uomini della sua squadra volevano fare carriera?
Abbiamo appurato una tale quantità di forzature, reticenze, omissioni che non si possono spiegare solo con la voglia di fare carriera. Questa mi pare una lettura di comodo.

E allora qual è la lettura corretta del più grande depistaggio del secolo?
PAOLO BORSELLINO - STRAGE DI VIA DAMELIOPAOLO BORSELLINO - STRAGE DI VIA DAMELIO
Noi siamo arrivati alla conclusione che l'ipotesi di lavoro da seguire sia un' altra: la mano che ha accompagnato questo depistaggio potrebbe essere la stessa mano che ha organizzato la strage.

Quali sono gli indizi emersi dal lavoro della Commissione d' Inchiesta per sostenere questa tesi?
Il ruolo dei servizi segreti è assolutamente anomalo e si vede nelle immediatezze della strage del 19 luglio 1992 già in via D' Amelio con la sparizione dell' agenda rossa del giudice. Ma questo ruolo prosegue con una vera investitura ufficiale della Procura di Caltanissetta. Fa impressione un dato: tra Capaci e via D' amelio in 57 giorni non ci fu tempo e voglia di sentire Paolo Borsellino mentre fu coinvolto ufficialmente nelle indagini sulla strage di Capaci, Bruno Contrada.
BRUNO CONTRADABRUNO CONTRADA

Cosa avete appurato sul ruolo avuto dal Servizio Segreto in quei giorni?
La legge vietava oggi come allora il coinvolgimento dei servizi segreti nelle indagini.
Invece il procuratore Giovanni Tinebra coinvolse ufficialmente il Sisde del quale era numero tre allora Bruno Contrada. Senza tenere conto del fatto che Bruno Contrada era sospettato in quel periodo dai magistrati di Palermo per i suoi rapporti con la mafia (poi Contrada sarà condannato in Italia ma - in esecuzione di una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - la condanna sarà revocata nel 2017 dalla Cassazione perché negli anni dei fatti, secondo la Cedu, il concorso esterno in associazione mafiosa non era abbastanza delineato nell' interpretazione giurisdizionale in Italia, Ndr). Sin dall'inizio l'intervento dei servizi è finalizzato al depistaggio.

In quali tracce vi siete imbattuti?
LA BORSA DI PAOLO BORSELLINOLA BORSA DI PAOLO BORSELLINO
I primi atti di indagine prodotti dai servizi nell' ottobre del 1992 erano finalizzati a delineare un profilo criminale mafioso di Vincenzo Scarantino. Quel profilo contrastava con quanto tutti sapevano cioé che era un venditore di sigarette di contrabbando. Era il primo tassello. Poi è emerso un incontro conviviale, descritto con toni diversi dai testimoni, tra i dirigenti dei servizi e i dirigenti della Procura di Caltanissetta nel dicembre del 1992.

Fiammetta Borsellino ha posto 13 domande. Siete riusciti a dare una risposta alla figlia del giudice?
Le sue domande sono state come una guida nel nostro lavoro. Non siamo certamente riusciti a rispondere a tutte. Però l' importante è proseguire nel lavoro e continuare a fare le domande. Noi speriamo che la nostra relazione possa essere utile alla magistratura per andare avanti.
giovanni falcone paolo borsellinoGIOVANNI FALCONE PAOLO BORSELLINO

venerdì 7 dicembre 2018

                                                                        DONNE


“ERANO LÌ QUANDO MARTINA È CADUTA” – A QUASI 8 ANNI DALLA MORTE DI MARTINA ROSSI A PALMA DI MAIORCA LA PROCURA DI AREZZO CHIUDE LE INDAGINI E CHIEDE 7 ANNI DI CONDANNA PER I DUE RAGAZZI CHE TENTARONO UN APPROCCIO SESSUALE SULLA RAGAZZA. PER CERCARE DI SCAPPARE, È PRECIPITATA DAL SESTO PIANO – IL VIDEO CHE LI INCASTRA
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1 – OMICIDIO DI MARTINA ROSSI, ECCO IL VIDEO CHE INCASTRA I SUOI AMICI

alessandro albertoni e luca vanneschiALESSANDRO ALBERTONI E LUCA VANNESCHI
Sembrava che la sua morte fosse dovuta a un terribile incidente e invece Martina Rossi, ventenne di Genova, che era precipitata dal balcone di un hotel di Palma di Maiorca nell’agosto del 2011, stava scappando da due «amici» che volevano violentarla. Pochi giorni fa la procura di Arezzo ha chiuso le indagini e la trasmissione «Chi l’ha visto» di Rai3 ha diffuso il video ripreso negli uffici della questura in cui i suoi amici Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi esultano perché l’autopsia sul corpo della ragazza non aveva trovato segni di violenza sessuale.

2 – "QUANDO MARTINA È CADUTA ERANO LÌ IN DUE": PERCHÉ IL PROCURATORE CHIEDE 7 ANNI DI CONDANNA
Salvatore Mannino per “la Nazione – Arezzo”
martina rossi,MARTINA ROSSI,

Martina è morta per colpa loro. Non ha dubbi il procuratore capo di Arezzo Roberto Rossi, non ha dubbi nel puntare il dito (e la scure di una richiesta pesante) contro i due ragazzi di Castiglion Fibocchi, paese a due passi dal capoluogo, che avrebbero provocato la morte della studentessa genovese mentre fuggiva da un loro tentativo di violenza sessuale.

Nell’alba tragica del 3 agosto 2011, a Palma di Maiorca, con un volo terribile dal sesto piano dell’hotel in cui tutti stavano trascorrendo le vacanze. «Condannateli a sette anni», conclude Rossi nella sua requisitoria stringata (un’ora e mezzo) ma densa di fatti e circostanze: tre anni per la morte come conseguenza di altro reato che poi altro non sarebbe se non il tentato stupro di gruppo, per il quale il Pm chiede altri quattro anni.

martina rossi 2MARTINA ROSSI 2
Lo scenario che il magistrato delinea è praticamente all’opposto di quanto Alessandro Albertoni, campione di motocross, e l’amico Luca Vanneschi, hanno raccontato nel corso dell’indagine spagnola e poi agli albori dell’inchiesta italiana avviata dalla procura di Genova, prima di chiudersi in un silenzio mai più rotto. Fino al punto che al processo non si sono mai fatti vivi.

Mentre loro hanno sempre parlato di una Martina (Rossi il cognome, studentessa di architettura a Milano, 20 anni al momento della morte) che improvvisamente impazzita si butta dalla finestra, con il solo Vanneschi presente perché Albertoni è sceso a chiedere aiuto alle amiche di lei, il procuratore descrive tutt’altra scena. La comitiva, della quale fanno parte quattro giovani di Castiglion Fibocchi e tre ragazze genovesi, si divide al ritorno da una notte in discoteca.

roberto rossiROBERTO ROSSI
Si formano due coppie che si fermano ad amoreggiare nella stanza d’hotel al primo piano, mentre Martina, Alessandro e Luca salgono al sesto. Qui, ipotizza Rossi, gli accusati tentanto un approccio sessuale, lei rifiuta, loro provano con la forza, sfilandole i pantaloncini, tanto che Martina precipiterà in mutandine. La ragazza reagisce graffiando Albertoni (segni che lui spiega con l’aggressione da follia improvvisa), poi, sempre secondo il Pm, cerca di scappare dal terrazzo verso la stanza a fianco, ma miope com’è e senza occhiali, nella concitazione del momento cade giù.

martina rossiMARTINA ROSSI
Gli indizi di questa ricostruzione che il procuratore descrive come «gravi, precisi e concordanti»? Non solo il cadavere seminudo (e Martina «non era tipo da mettersi così dinanzi a sconosciuti»), non solo i graffi, non solo la caduta a candela, quindi senza lo slancio di una che si butta, ma anche la testimonianza dei vicini di camera, padre e figlia danese che hanno testimoniato in videoconferenza.

Loro raccontano di un urlo (la ragazza che precipita, dice il procuratore) e poi di passi precipitosi per le scale di uno uscito dalla stanza. Per Rossi era Albertoni, perché Vanneschi, per racconto unanime scese con l’ascensore, e questo sarebbe l’indizio che ha mentito dicendo che era sceso prima della caduta: «Si è precostituito l’alibi anche ai danni dell’amico», accusa il Pm. Poi, in pochi attimi, si improvvisa la messa in scena.
tribunale arezzoTRIBUNALE AREZZO

Alessandro bussa alla porta delle amiche simulando l’impazzimento, Luca scende con più calma a dire che lei si è buttata. Le compagne lì per lì ci credono e ci crede anche la polizia spagnola che fa solo «indagini superficiali per non danneggiare l’immagine turistica di una capitale delle vacanze». Il procuratore getta fiumi di vetriolo sullo scenario del suicidio su cui hanno puntato tutto gli avvocati difensori: è vero che Martina aveva avuto una crisi di depressione un paio di anni prima ma era acqua del passato, tutti la descrivono (e lo diranno poi anche i legali di parte civile dei genitori) come una ragazza solare e piena di vita: che ragione aveva di suicidarsi?
martina rossi palma de mallorca 2MARTINA ROSSI PALMA DE MALLORCA 2

Alla fine, il commento del padre Bruno Rossi, che con la moglie Franca si è battuto per anni perché si facesse il processo in Italia e si restituisse giustizia alla figlia: «Sono sconvolto dall’indifferenza mostrata da questi ragazzi, se avessero visto morire un gatto si sarebbero preoccupati di più. La pena? Non mi importa, voglio che una madre abbia la verità». Arriverà, qualunque sia, prima di Natale. La sentenza è ormai questione di giorni.