sabato 28 dicembre 2019

                                                            PIAZZA FONTANA 1969


QUEL "MAZZETTO DI OMICIDI" CHE SOFRI ANCORA NON SPIEGA - CHI E’ IL MISTERIOSO "CONOSCENTE COMUNE" CHE MISE IN CONTATTO L’EX CAPO DI LOTTA CONTINUA CON IL DIRETTORE DEGLI AFFARI RISERVATI DEL VIMINALE FEDERICO UMBERTO D' AMATO, LO STESSO CHE MANOVRAVA LA "SQUADRA 54" NEI GIORNI DELLA STRAGE DI PIAZZA FONTANA E DELLA MORTE DI PINELLI...
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Gianni Barbacetto per il Fatto Quotidiano

ADRIANO SOFRIADRIANO SOFRI
Nelle ultime settimane. Abbiamo visto porre in piazza Fontana la formella su cui è inciso che la bomba del 12 dicembre 1969 fu messa dai fascisti di Ordine nuovo. Abbiamo sentito il presidente Sergio Mattarella affermare che le indagini sulla strage sono state inquinate da depistaggi di Stato.

Abbiamo ricordato Giuseppe Pinelli con la più allegra, musicale, anarchica e sconclusionata manifestazione mai vista a Milano. Abbiamo ascoltato il sindaco Giuseppe Sala chiedere scusa, a nome della città, a Pietro Valpreda e a Pino Pinelli, ingiustamente accusati. Ci sono voluti 50 anni, ma qualche passo avanti è stato fatto. Ora sappiamo - e in modo ufficiale - chi ha messo la bomba: i fascisti di Ordine nuovo e quel Franco Freda che gira libero per l' Italia, indicato come responsabile della strage da una sentenza della Cassazione che lo dice non più processabile perché già definitivamente assolto.

strage di piazza fontana 6STRAGE DI PIAZZA FONTANA 6
Sappiamo chi ha depistato le indagini: gli apparati dello Stato che hanno indicato la pista anarchica (l' Ufficio affari riservati) e sottratto ai giudici testimoni e prove sulla pista nera (il Sid, Servizio informazioni difesa). Sappiamo che Pinelli non solo è innocente, ma è anche la diciottesima vittima della strage. Ora ci vorrebbe uno scatto. Non sappiamo ancora tutto.

Non sappiamo i nomi dei neri entrati in azione quel 12 dicembre. Non abbiamo certezze sugli uomini dello Stato responsabili dei depistaggi e della morte di Pinelli. Qualcuno dovrebbe ora prendere la parola. Gli uomini ancora vivi di Ordine nuovo, per esempio. Il giudice Guido Salvini ha indicato nel suo libro su piazza Fontana i possibili componenti del commando che entrò in azione a Milano. E negli ultimi giorni si è avviato uno strano dibattito (a distanza) su piazza Fontana e sulla morte di Pinelli tra Adriano Sofri, Benedetta Tobagi, Giampiero Mughini, Guido Salvini.
adriano sofri foto di baccoADRIANO SOFRI FOTO DI BACCO

Sofri, sulle pagine del Foglio, il 14 dicembre 2019 ricorda la testimonianza dell' anarchico Pasquale Valitutti, fermato in questura dopo la strage di Milano, che continua a dire che non vide uscire Calabresi dalla stanza da cui Pinelli precipitò nella notte del 15 dicembre 1969, come invece stabilito dalla sentenza D' Ambrosio. Potrebbe non averlo visto: lo scrivono anche Gabriele Fuga ed Enrico Maltini (anarchico del circolo Ponte della Ghisolfa) nel libro Pinelli. La finestra è ancora aperta.

strage di piazza fontana 5STRAGE DI PIAZZA FONTANA 5
Sofri (condannato definitivo, insieme a Giorgio Pietrostefani, Ovidio Bompressi e Leonardo Marino per l' assassinio di Calabresi, ucciso il 17 maggio 1972) chiede anche la riapertura delle indagini, sulla base - dice - di un fatto nuovo: nella questura di Milano, dal 12 dicembre 1969 al lavoro sulla pista anarchica, il questore Marcello Guida, il capo della squadra politica Antonino Allegra, il suo vice Luigi Calabresi erano "guidati" dagli uomini degli Affari riservati del ministero dell' Interno arrivati da Roma. A prendere la direzione delle operazioni è la "Squadra 54" guidata da Silvano Russomanno e Ermanno Alduzzi.

strage di piazza fontana 7STRAGE DI PIAZZA FONTANA 7
È una "novità" che conosciamo, in verità, da qualche anno: la ricostruiscono proprio Fuga e Maltini nel loro libro scritto nel 2016, sulla base dei documenti sequestrati a metà degli anni Novanta in un armadio blindato del Viminale dal giudice Carlo Mastelloni, che rivelano anche l' esistenza della "Squadra 54". Il manovratore degli Affari riservati era il prefetto-gourmet Federico Umberto D' Amato, che aveva uno stuolo di informatori ("Le trombe di Gerico"), tra cui il capo di Avanguardia nazionale Stefano Delle Chiaie e l' infiltrato tra gli anarchici Enrico Rovelli (nome in codice: Anna Bolena), poi fondatore di locali milanesi (il Rolling Stone, il City Square, l' Alcatraz) e agente di Vasco Rossi.

giuseppe pinelliGIUSEPPE PINELLI
Proprio di D' Amato scrive Sofri, in due vecchi articoli pubblicati sul Foglio il 27 e il 29 maggio 2007: rivela che un ignoto "conoscente comune" lo mise in contatto con l' anima nera degli Affari riservati, il quale gli propose di compiere "un mazzetto d' omicidi", garantendogli impunità.

Lo ricorda Benedetta Tobagi nella sua replica sul Foglio del 17 dicembre 2019, richiamando anche una mezza conferma di D' Amato, contenuta in un documento rinvenuto dopo la sua morte avvenuta nel 1996: un abbozzo d' autobiografia dal titolo Memorie e contromemorie di un questore a riposo, in cui D' Amato racconta dei rapporti amichevoli con personaggi "come Adriano Sofri (con il quale ci siamo fatti paurose e notturne bottiglie di cognac)".

Tobagi ricorda che fu messa "in dubbio la veridicità del ricordo, dicendo che Sofri è astemio", ma "nulla vieta di ipotizzare che mentre il gourmet D' Amato sorseggiava alcolici d' annata, Sofri bevesse, che so, chinotto".

federico umberto d'amatoFEDERICO UMBERTO D'AMATO
Al di là delle bevande, sarebbe bello che l' allora capo di Lotta continua raccontasse chi era il misterioso "conoscente comune" e come sia stato possibile che D' Amato - lo stesso che manovrava la "Squadra 54" - gli abbia chiesto quel "mazzetto d' omicidi". Conclude Benedetta Tobagi: "L' ennesimo scambio indiretto di messaggi allusivi, ambigui e omertosi intorno a vicende degli anni Settanta su cui permangono spesse coltri di nebbia".

Aggiunge il giudice Salvini, nascosto in pagina, sul Foglio del 27 dicembre: "Credo che Pietrostefani abbia il dovere morale di raccontare cosa è accaduto. Non si ha il diritto di chiedere la verità sul 12 dicembre 1969 se si sceglie di tacere su ciò che è avvenuto il 17 maggio 1972, se non si racconta chi mandò quei due sciagurati di Bompressi e Marino in via Cherubini a uccidere il commissario. Sarebbe ora, ex poliziotti o ex capi di Lotta continua, di dire qualcosa e ciascuno ha il dovere di prendersi le proprie responsabilità. La verità è tale solo se intera, non se si sceglie solo la parte che è più gradita".
Sofri Bompressi Pietrostefani

martedì 24 dicembre 2019

                                                                  FALCONE


"NON FU SOLO DELITTO DI MAFIA" - I SOSPETTI DI FALCONE E L’OMICIDIO MATTARELLA: "SI POTREBBE RISCRIVERE LA STORIA DEL PAESE. SI TRATTA DI CAPIRE SE LA PISTA NERA SI COMPENETRI CON QUELLA DI COSA NOSTRA” – A 40 ANNI DAL DELITTO LA COMMISSIONE ANTIMAFIA PUBBLICA L’AUDIZIONE INTEGRALE DEL GIUDICE CHE ALL’EPOCA INDAGAVA SUGLI ATTENTATI POLITICI COMMESSI DA COSA NOSTRA - DAL GOLPE BORGHESE A SINDONA...
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Giovanni Bianconi per corriere.it

sergio mattarella e il fratello piersanti ucciso dalla mafiaSERGIO MATTARELLA E IL FRATELLO PIERSANTI UCCISO DALLA MAFIA
«È un’indagine estremamente complessa perché si tratta di capire se, e in quale misura, la “pista nera” sia alternativa a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa», diceva Giovanni Falcone, nel 1988, a proposito dell’omicidio di Piersanti Mattarella, il presidente della Regione siciliana assassinato otto anni prima, il 6 gennaio 1980 nel centro di Palermo.

Fra due settimane saranno passati quarant’anni esatti da quel delitto, e la commissione parlamentare Antimafia ha deciso di ricordare l’anniversario pubblicando il verbale integrale dell’audizione dell’allora giudice istruttore davanti alla commissione dell’epoca, datato 3 novembre 1988.

sergio mattarellaSERGIO MATTARELLA
In quel momento Falcone stava svolgendo indagini su un paio di terroristi neofascisti indiziati dell’uccisione dell’uomo politico, fratello di Sergio, l’attuale presidente della repubblica e sull’ipotesi della connessione tra estremismo nero e Cosa nostra aggiunse che quell’eventuale convergenza d’interessi «potrebbe significare altre saldature, e soprattutto la necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro paese, anche da tempi assai lontani».

La «pista nera»
L’audizione di Falcone e degli altri giudici istruttori del pool antimafia sopravvissuto alle polemiche con il nuovo capo dell’ufficio Antonino Meli, era finora coperta dal segreto (sebbene qualcosa fosse già trapelato in alcuni processi e qualche pubblicazione), e fa parte dei documenti che la commissione parlamentare ha deciso ora di rendere noti. In quel momento Falcone stava indagando soprattutto su Giusva Fioravanti, l’ex capo dei Nuclei armati rivoluzionari per il quale l’anno successivo avrebbe spiccato un mandato di cattura proprio per l’omicidio Mattarella, poi rinviato a giudizio insieme al presunto complice Gilberto Cavallini, anche lui militante dei Nar.

falconeFALCONE
Ma nel successivo processo in corte d’assise Fioravanti e Cavallini furono assolti su richiesta della stessa Procura, perché gli elementi raccolti furono giudicati insufficienti, e i verdetti di non colpevolezza furono confermati fino in Cassazione. Ma al di là delle sentenze, la cosiddetta «pista nera» ha continuato ad essere battuta dagli inquirenti negli anni successivi, fino all’ultima inchiesta della magistratura palermitana condotta dal procuratore Francesco Lo Voi e dal sostituto Roberto Tartaglia, oggi consulente dell’Antimafia che sta curando la desecretazione dei verbali.



Dal golpe Borghese a Sindona
Sulle possibili connessioni tra Cosa nostra e neofascisti, Falcone nel 1988 ricordava che «i collegamenti risalgono a certi passaggi del golpe Borghese, in cui sicuramente era coinvolta la mafia siciliana. E ci sono inoltre collegamenti con la presenza di Sindona», il bancarottiere legato alla mafia che nei mesi precedenti all’assassinio del presidente della Regione si trovava clandestinamente in Sicilia, a stretto contatto con i boss della Cupola. «Questi elementi comportano la necessità di un’indagine molto approfondita che peraltro stiano svolgendo, e che prevediamo non si possa esaurire in tempi brevi», concluse Falcone.
francesca mambro e giusva fioravantiFRANCESCA MAMBRO E GIUSVA FIORAVANTI

Il giudice, poi divenuto procuratore aggiunto di Palermo, fece tutto ciò che c’era da fare per portare a giudizio gli estremisti neri nel 1991, poi si trasferì a Roma per lavorare al ministero della Giustizia e un anno più tardi, nel 1992, fu ucciso nella strage di Capaci insieme alla moglie Francesca tre agenti di scorta. Quando saltò in aria, Falcone era in corsa per guidare la neonata Procura nazionale antimafia, da dove avrebbe voluto riprendere in mano le indagini. Comprese quelle sugli omicidi politico-mafiosi, tra cui spicca il delitto Mattarella. Per il quale, nonostante la condanna dei componenti della Cupola come mandanti, a quarant’anni di distanza non si conoscono ancora gli esecutori materiali.
michele sindonaMICHELE SINDONA

martedì 17 dicembre 2019

                                                                          SARDINE


IL MANIFESTO DELLE SARDINE SEMBRA INSIPIDO MA È UNA SCHIFEZZA ORWELLIANA CHE FAREBBE LECCARE I BAFFI A QUALUNQUE REGIME, E PER FORTUNA BARBARA SPINELLI LO FA A PEZZI - ''NON È UN PROGRAMMA ECONOMICO NÉ SOCIALE, PARLA SOLO DI COMUNICAZIONE E USO DEI SOCIAL NETWORK. ASPIRA A UN VASTO CONTROLLO/SOPPRESSIONE DEI MEDIA E DEI LORO CONTENUTI, SOPRATTUTTO ONLINE. TUTTO QUELLO CHE VIENE RITENUTO VIOLENTO (DA CHI? DA QUALE ISTANZA?) È PASSIBILE DI AZIONI CHE LIMITANO LA LIBERTÀ DI DIFFONDERE E RICEVERE INFORMAZIONI''
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Barbara Spinelli per il “Fatto quotidiano

Sabato a San Giovanni le Sardine hanno annunciato il loro programma, non economico né sociale, ma incentrato quasi interamente sulla comunicazione e sull' uso nonché controllo dei social network.

MATTIA SANTORI NEL PRESEPEMATTIA SANTORI NEL PRESEPE
Essendomi occupata di questo tema nella scorsa legislatura europea, come relatore della risoluzione dell' aprile 2018 sul pluralismo e la libertà dei media nell' Unione europea, non posso fare a meno di esprimere disagio.

Ricordo che le principali obiezioni a una piena libertà dei media e a un più scrupoloso rispetto del diritto internazionale sono venute - durante i negoziati che ho condotto con i vari gruppi del Parlamento prima che la relazione venisse adottata - dal Partito popolare, dai Conservatori e da buona parte dei Socialisti e dei Liberali. Le obiezioni non mi hanno permesso, tra l' altro, di mantenere nella sua integralità il paragrafo sul reato di diffamazione, di cui chiedevo la depenalizzazione.
mattia santori a piazza san giovanniMATTIA SANTORI A PIAZZA SAN GIOVANNI

Meglio dunque i silenzi e il vuoto di messaggio delle prime manifestazioni di piazza che la nuova Costituzione distopica "pretesa" dalle Sardine (ma da chi, fra le Sardine?) nei 6 punti indicati a San Giovanni. Eccoli elencati, in ordine di gravità.

Il numero 5 ("La violenza verbale venga equiparata a quella fisica") non resisterebbe al giudizio di nessuna Corte: internazionale (Onu), europea o nazionale. Da anni - e soprattutto dall' inizio delle guerre contro il terrorismo - le Corti discutono e sentenziano su quale violenza sia condannabile, nei media offline e online: i verdetti invariabilmente e puntigliosamente separano la violenza verbale da quella fisica, pur fissando alcuni paletti molto ben definiti alla violenza verbale (in sostanza: la violenza che prelude inequivocabilmente a IMMINENTI violenze fisiche). L' equiparazione è un temibile novum giuridico, da evitare a tutti i costi e in tutte le sedi.
mattia santori sardina in chief 1MATTIA SANTORI SARDINA IN CHIEF 1

Il reato di diffamazione, criticato da diverse Corti europee e internazionali che raccomandano di sostituirlo con l' imputazione di illecito amministrativo, viene rafforzato.
I numeri 3 e 4 promettono male, contaminati come sono, e forzatamente, dal numero 5 che introduce il novum giuridico sulla violenza. Il numero 3 pretende "trasparenza nell' uso che la politica fa dei social network".

Il numero 4 pretende che "il mondo dell' informazione traduca tutto questo nostro sforzo in messaggi fedeli ai fatti". Si profila l' aspirazione a un vasto controllo/soppressione dei media e dei loro contenuti, soprattutto online. Tutto quello che viene ritenuto violento (da chi? Da quale istanza?) è passibile di azioni che limitano la libertà di diffondere e ricevere informazioni.
nibras asfa sul palco delle sardineNIBRAS ASFA SUL PALCO DELLE SARDINE

Il numero 6 pretende l' abrogazione dei decreti Sicurezza. È l' unico punto veramente sensato, ma se la pretesa sulla violenza contenuta nel numero 5 (applicata in vari ambiti: media online e offline, manifestazioni pubbliche etc.) viene inserita nei decreti riscritti, è meglio forse tenersi quelli di Salvini.

Il numero 2 ("Chiunque ricopra la carica di ministro comunichi solamente nei canali istituzionali") blinda le oligarchie e non le obbliga, come invece queste dovrebbero, a comunicare tous azimuts, anziché solo nei canali istituzionali. La comunicazione limitata le protegge da ogni sorta di attacco esterno, rinchiudendole in un recinto separato.
SARDINE A PIAZZA SAN GIOVANNISARDINE A PIAZZA SAN GIOVANNI
Il numero 1 recita: "Chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a lavorare". È immaginabile che si faccia qui riferimento alle attività non istituzionali di Salvini ministro dell' Interno. Ma la pretesa viene generalizzata e ha un suono inquietante, soprattutto se legata al numero 2.
LE SARDINE A PIAZZA SAN GIOVANNILE SARDINE A PIAZZA SAN GIOVANNILE SARDINE A PIAZZA SAN GIOVANNILE SARDINE A PIAZZA SAN GIOVANNIsardine a roma 14SARDINE A ROMA 14sardine a roma 11SARDINE A ROMA 11sardine a roma 12SARDINE A ROMA 12sardine a roma 3SARDINE A ROMA 3sardine a roma 17SARDINE A ROMA 17LE SARDINE A PIAZZA SAN GIOVANNILE SARDINE A PIAZZA SAN GIOVANNIsardine a roma 7SARDINE A ROMA 7sardine a roma 1SARDINE A ROMA 1SARDINE A PIAZZA SAN GIOVANNISARDINE A PIAZZA SAN GIOVANNI
                                                            PASSI AVANTI


Pedofilia, svolta storica: papa Francesco abolisce il segreto pontificio

Pedofilia, svolta storica: papa Francesco abolisce il segreto pontificio
Bergoglio ha anche stabilito che il reato pedopornografia sussiste fino a quando i soggetti hanno 18 anni e non più 14


17 dicembre 2019
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CITTA' DEL VATICANO - Una svolta storica. Con due documenti Francesco abolisce il segreto pontificio nei casi di violenza sessuale e di abuso sui minori commessi dai chierici, e decide, insieme, di cambiare la norma riguardante il delitto di pedopornografia facendo ricadere nella fattispecie dei “delicta graviora” - i delitti più gravi - la detenzione e la diffusione di immagini pornografiche che coinvolgano minori fino all’età di 18 anni.

È trascorso meno di un anno dal summit sugli abusi convocato per la prima volta dal Papa in Vaticano. In quell’occasione furono soprattutto le vittime a dire la loro e, alcune, a uscire con l’amaro in bocca per decisioni drastiche ancora non prese. Oggi è a loro che la Santa Sede di fatto guarda, con un cambio di passo che, come spiega il direttore editoriale di Vatican News Andrea Tornielli, è proprio “frutto” di quel summit. I due documenti, infatti, comportano, spiega ancora Tornielli “che le denunce, le testimonianze e i documenti processuali relativi ai casi di abuso conservati negli archivi dei Dicasteri vaticani come pure quelli che si trovano negli archivi delle diocesi, e che fino ad oggi erano sottoposti al segreto pontificio, potranno essere consegnati ai magistrati inquirenti dei rispettivi Paesi che li richiedano. Un segno di apertura, di disponibilità, di trasparenza, di collaborazione con le autorità civili”.

Il primo e più importante documento è un rescritto a firma del cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin. Dice che il Papa il 4 dicembre scorso ha disposto di abolire il segreto pontificio sulle denunce, i processi e le decisioni riguardanti i delitti citati nel primo articolo del recente motu proprio “Vos estis lux mundi”, vale a dire: i casi di violenza e di atti sessuali compiuti sotto minaccia o abuso di autorità; i casi di abuso sui minori e su persone vulnerabili; i casi di pedopornografia; i casi di mancata denuncia e copertura degli abusatori da parte dei vescovi e dei superiori generali degli istituti religiosi.

La nuova istruzione specifica anche che le “informazioni sono trattate in modo da garantirne la sicurezza, l’integrità e la riservatezza” stabiliti dal Codice di Diritto canonico per tutelare “la buona fama, l’immagine e la sfera privata” delle persone coinvolte. Ma questo ‘segreto d’ufficio’, si legge ancora nell’istruzione, “non osta all’adempimento degli obblighi stabiliti in ogni luogo dalle leggi statali”, compresi gli eventuali obblighi di segnalazione, “nonché all’esecuzione delle richieste esecutive delle autorità giudiziarie civili”. Inoltre, a chi effettua la segnalazione, a chi è vittima e ai testimoni “non può essere imposto alcun vincolo di silenzio” sui fatti.

Con il secondo rescritto firmato da Parolin e dal prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Luis Ladaria Ferrer, vengono rese note le modifiche di tre articoli del motu proprio “Sacramentorum sanctitatis tutela” (del 2001, già modificato nel 2010). Si stabilisce che ricada tra i delitti più gravi riservati al giudizio della Congregazione per la dottrina della fede “l’acquisizione o la detenzione o la divulgazione, a fine di libidine, di immagini pornografiche di minori di diciotto anni da parte di un chierico, in qualunque modo e con qualunque strumento”. Fino ad oggi quel limite era fissato a 14 anni.

In un altro articolo si permette che nei casi riguardanti questi delitti più gravi possano svolgere il ruolo di “avvocato e procuratore” anche fedeli laici provvisti di dottorato in Diritto canonico e non più soltanto sacerdoti.

Il rescritto papale ovviamente non cambia il segreto della confessione che rimane. E nemmeno comporta la pubblicazione e la divulgazione dei documenti dei processi. La riservatezza per le vittime e per i testimoni è infatti sempre tutelata. “Ma ora – scrive ancora Tornielli – la documentazione dovrà essere messa a disposizione delle autorità civili per le indagini riguardanti i casi già interessati da un procedimento canonico”.
 

lunedì 16 dicembre 2019

                                                            NUMERI




Il rapporto Istat sull'immigrazione: "Più italiani emigrati, meno arrivi dall'Africa"

Il rapporto Istat sull'immigrazione: "Più italiani emigrati, meno arrivi dall'Africa"

ROMA - Aumentano gli italiani che si trasferiscono all'estero, diminuiscono invece gli immigrati dall'Africa. A rivelarlo sono i dati dell'Istat. Nel 2018 le cancellazioni anagrafiche per l'estero sono 157 mila (+1,2% sul 2017). Di queste, quasi tre su quattro riguardano emigrati italiani (117 mila, +1,9%). Le iscrizioni anagrafiche dall'estero sono circa 332 mila, per la prima volta in calo rispetto all'anno precedente (-3,2%) dopo i costanti incrementi registrati tra 2014 e 2017.

Sono dunque 816 mila gli italiani che si sono trasferiti all'estero negli ultimi 10 anni.Oltre il 73% ha 25 anni e più; di questi, quasi tre su quattro hanno un livello di istruzione medio-alto. Il calo, invece, degli immigrati in Italia provenienti dal continente africano nel 2018 è pari al -17%.
 

Gli italiani emigrati

Nel decennio 1999-2008 gli italiani che hanno trasferito la residenza all'estero sono stati complessivamente 428 mila a fronte di 380 mila rimpatri, con un saldo negativo di 48 mila unità. Dal 2009 al 2018 si è registrato un significativo aumento delle cancellazioni per l'estero e una riduzione dei rientri (complessivamente 816 mila espatri e 333 mila rimpatri); di conseguenza, i saldi migratori con l'estero dei cittadini italiani, soprattutto a partire dal 2015, sono stati in media negativi per 70 mila unità l'anno.

La regione da cui emigrano più italiani, in valore assoluto, è la Lombardia con un numero di cancellazioni anagrafiche per l'estero pari a 22 mila, seguono Veneto e Sicilia (entrambe oltre 11 mila), Lazio (10 mila) e Piemonte (9 mila). In termini relativi, rispetto alla popolazione italiana residente nelle regioni, il tasso di emigratorietà più elevato si ha in Friuli-Venezia Giulia (4 italiani su 1.000 residenti), Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta (3 italiani su 1.000), grazie anche alla posizione geografica di confine che facilita i trasferimenti con i paesi limitrofi. Tassi più contenuti si rilevano nelle Marche (2,5 per 1.000), in Veneto, Sicilia, Abruzzo e Molise (2,4 per 1.000). Le regioni con il tasso di emigratorietà con l'estero più basso sono Basilicata, Campania e Puglia, con valori pari a circa 1,3 per 1.000.

A un maggior dettaglio territoriale, i flussi di cittadini italiani diretti verso l'estero provengono principalmente dalle prime quattro città metropolitane per ampiezza demografica: Roma (8 mila), Milano (6,5 mila), Torino (4 mila) e Napoli (3,5 mila); in termini relativi, tuttavia, rispetto alla popolazione italiana residente nelle province, sono Imperia e Bolzano (entrambe 3,6 per 1.000), seguite da Vicenza, Trieste e Isernia (3,1 per 1.000) ad avere i tassi di emigratorietà provinciali degli italiani più elevati; quelli più bassi si registrano invece a Parma e Matera (1 per 1.000).

Nel 2018 il Regno Unito continua ad accogliere la maggioranza degli italiani emigrati all'estero (21 mila), seguono Germania (18 mila), Francia (circa 14 mila), Svizzera (quasi 10 mila) e Spagna (7 mila). In questi cinque paesi si concentra complessivamente il 60% degli espatri di concittadini. Tra i paesi extra-europei, le principali mete di destinazione sono Brasile, Stati Uniti, Australia e Canada (nel complesso 18 mila).
 

Gli spostamenti interni

Si continua a spostarsi per i lavoro dal Sud verso il Settentrione e il Centro Italia e il fenomeno è in lieve aumento. Secondo il rapporto Istat sulle iscrizioni e cancellazioni anagrafiche della popolazione residente | nel 2018, sono oltre 117 mila i movimenti da Sud e Isole che hanno come destinazione le regioni del Centro e del Nord (+7% rispetto al 2017). A soffrire sono soprattutto Sicilia e Campania, che nel 2018  perdono oltre 8.500 residenti italiani laureati di 25 anni e più per trasferimenti verso altre regioni.
 

I flussi di cittadini stranieri

Tra gli italiani che espatriano si contano anche i flussi dei cittadini di origine straniera : si tratta di cittadini nati all'estero che emigrano in un paese terzo o fanno rientro nel luogo di origine, dopo aver trascorso un periodo in Italia e aver acquisito la cittadinanza italiana. Le emigrazioni di questi "nuovi" italiani, nel 2018, ammontano a circa 35 mila (30% degli espatri, +6% rispetto al 2017). Di questi, uno su tre è nato in Brasile (circa 12 mila), il 10% in Marocco, il 6% in Germania, il 4% nella ex Jugoslavia e in Bangladesh, il 3,5% in India e in Argentina.

I paesi dell'Unione europea si confermano le mete principali anche degli espatri dei "nuovi" italiani (55% dei flussi degli italiani nati all'estero). In particolare, con riferimento al collettivo dei connazionali diretti nei paesi dell'Ue, si osserva che il 17% è nato in Marocco, il 16% in Brasile, il 7% nel Bangladesh. Ancora più in dettaglio, i cittadini italiani di origine africana emigrano perlopiù in Francia (62%), quelli nati in Asia nella stragrande maggioranza si dirigono verso il Regno Unito (90%) così come fanno, ma in misura molto più contenuta, i cittadini italiani nativi dell'America Latina (26%). I cittadini nati in un paese dell'Ue invece emigrano soprattutto in Germania (42%).
 

Età e livello di istruzione

Nel 2018, gli italiani espatriati sono prevalentemente uomini (56%). Fino ai 25 anni, il contingente di emigrati ed emigrate è ugualmente numeroso (entrambi 18 mila) e presenta una distribuzione per età perfettamente sovrapponibile. A partire dai 26 anni fino alle età anziane, invece, gli emigrati iniziano a essere costantemente più numerosi delle emigrate: dai 75 anni in poi le due distribuzioni tornano a sovrapporsi. L'età media degli emigrati è di 33 anni per gli uomini e 30 per le donne. Un emigrato su cinque ha meno di 20 anni, due su tre hanno un'età compresa tra i 20 e i 49 anni mentre la quota di ultracinquantenni è pari al 13%.

Considerando il livello di istruzione posseduto al momento della partenza, nel 2018 più della metà dei cittadini italiani che si sono trasferiti all'estero (53%) è in possesso di un titolo di studio medio-alto: si tratta di circa 33 mila diplomati e 29 mila laureati. Rispetto all'anno precedente le numerosità dei diplomati e laureati emigrati sono in aumento (rispettivamente +1% e +6%). L'incremento è molto più consistente se si amplia lo spettro temporale: rispetto a cinque anni prima gli emigrati con titolo di studio medio-alto crescono del 45%, rispetto a 10 anni prima sono 182 mila.

Quasi tre cittadini italiani su quattro trasferitisi all'estero hanno 25 anni o più: sono poco più di 84 mila (72% del totale degli espatriati); di essi 27 mila (32%) sono in possesso di almeno la laurea. In questa fascia d'età si riscontra una lieve differenza di genere: nel 2018 le italiane emigrate sono circa il 42% e di esse oltre il 35% è in possesso di almeno la laurea, mentre, tra gli italiani che espatriano (58%), la quota di laureati è pari al 30%. Rispetto al 2009, l'aumento degli espatri di laureati è più evidente tra le donne (+10 punti percentuali) che tra gli uomini (+7%), Tale incremento risente in parte dell'aumento contestuale dell'incidenza di donne laureate nella popolazione (dal 5,3% del 2008 al 7,5% del 2018).
 

I rimpatri

L'altra faccia della medaglia è costituita dai rimpatri: nel 2018, considerando il rientro degli italiani di 25 anni e più con almeno la laurea (13 mila), la perdita netta (differenza tra rimpatri ed espatri) di popolazione "qualificata" è di 14 mila unità. Tale perdita riferita agli ultimi dieci anni ammonta complessivamente a poco meno di 101 mila unità.

La ripresa delle emigrazioni di cittadini italiani è da attribuire in parte alle difficoltà del nostro mercato del lavoro, soprattutto per i giovani e le donne e, presumibilmente, anche al mutato atteggiamento nei confronti del vivere in un altro Paese - proprio delle generazioni nate e cresciute in epoca di globalizzazione- che induce i giovani più qualificati a investire con maggior facilità il proprio talento nei paesi esteri in cui sono maggiori le opportunità di carriera e di retribuzione . I programmi specifici di defiscalizzazione, messi in atto dai governi per favorire il rientro in patria delle figure professionali più qualificate, non si rivelano quindi del tutto sufficienti a trattenere le giovani risorse che costituiscono parte del capitale umano indispensabile alla crescita del Paese.

Le iscrizioni anagrafiche dall'estero registrate nel corso del 2018 ammontano a 332.324, in calo del 3,2% rispetto all'anno precedente; di queste, 286 mila riguardano cittadini stranieri (86% del totale). A livello nazionale il tasso di immigratorietà è pari a 4,7 immigrati stranieri ogni 1.000 abitanti.
 

I flussi migratori verso l'Italia

L'andamento dei flussi migratori in ingresso nell'ultimo decennio per macro-aree di provenienza evidenzia un calo generale delle immigrazioni per tutti i paesi esteri: dopo l'incremento dovuto alle regolarizzazioni e all'ingresso di Romania e Bulgaria nell'Unione europea osservato nei primi anni Duemila, i trasferimenti dall'estero hanno avuto un lento declino. Dal 2015 al 2017 le immigrazioni sono tornate ad aumentare per via dei flussi numerosi provenienti dai paesi che si affacciano sul Mediterraneo, caratterizzati prevalentemente da cittadini in cerca di accoglienza per asilo e protezione umanitaria . Nel 2018, questi ingressi hanno subito una battuta d'arresto.

Nel 2018 le iscrizioni anagrafiche dall'estero più numerose provengono, in valore assoluto, da paesi europei: la Romania con 37 mila ingressi (11% del totale) si conferma il principale paese di origine seppur in deciso calo (-10% rispetto al 2017). Meno numerosi i flussi provenienti dall'Albania (oltre 18 mila) ma in forte aumento rispetto all'anno precedente (+16%).

Seguono le iscrizioni da Ucraina (8 mila, -2%), Germania (oltre 7 mila, +9%) e Regno Unito (poco meno di 7 mila, +12%). Per gli ultimi due flussi si tratta prevalentemente di cittadini italiani che fanno rientro in patria dopo un soggiorno all'estero.

Sempre consistenti, ma nettamente in diminuzione, le immigrazioni provenienti dal continente africano, in particolare quelle provenienti da Nigeria (18 mila, -24%), Senegal (9 mila, -20 %), Gambia (6 mila, -30%), Costa d'Avorio (5 mila, -27%) e Ghana (5 mila, -25%) che durante il 2017 avevano fatto registrare aumenti record. Il Marocco è l'unico paese africano che segna una variazione positiva rispetto all'anno precedente (17 mila, +9%).

Tra i flussi provenienti dall'area asiatica, i più cospicui sono quelli da Bangladesh e Pakistan (entrambi 13 mila, ma in calo rispettivamente di 8% e 12%), le immigrazioni dall'India invece ammontano a oltre 11 mila e aumentano del 42% rispetto al 2017. In aumento anche le iscrizioni dall'America: dal Brasile si contano circa 24 mila iscritti (+18%), dal Venezuela circa 6 mila (+43%) e dagli Stati Uniti oltre 4 mila (+16%).

Le immigrazioni di cittadini italiani ammontano a 47 mila nel 2018 (14% del totale iscritti dall'estero). Si tratta di flussi provenienti in larga parte da paesi che sono stati in passato mete di emigrazione italiana. Ai primi posti della graduatoria per provenienza si trovano, infatti, Brasile e Germania (che insieme originano complessivamente un quarto dei flussi di immigrazione italiana), Regno Unito (10% sul totale immigrati italiani), Svizzera (9%) e Venezuela (7%). Per alcuni di essi è plausibile l'ipotesi del rientro in patria dopo un periodo di permanenza all'estero.