Visualizzazione post con etichetta FALCONE E BORSELLINO. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta FALCONE E BORSELLINO. Mostra tutti i post

venerdì 2 agosto 2024

 

1. DI PIETRO BUM! - ''SE RAUL GARDINI PARLAVA, SE SALVO LIMA NON MORIVA, IO AVREI POTUTO AVERE ELEMENTI SUFFICIENTI PER CHIEDERE AL PARLAMENTO DI ARRESTARE GIULIO ANDREOTTI” 2. ''MANI PULITE NASCE DAL MAXI-PROCESSO DI PALERMO, QUANDO BUSCETTA RIVELA A FALCONE L’ACCORDO TRA IL GRUPPO FERRUZZI E LA MAFIA. I ROS STILARONO UN RAPPORTO PER FALCONE CHE IL CAPO DELLA PROCURA DI PALERMO PIETRO GIAMMANCO SEPPELLI' IN CASSAFORTE''
3. ARI-BUM!: ''DOPO LA MORTE DI FALCONE, BORSELLINO VOLEVA LAVORARE A QUEL RAPPORTO: NON È STATO UCCISO PER QUEL CHE AVEVA FATTO, MA PER QUEL CHE DOVEVA ANCORA FARE…”  4. ANCORA: "MANI PULITE NON È STATA FERMATA DALLA POLITICA: È STATA FERMATA DAI GIUDICI'' 5. FINALE: “GARDINI NON SI È SUICIDATO PER DISPERAZIONE: SAPEVA CHE DOVEVA FARE IL NOME DI LIMA, CHE AVEVA RICEVUTO UNA PARTE DELLA TANGENTE ENIMONT DA 150 MILIARDI DI LIRE"  
6. DAGO: ''L'UNICO ANCORA IN VITA CHE PUO' CONTESTARE L'INTERVISTA ALL'ESPRESSO DI DI PIETRO E' SERGIO CUSANI, IL CONSULENTE FINANZIARIO DELLA FAMIGLIA FERRUZZI-GARDINI"

C


Estratto dell'articolo di Susanna Turco per "L'Espresso" del 16 gennaio 2020

 

antonio di pietroantonio di pietro

«Craxi? Ma Craxi era solo uno dei tanti». D’improvviso, allo scoccare della seconda ora e mezza di conversazione, con quel suo modo un po’ buffo e stratificato di parlare – sopra approssimativo, sotto preciso, fulmineo - Antonio di Pietro, 69 anni, ex pm, ex politico, oggi avvocato sostanzialmente lontano dalle scene, butta già l’ultimo feticcio che era rimasto in piedi di una pagina che ripercorre in un modo mai visto.

 

Ci si doveva […] per parlare […] di Bettino Craxi, a vent’anni dalla morte. Arrivati al caffè, quel nome ancora non l’ha pronunciato. […] Racconta una storia diversa, un binario parallelo e inedito, che in parte ha depositato nella sua ultima testimonianza, al processo d’appello sulla trattativa Stato-mafia a Palermo, a ottobre.

 

giovanni falcone paolo borsellinogiovanni falcone paolo borsellino

«Mani pulite è una storia che andrebbe riscritta», dice adesso il volto più noto dell’inchiesta del Pool di Milano che ha buttato giù la Prima repubblica. Lui che è una pagina di storia. E che, quindici anni dopo, si è ritrovato di nuovo al centro dei giochi, nel cuore di uno degli prodotti di Mani pulite, l’onda antipolitica che ha portato - anche all’ombra di Casaleggio - alla nascita e alla crescita dei movimenti tra rete e realtà: non solo il Movimento 5 stelle, ma anche l’Italia dei valori, di cui proprio Casaleggio curò la comunicazione. Ecco lui, uomo di tanti snodi chiamato a parlare di Craxi, quando apre la porta di casa per prima cosa parla del codice penale. Ti accoglie così: «Scusi, ma il 323, io l’ho mai contestato? Non mi ricordo di averlo fatto».

ANTONIO DI PIETRO CON I SUOI ASINIANTONIO DI PIETRO CON I SUOI ASINI

[…]

A bloccare Mani pulite sono stati i magistrati?

«Mani pulite non è stata fermata dalla politica: è stata fermata dai giudici. È una storia che va riscritta, prima o poi. La politica non la poteva fermare, se i giudici avessero fatto il loro dovere. Mani pulite si ferma oggettivamente quando si rompe l’unicità dell’inchiesta. La sua forza era infatti nel cosiddetto fascicolo virtuale, nell’idea cioè di creare una connessione probatoria tra tutti i fatti per cui procedeva una sola autorità giudiziaria.

 

Ma nel momento in cui nascono i conflitti di competenza territoriale, il fascicolo si smembra: e allora non ha più tutti gli elementi, non si può più utilizzare, e soprattutto il pm che sta qua, non conosce l’insieme degli elementi del pm che sta là. E allora, nel 1994, ecco gli emulatori: Roma, Napoli, Catania, Foggia, Bari, Venezia, Genova etc. Oltretutto, invece che cercare il reato, ci si è messi a investigare per cercare se c’era un reato... Questo è un lato della faccenda: l’altro sta in quello che è successo a me con la vicenda Filippo Salamone, il dossier Achille, di cui ho parlato nell’aula bunker».

raul gardiniraul gardini

 

A Palermo ha detto anche che Mani pulite si interrompe quando arriva alla connessione appalti-mafia. Partiamo da qui?

«Parliamoci chiaro. Ho intenzione prima o poi di parlarne, sto portando le mie carte e i miei documenti un po’ qua e un po’ là, nell’indecisione di cosa farci: io e mia figlia li vogliamo bruciare, mio figlio e mia moglie dicono di no.

 

Ma se adesso si pensa di intitolare una strada a una persona esiliata, e si dice che Mani pulite è stata come piazzale Loreto, sembra di vedere la storia in modo capovolto. Ma ci sarà un momento per rivalutare questa storia. Ci sarà. Mani pulite non l’ho scoperta io: nasce all’esito dell’inchiesta del maxi-processo di Palermo, quando Giovanni Falcone riceve, riservatamente, da Tommaso Buscetta la notizia che è stato fatto l’accordo tra il Gruppo Ferruzzi e la mafia. Là nasce. E Falcone dà l’incarico al Ros di fare quel che poi è divenuto il rapporto di 980 pagine: che doveva andare a Falcone, ma lui viene trasferito».

ANTONIO DI PIETRO CIRCONDATO DAI GIORNALISTIANTONIO DI PIETRO CIRCONDATO DAI GIORNALISTI

 

A Roma, come direttore generale degli affari penali al ministero di Grazia e Giustizia.

«E il rapporto dei Ros rimane lì, a Palermo, in mano a Pietro Giammanco, che lo mette in cassaforte. Falcone, appena vede tutto questo, ne parla con altre persone. Ne parla con me, perché io stavo lì, al ministero, e lui nemmeno lo conoscevo.

 

Ero perito elettronico, ero stato alla Difesa, mi occupavo di informatizzazione degli uffici giudiziari. Sono stato chiamato lì perché all’epoca nessuno sapeva come funzionava, e invece scoprono che c’è uno che capisce qualcosa di informatica. Così conosco Falcone, la Del Ponte e vengo a sapere di questa realtà. Falcone aveva l’idea che doveva informatizzare questa cosa, quindi già nasce lì».

 

giovanni falcone paolo borsellinogiovanni falcone paolo borsellino

E l’altra persona a cui ne aveva parlato?

«L’altra era Paolo Borsellino: gli aveva detto di portare avanti quell’inchiesta del Ros. Con Borsellino ci siamo parlati ai funerali di Falcone: nella camera ardente, appoggiati alla colonna.

 

E lui, che nel frattempo evidentemente aveva saputo che Falcone me ne aveva parlato, ripeteva: dobbiamo fare presto, dobbiamo fare presto. Io da parte mia ero partito due o tre anni prima, con Lombardia informatica. Dopo Capaci, Borsellino chiama, si arrabbia come una bestia, si fa dare il fascicolo da Giammanco e si mette a indagare.

 

Chiama Giuseppe De Donno. Borsellino poi viene ammazzato. E io ho sempre sostenuto, ho anche degli elementi, che non è stato ucciso per quel che aveva fatto, ma per quel che doveva ancora fare in quell’inchiesta: non per il maxiprocesso insieme a Falcone, ma perché insieme a Falcone doveva far nascere Mafia pulita».

ANTONIO DI PIETRO ACCERCHIATO DA CRONISTI DURANTE MANI PULITEANTONIO DI PIETRO ACCERCHIATO DA CRONISTI DURANTE MANI PULITE

 

Mafia pulita?

«Mani pulite non nasce con Mani pulite, nasce come figlia di Mafia pulita. E il mio obiettivo non era scoprire quello che ho scoperto: era arrivare al collegamento al quale già erano arrivati loro, a Palermo. Raul Gardini non si suicida così, per disperazione, il 23 luglio 1993: si suicida perché sa che quella mattina, venendo da me, doveva fare il nome di Salvo Lima, che aveva ricevuto una parte della tangente Enimont da 150 miliardi di lire».

pietro giammanco paolo borsellinopietro giammanco paolo borsellino

 

Scusi ma è roba nuova questa?

«Ma no! Ne ho parlato con la procura di Brescia, Milano, ne ho parlato col Copasir, con la procura di Palermo, a Caltanissetta, ma sembra che a nessuno interessi più di tanto, eppure è una storia drammatica».

 

Cioè, lei sta dicendo: la tangente Enimont era andata un pezzo anche a Salvo Lima, come rappresentante di Andreotti e della mafia.

«Se quel fatto veniva detto, se Gardini parlava, se Salvo Lima non moriva, io avrei potuto avere elementi sufficienti per chiedere al Parlamento di arrestare Andreotti».

antonio di pietro gherardo colombo francesco greco piercamillo davigoantonio di pietro gherardo colombo francesco greco piercamillo davigo

 

Si sarebbero saldate le inchieste, Milano e Palermo.

«Invece all’improvviso le solite manine della delegittimazione mandano una marea di esposti contro di me alla procura di Brescia, che mi costringono alle dimissioni. Ma quando a me rimproverano: “ti sei dimesso”, possibile che nessuno si chieda perché l’ho fatto?».

 

Veramente ce lo chiediamo da 25 anni.

giovanni falcone paolo borsellinogiovanni falcone paolo borsellino

«Sì, ma è da 25 anni che lo racconto alle autorità giudiziarie. Ma a quanto pare a nessuno fa piacere la mia risposta: era una scelta di campo. Se non mi fossi dimesso sarei stato arrestato, perché le accuse fatte nei miei confronti lo prevedevano obbligatoriamente: c’era il concreto pericolo di inquinamento delle prove, finché ero magistrato. Dunque a Brescia avrebbero potuto arrestarmi. Proprio nel mentre, io stavo arrivando alla cupola mafiosa grazie alle dichiarazioni che mi aveva fatto il pentito Li Pera su un certo Filippo Salamone, imprenditore agrigentino intermediario tra il sistema mafioso e il sistema imprese-appalti, il nord che veniva gestito soprattutto da Gardini e dalla Calcestruzzi spa di Panzavolta. Insomma Palermo arriva prima di me, nel 1992».

 

E lei quando ci arriva?

la deposizione di bettino craxi davanti ad antonio di pietrola deposizione di bettino craxi davanti ad antonio di pietro

«Io l’anno dopo. Con la morte di Falcone e Borsellino cambio strategia: mi dedico solo alle imprese, perché - mi dico - l’unico modo per arrivare a scoprire le malefatte di Tangentopoli e Mafiopoli è non più passare attraverso il reato di corruzione, ma di falso in bilancio. Cerco di arrivarci da quest’altro fronte: e vado avanti come un treno, fino a quando mi trovo di nuovo allo stesso punto, che è Filippo Salamone. Quando io ri-arrivo lì, scoppia il dossier Achille e tanti altri dossieraggi dello stesso tipo».

 

E lei si dimette.

«Vengo a sapere molte cose anche io, perché in tutta questa storia ho una persona che mi sta idealmente vicina: Francesco Cossiga. Fin quando c’è stato lui sono stato rispettato dalle istituzioni».

francesco cossigafrancesco cossiga

 

Ma lei pure era un confidente di Cossiga, no?

«Eh sì, non solo di Cossiga se è per questo. Di questa storia sono due le persone con cui interloquivo: uno era Cossiga, l’altro Montanelli. La può raccontare, se vuole, Vittorio Feltri, che ogni tanto era presente».

 

Sta raccontando Mani pulite e Palermo come un’unica storia.

«Ma è così, una storia unica».

 

ANTONIO DI PIETRO PIERCAMILLO DAVIGO FRANCESCO GRECO GHERARDO COLOMBO - POOL MANI PULITEANTONIO DI PIETRO PIERCAMILLO DAVIGO FRANCESCO GRECO GHERARDO COLOMBO - POOL MANI PULITE

Mentre, nella percezione del 1992-93, il pool di Milano si occupava dei partiti, e loro si occupavano della mafia. Lei si occupava di Craxi, loro di Andreotti.

«Tutti dicono che ho fatto Mani pulite per mettere sotto processo la Prima repubblica. Io invece ho processato una persona sola: Cusani. Gli altri erano indagati per reato connesso. Il vero casino nasce quando io faccio il grande errore di non fidarmi di Gardini. Perché io capisco - lo capivo perché già lo sapevo - che dovevo arrivare a Gardini: con lui avrei chiuso il cerchio».

 

Se Gardini non fosse morto, quello invece che il processo Cusani sarebbe stato il processo Gardini?

«No: sarebbe stato il processo Mafia-appalti, Andreotti compreso».

 

Ma perché non si è fidato di Gardini?

PIETRO GRASSO CON FALCONE E BORSELLINOPIETRO GRASSO CON FALCONE E BORSELLINO

«L’interfaccia tra me e Gardini è un ex procuratore aggiunto di Milano, che era diventato il suo co-difensore. Concordiamo tutto. Cosa Gardini dirà, e il fatto che se ne andrà con le sue gambe, cioè non sarà arrestato. L’accordo è che lui viene alle otto la mattina. Abbiamo la certezza che è all’estero, in Svizzera, quindi per venire da me deve andare a dormire da qualche parte. Per cui io faccio mettere carabinieri, finanza, polizia, a Milano, Roma, Ravenna.

GHERARDO COLOMBO - ANTONIO DI PIETRO - PIERCAMILLO DAVIGOGHERARDO COLOMBO - ANTONIO DI PIETRO - PIERCAMILLO DAVIGO

 

Non faccio capire nulla a nessuno. Quello per venire da me deve necessariamente rientrare in Italia: e da allora non mi deve scappare più. Perché anche io lottavo contro il tempo, c’era anche l’ipotesi di farmi fuori - non dimentichiamo. Comunque, a mezzanotte mi chiamano i carabinieri, uno di quelli del capitano Zuliani, e mi dicono: è arrivato a piazza Belgioioso, lo prendiamo? E io: no, mantengo la parola sennò non mi parla più. Poi mi chiedono, e io do, l’ordine formale di non arrestarlo. Se l’avessi arrestato ora sarebbe ancora vivo.

raul gardiniraul gardini

 

Ora non so più quello che avrebbe messo per iscritto davanti a me. Alle otto mi telefona l’avvocato di Gardini, dice “stiamo arrivando”. Lui era già vestito. Da quanto riferisce il maggiordomo, si affaccia e vede i carabinieri. E pensa che io l’ho tradito. A quel punto: bum, è un attimo. Si è ammazzato perché era convinto che lo stavo arrestando».

 

Così si blocca l’indagine.

«Devo individuare un altro imprenditore del nord che potesse avere un qualche collegamento con le persone potenti del sud. Mi imbatto nel frattempo in imprese che fanno capo al Gruppo Berlusconi. Ma non arrivo a Silvio, arrivo al fratello Paolo che non c’entra nulla con le vicende su cui stavano indagando in Sicilia. Poi arriviamo anche a lui, con l’avviso di garanzia a Napoli. Dopodiché si ferma tutto.

 

antonio di pietro magistratoantonio di pietro magistrato

Non perché entra in gioco Berlusconi, ma perché entra in gioco la raffica di esposti nei miei confronti su cui si mette in moto la procura di Brescia che rigirerà la mia vita come un calzino. Ma alla fine tutte le inchieste verranno archiviate e io prosciolto. Mi rimane ancora oggi l’amaro in bocca per l’attività investigativa nei miei confronti portata avanti in particolare dall’allora pm di Brescia Fabio Salamone che poi sarà sanzionato dal Csm, in quanto non avrebbe potuto indagare su di me proprio perché io prima avevo indagato su suo fratello Filippo Salamone. Ma questa è un’altra storia e lasciamola lì».

giulio andreottigiulio andreotti

 

Chi ha comandato i dossieraggi di cui parla?

«Sono cose che posso dire solo all’autorità giudiziaria, come peraltro ho già fatto più volte!».

 

E Filippo Salamone?

«È morto. Questo è il dramma, perché l’errore è stato commesso a mio avviso a Palermo. Due volte. Il primo errore lo commette l’ex procuratore Giammanco, quando chiude a chiave in un cassetto del suo ufficio il dossier del Ros del 1991. Il secondo lo commetto io, quando mi lascio convincere a trasferire gli atti riguardanti le vicende mafiose a Palermo per competenza territoriale».

 

E come?

 

roma santa e dannata sergio cusani e carlo sama ph antinoriroma santa e dannata sergio cusani e carlo sama ph antinori

«Perché a Palermo, nonostante gli ottimi rapporti con il procuratore Caselli e alcuni sostituti come Ingroia, c’erano altri sostituti nel pool, un altro ambiente, di cui il Ros di De Donno evidentemente si fidava poco. Quindi un bel giorno l’allora capitano mi porta a Regina Coeli, a parlare con l’ex capo area della Rizzani De Eccher in Sicilia, Giuseppe Li Pera. Il quale mi tira fuori Filippo Salamone. A quel punto, mentre discutiamo su chi deve procedere, arrivano i dossieraggi a Brescia e io sono costretto a dimettermi. In pratica quando il fascicolo riguardante Filippo Salamone arriva a Palermo, egli riesce subito a patteggiare, previa derubricazione della associazione a delinquere a stampo mafioso con quella semplice. Resta il fatto che il mandante dell’azione di dossieraggio nei miei confronti manca».

pietro giammanco paolo borsellinopietro giammanco paolo borsellino

 

E lei sa chi è?

«Certo. Più esattamente: non lo so, me lo doveva dire Gardini. La cosa più drammatica è che io al Copasir sono stato due giorni interi a spiegare i fatti, hanno fatto la relazione, una nel 1995 e una nel ‘96, ma il mio interrogatorio è ancora lì fermo e nessuno prosegue quegli accertamenti che pure si erano impegnati a fare . E io da quel giorno ogni legislatura scrivo, scrivo a ogni capo dello Stato, ho scritto sempre a tutti. Per favore volete continuare?

 

antonio di pietro 6antonio di pietro 6

Ed è un peccato, perché tutti hanno visto la Sicilia come una realtà solo mafiosa e Milano come una realtà solo imprenditoriale. Seconda cosa: non è vero che Mani pulite sia partita solo da Milano. C’era già il rapporto del Ros del ‘91, quello messo in cassaforte dal procuratore di Palermo Giammanco, dove veniva raccontato quello che io ho scoperto anni dopo».

[…]

ANTONIO DI PIETRO SAVERIO BORRELLI GERARDO DAMBROSIOANTONIO DI PIETRO SAVERIO BORRELLI GERARDO DAMBROSIO44 francesco cossiga44 francesco cossigaAntonio Di PietroAntonio Di PietroANTONIO DI PIETRO - FOTO LAPRESSEANTONIO DI PIETRO - FOTO LAPRESSEANTONIO DI PIETRO FOTO LAPRESSEANTONIO DI PIETRO FOTO LAPRESSEANTONIO DI PIETRO MAGISTRATO FOTO LAPRESSEANTONIO DI PIETRO MAGISTRATO FOTO LAPRESSEantonio di pietro 4antonio di pietro 4

giovedì 1 agosto 2024

 

AVEVA RAGIONE PAOLO BORSELLINO: LA PROCURA DI PALERMO ERA UN COVO DI VIPERE – LA NOTIZIA DI GIUSEPPE PIGNATONE INDAGATO PER “FAVOREGGIAMENTO AI BOSS” RIAPRE IL VASO DI PANDORA SUI VELENI DEL TRIBUNALE DI PALERMO NEL 1992: ALL’INDOMANI DELLE STRAGI IN CUI VENNERO UCCISI FALCONE E BORSELLINO, TUTTI I COLLEGHI SI ACCREDITARONO COME "AMICI" O "EREDI" DEI DUE MAGISTRATI - TUTTI TRANNE PIGNATONE CHE RIMASE COERENTE ALLA SUA STORIA DI MAGISTRATO NELLA PROCURA DI PIETRO GIAMMANCO, ACCUSATO DI AVER OSTRACIZZATO IL LAVORO DEI DUE GIUDICI ANTIMAFIA…




Estratto dell'articolo di Lirio Abbate per www.repubblica.it

 

giuseppe pignatone 9giuseppe pignatone 9

L’inchiesta che sta conducendo la procura di Caltanissetta ci riporta indietro di almeno trentadue anni e — prescrizione a parte — ricolloca tutto nel nido di vipere a cui aveva accennato Paolo Borsellino dopo l’uccisione di Giovanni Falcone. Rispedisce tutti indietro nel tempo e riscrive la storia dell’ufficio giudiziario palermitano che ha come spartiacque la notte del 19 luglio 1992, quando alcune ore dopo la strage di via d’Amelio veniva pensato e steso un documento contro l’allora procuratore Pietro Giammanco. Un atto di ribellione firmato da alcuni magistrati dell’ufficio di Palermo.

giovanni falcone paolo borsellinogiovanni falcone paolo borsellino

 

Gli attentati mafiosi dell’estate del 1992 sono l’epifania per la magistratura italiana, soprattutto per quella palermitana. Fino ad allora comandava su tutto e su tutti il capo dei pm Giammanco, amico di molti politici democristiani, e nessuno dei magistrati si ribellava. E c’erano più fronti giudiziari opposti che si facevano la guerra per la carriera.

 

Nel 1989 Falcone diventa procuratore aggiunto. È stremato, fiaccato dalla congiura del “corvo” e dal fallito attentato all’Addaura che i suoi nemici, interni ed esterni, usano per screditarlo e isolarlo. Al Palazzo di Giustizia si ritrova solo. Da una parte Falcone, dall’altra Giammanco.

 

giuseppe pignatone 8giuseppe pignatone 8

E qui entrano in scena anche gli “specialisti delle carte a posto”, qualificati nelle tecniche del sabotaggio e dell’insabbiamento con un uso chirurgico di norme, circolari e cavilli. Falcone protesta, ma ogni volta gli specialisti delle carte a posto hanno una giustificazione formalmente ineccepibile da opporgli. Giorno dopo giorno viene silenziosamente espulso dal Palazzo.

 

pietro giammanco paolo borsellinopietro giammanco paolo borsellino

Accerchiato e paralizzato, Falcone accetta la proposta di trasferirsi a Roma, al ministero di Grazia e giustizia. Ma dopo di lui l’obiettivo diventa il suo amico Paolo Borsellino, che lo aveva sostituito come procuratore aggiunto, ma è confinato alle indagini nella provincia di Trapani, e impedito a occuparsi della mafia palermitana.

 

Si ritrova più o meno nella stessa situazione in cui era Falcone, e quindi prova a evitare scontri frontali, aperti, portando avanti il suo lavoro nel modo migliore, creandosi una sua nicchia. Ma non è facile, e non sono molti quelli su cui può contare.

raul gardiniraul gardini

 

C’è un particolare che si ricollega a quella stagione raccontato da Antonio Di Pietro. Pochi anni fa rispondendo a una domanda di una giornalista, dice: «[…] Mani pulite, nasce come figlia di Mafia pulita. […] Raul Gardini non si suicida così, per disperazione, il 23 luglio 1993: si suicida perché sa che quella mattina, venendo da me, doveva fare il nome di Salvo Lima, che aveva ricevuto una parte della tangente Enimont da 150 miliardi di lire».

 

ANTONIO DI PIETRO CIRCONDATO DAI GIORNALISTIANTONIO DI PIETRO CIRCONDATO DAI GIORNALISTI

Ecco la convergenza di interessi che lega protagonisti di primo piano del mondo dell’imprenditoria e della finanza e Cosa nostra su cui lavorano Falcone e Borsellino. Ma non c’è coesione nell’ufficio, il procuratore aggiunto scopre che vengono fatte attività investigative senza essere avvisato, o ancora, vengono prese decisioni per chiedere archiviazioni di inchieste senza essere informato. Un nido di vipere dirà.

 

giovanni falcone paolo borsellinogiovanni falcone paolo borsellino

All’indomani del 19 luglio però, tutto cambia. Quasi tutti diventano “amici” di Paolo e di Giovanni. Si riaccreditano e riscrivono la storia come gli “eredi” di Falcone e Borsellino. Giuseppe Pignatone no, e lo spiega al Csm nell’audizione che ha fatto a Palermo dopo l’attentato. Lui rimane coerente con la sua storia di magistrato nella procura di Giammanco — che nel frattempo è deceduto senza mai essere stato sentito a verbale — sulla cui gestione delle inchieste indagano adesso i pm di Caltanissetta.

 

giuseppe pignatone 5giuseppe pignatone 5

[…]

giuseppe pignatone 3giuseppe pignatone 3raul gardiniraul gardinigiuseppe pignatone 4giuseppe pignatone 4raul gardiniraul gardinifalcone borsellinofalcone borsellinogiuseppe pignatone 6giuseppe pignatone 6giuseppe pignatone 7giuseppe pignatone 7

giovedì 11 luglio 2024

 

I FIGLI DI PAOLO BORSELLINO SI SCAGLIANO CONTRO LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI E IL VIMINALE: “SONO RESPONSABILI CIVILI PER IL DEPISTAGGIO DELLE INDAGINI” MESSO IN ATTO DA QUATTRO AGENTI, ORA A PROCESSO A CALTANISSETTA - NEL CORSO DELLA PRIMA UDIENZA PRELIMINARE, FIAMMETTA, LUCIA E MANFREDI BORSELLINO, OLTRE A CHIEDERE LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE, HANNO PUNTATO IL DITO CONTRO LO STATO PER IL FALLIMENTO DELLE INDAGINI SULLA STRAGE DI VIA D’AMELIO – IL LEGALE DEI FIGLI DEL MAGISTRATO AMMAZZATO: “SEMBRA ESSERCI IL COINVOLGIMENTO DI VARI LIVELLI ISTITUZIONALI…”




Estratto dell'articolo di www.corriere.it

 

lucia manfredi fiammetta borsellinoLUCIA MANFREDI FIAMMETTA BORSELLINO

Fiammetta, Lucia e Manfredi Borsellino, figli del giudice Paolo Borsellino, nel corso della prima udienza preliminare, che si è tenuta questa mattina a Caltanissetta a carico di 4 agenti accusati del depistaggio delle indagini, oltre a chiedere la costituzione di parte civile, hanno sollecitato la citazione come responsabile civile della Presidenza del Consiglio dei ministri e del ministro dell'Interno. Stessa richiesta avanzata, attraverso il legale, dal fratello del magistrato, Salvatore, fondatore del movimento delle Agende rosse.

 

paolo borsellinoPAOLO BORSELLINO

«Noi siamo sempre presenti in ogni sede dove si possa ristabilire la verità - dichiarano gli avvocati Fabio Trizzino e Vincenzo Greco, legali dei figli di Paolo Borsellino - sempre fedeli all'eredità morale del giudice Paolo Borsellino. Abbiamo massima fiducia nei confronti delle istituzioni e della magistratura in particolare. Questo processo è un'appendice del processo principale che si è concluso che fa parte di una cornice all'interno della quale sembra esserci il coinvolgimento di vari livelli istituzionali».

strage via d'amelioSTRAGE VIA D'AMELIO

 

Gli agenti indagati sulla strage di via D'Amelio sono Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli, gli stessi che fecero parte del pool investigativo «Falcone Borsellino».

Troppi i loro «non ricordo», pronunciati l'uno dopo l'altro, durante il processo di primo grado nei confronti di altri tre agenti accusati di aver depistato le indagini sulla strage di via D'Amelio.

 

Sono assistiti dagli avvocati Giuseppe Panepinto e Giuseppe Seminara (oggi sostituito dall'avvocato Riccardo Lo Bue). In aula erano presenti, Vincenzo Maniscaldi e Giuseppe Di Gangi. A sostenere l'accusa il Pm Maurizio Bonaccorso.

paolo borsellino strage via d amelioPAOLO BORSELLINO STRAGE VIA D AMELIO

 

«Anche quest'anno, come e ancor più degli altri anni, le manifestazioni per l'anniversario della strage di via D'Amelio non saranno, come purtroppo ormai succede per il 23 maggio, una parata e un'occasione di passerelle per personaggi istituzionali anche reduci da condanne penali per contiguità alla mafia, per amministratori eletti grazie all'appoggio della mafia e mai rifiutato e per chi vuole fare passare queste stragi soltanto come stragi di mafia. Ma denunceremo i depistaggi e le falsificazioni che ancora, a più di 30 anni di distanza, allontanano la verità e la giustizia per quella che è stata invece una strage di Stato». 

borsellino via d'amelioBORSELLINO VIA D'AMELIO

 

Lo ha detto Salvatore Borsellino, in conferenza stampa da remoto,  presentando il programma delle iniziative a cura della «Casa di Paolo» che a partire dal 16 e fino al 19 luglio, tra la sede di via Della Vetriera e via D'Amelio, si terranno per ricordare il magistrato Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. 

 

paolo borsellinoPAOLO BORSELLINO

[…]

giovanni falcone paolo borsellinoGIOVANNI FALCONE PAOLO BORSELLINOstrage via d'amelio 1STRAGE VIA D'AMELIO 1strage via d'amelio 2STRAGE VIA D'AMELIO 2giovanni arcangioli con la borsa di paolo borsellinoGIOVANNI ARCANGIOLI CON LA BORSA DI PAOLO BORSELLINO