Visualizzazione post con etichetta ARBASINO. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ARBASINO. Mostra tutti i post

mercoledì 25 marzo 2020

                                                                   ARBASINO           

     

ARBASINO, UN CONSERVATORE DIMENTICATO – LANGONE: "30 ANNI FA CI MISE IN GUARDIA DAL MULTICULTURALISMO, FU CAPACE DI PREVEDERE LO SCONTRO DI RELIGIONI, CHIAMO’ L'IMMIGRAZIONE MASSICCIA DI AFRICANI E ASIATICI, SPESSO MUSULMANI, INVASIONE” – L’ARBASINO RAP CONTRO I ‘COMUNPREPOTENTI’ E I ‘PACIFIVIOLENTI’ - "SANDRO VERONESI ADESSO SI DISPIACE SU TWITTER, VORREI SOLTANTO SI SAPESSE CHE ARBASINO CON LUI NON C'ENTRAVA NULLA”
-

Condividi questo articolo
arbasinoARBASINO
Camillo Langone per “il Giornale”

Ironico, cosmopolita, esordiente con Italo Calvino, avanguardista con il Gruppo '63, amico di Inge Feltrinelli, collaboratore di Repubblica... A leggere giornali e guardar siti è morto l' ennesimo intellettuale progressista. Invece è morto un raro intellettuale conservatore.

Basterebbe leggerlo, Alberto Arbasino, anziché saccheggiare Wikipedia e limitarsi a citare gita a Chiasso e casalinga di Voghera. Alla notizia della sua morte mi sono precipitato allo scaffale della mia libreria che gli compete, ovviamente lo scaffale più alto, fra Giovanni Ansaldo e Pietro Aretino, e purtroppo non ci ho ritrovato Paesaggi italiani con zombi (dove caspita sarà finito?), un titolo del 1998 ahinoi perfetto per questo 2020 di città spettrali.
arbasino pasolini benedetta al premio stregaARBASINO PASOLINI BENEDETTA AL PREMIO STREGA

Ho ritrovato invece Un paese senza, edizione del '90. Non me lo ricordavo così destro. «Non solo nel piccolo Libano e nella media Jugoslavia ma nella vasta Unione Sovietica e nell' ampia India tutti i massacri contemporanei scoppiano per conflitti etnici». Trent' anni fa, quando l' Italia era ancora monoetnica e non lo sapevamo, Arbasino già ci metteva in guardia dal multiculturalismo: «Sarete voi i protagonisti dei prossimi conflitti medievali tra Asia e Africa sui marciapiedi ove si beveva gin-and-tonic e adesso ci si accoltella fra le borsette di religioni differenti?». Cosmopolita di notte, nel jet-set, però molto lombardo di giorno, e non solo per la venerazione nei confronti di Gadda, Dossi, Manzoni.
ISABELLA ROSSELLINI ALBERTO ARBASINOISABELLA ROSSELLINI ALBERTO ARBASINO
Se non si è mai potuto in alcun modo avvicinarlo alla Lega, come invece è accaduto ad altri grandi nordisti quali Giorgio Bocca e Gianni Brera, è più per incompatibilità estetica che politica.

In Un paese senza chiama l' immigrazione massiccia di africani e asiatici, spesso musulmani, col suo vero nome, ossia invasione: «I deliri italiani prossimi deriveranno soprattutto (nella nostra Storia è già capitato) dalle invasioni del Paese, e dai conflitti che hanno più volte provocato anche fra i cittadini». Giusto: in Italia gli sbarchi producono soprattutto guerre civili. O quantomeno lotte intestine.

ITALO CALVINO GORE VIDAL ALBERTO ARBASINOITALO CALVINO GORE VIDAL ALBERTO ARBASINO
Se è vero che i barconi africani in questi giorni non interessano e dunque, pur continuando ad arrivare, hanno smesso temporaneamente di dividere, è anche vero che si è appena formata una fazione filocinese (da Luigi Di Maio in giù), siccome certi connazionali l' invasionismo ce l' hanno nel sangue. «Sono i complessi coloniali / degli italiani eterni provinciali. / / Invocazioni / continue di intromissioni / e invasioni di stranieri / contro i propri avversari / sul territorio...». Sto virgolettando da Rap 2, il secondo dei due piccoli libri datati 2001 e 2002 in cui l' amante della lirica, l' habitué della Scala, il patito di Maria Callas si lancia, piuttosto a sorpresa, nella poesia civile rappata.

arbasinoARBASINO
Il risultato è più Flaiano che Fedez, ovviamente. Ma chi l' ha letto l' Arbasino rap? È l' Arbasino che si scagliava contro i «comunprepotenti», «i pacifiviolenti», i politici di sinistra che straparlavano di un' Italia trasformata nel Cile di Pinochet solo perché Berlusconi aveva vinto le elezioni...

Sandro Veronesi adesso si dispiace su Twitter e non ne dubito, vorrei soltanto si sapesse che Arbasino con lui, e con tutti gli altri scrittori firma-manifesti che amano «mostrarsi assolutamente correct / su tutte le cause più select», non c' entrava nulla.

Nel mare magnum di Fratelli d' Italia, il lunghissimo romanzo-saggio che ha la statura del capolavoro, ho pescato una sfida alla letteratura impegnata che fa davvero impressione: «Mi arrampico sulle tende, mi attacco ai lampadari, mi prendo a schiaffi dicendomi cattivo! cattivo!» ma per lo svago e il relax preferisco Piccadilly a Buchenwald».

A dispetto di qualcuno che esortava così: «Passa un sabbatico a Belsen, non perdere tempo con Salisburgo, dammi retta! Il massacro rende!».

arbasino moravia sanguinetiARBASINO MORAVIA SANGUINETI
Avrà pure fatto parte (brevemente e lateralmente) del Gruppo '63, di sicuro non ha mai fatto parte del Gruppo '68, e una prova consiste nell' incontro a Francoforte con Adorno assediato dalla contestazione universitaria: il giovane intervistatore parteggia per il vecchio filosofo. Il suo pittore novecentesco preferito era Giorgio De Chirico, non certo Emilio Vedova.

arbasino medeaARBASINO MEDEA
La sua divisa era il blazer Caraceni, non certo l' eskimo. Le sue messe (vissute da esteta, non da credente) erano in latino o in greco (a Patmos), non certo post-conciliari coi tamburelli e i «preti che sanno tutto sul Vietnam».

Il suo autore prediletto era Gadda, non certo Gramsci che sebbene muoia prigioniero si lascia dietro «non un inno alla Libertà come i romantici tedeschi ma il progetto di un apparato di intellettuali conformisti e propagandisti».

arbasinoARBASINO
Da vero conservatore era un pessimista, un realista, un uomo che non nutriva la benché minima fiducia nei giovani (altro che Greta e Sardine), liquidando come «solfe millenaristiche le speranze nelle generazioni future». Fratello Alberto.
arbasinoARBASINOarbasinoARBASINOArbasino e DagoARBASINO E DAGOarbasino le-piccole-vacanzeARBASINO LE-PICCOLE-VACANZEARBASINO Monicelli Moretti 152ARBASINO MONICELLI MORETTI 152Calasso arbasinoCALASSO ARBASINOarbasinoARBASINOarbasino all'operaARBASINO ALL'OPERAarbasinoARBASINOarbasinoARBASINOarbasino moretti antonioniARBASINO MORETTI ANTONIONI

Condividi questo articolo

martedì 24 marzo 2020

                                                                 ARBASINO


ARBASINO ALL’OPERA – È IL MELODRAMMA COME FORMA DI REALISMO MAGICO LA SUA GRANDE PASSIONE ESTETICA. E I FAMIGERATI LIBRETTI DIVENTANO IL VOCABOLARIO DELLA SUA NARRATIVA - PANZA: "NEL 1967 A BOLOGNA REALIZZA UNA “CARMEN”. SCENE DI GREGOTTI, COSTUMI DI GIOSETTA FIORONI. E DIETRO LE QUINTE, CON FUNZIONE DI DRAMMATURGO, ROLAND BARTHES: UN GIGANTESCO HAPPY HOUR PRE-'68" - VIDEO
-

Condividi questo articolo

Pierluigi Panza per fattoadarte.corriere.it

arbasinoARBASINO
Nella biblioteca del teatro di Voghera, dove sono custoditi i libri sui quali studiò il primo Arbasino, mi pare di aver visto molti classici, non molti libretti d’opera. Ma della divorante passione di Arbasino per la lirica abbiamo una prima data certa, il 1953: “Medea” di Cherubini, con la Callas diretta da Bernstein. Arbasino c’è, c’è anche lui nel foyer, e nell’ “Anonimo lombardo” racconta all’amico Emilio di aver visto quel giorno, quella sera, prima dell’inizio di quell’opera, alla Scala “un Giovin di capelli nerissimi”.

Lui vorrebbe, sì vorrebbe ma… no, non può resistere alla Callas. Prima c’è l’opera: “Quel coro di Argonauti mi piaceva da matti, me lo sono subito imparato per inserirlo tra le melodrammatiche marce che mi fanno morire”. L’anno successivo, il 14 settembre 1955, è a Venezia per le sue vacanze post-laurea a vedere “L’angelo di fuoco” di Prokoviev, alla prima mondiale alla Fenice.

La lirica, soprattutto i giochi di parole dei famigerati libretti – da Busenello a Illica – diventano il vocabolario della sua narrativa. E l’opera il suo amore segreto.

arbasinoARBASINO
I libretti sono un serbatoio di accostamenti da far impazzire Arbasino. Fino al XVIII secolo folleggiano i “disarmati e impotenti amori” di Busenello, il “velenoso amor”, l’“amator malveduto” gli “sciapiti amplessi” che poi diventano, con il Conte di Luna del “Trovatore”, dei giochi di parole trasformati in detti popolari: “Ah, l’amor l’amore ond’ardo” che si trasforma persino nel vogherese in “l’amore è un dardo”. Da impazzire.

Ma nella lirica, lui, ci entra davvero, un paio d’anni prima dei pomodori di Capanna alla prima del ’68 alla Scala. Nel 1966 è al Cairo, “in piena età Nasser e in assoluta economia”, e mette in scena una “Traviata”. L’anno dopo, che è l’anno meno uno della Rivoluzione, realizza una “Carmen” per il Teatro Comunale di Bologna. E udite con chi: scene di Vittorio Gregotti – anche lui scomparso una settimana fa - e costumi di Giosetta Fioroni. Dietro le quinte, con funzione di drammaturgo, diciamo, Roland Barthes, quasi al culmine della sua gloria.
ARBASINO PROVE CARMENARBASINO PROVE CARMEN

Al torero Escamillo la Fioroni fa indossare una maglietta con una grande E sul petto, stile rapper odierno. Le sigaraie sono abbindate con palline da ping pong. Escamillo è Superman, sopra una scala d’argento e la Carmen ammanettata è un po’ mignottesca: “a modo suo tentava audacie alla Artaud sopra Don José affondato fra cuscini d’argento entro gradoni da pre-discoteca”, disse Arbasino.

Quella “Carmen” era come un gigantesco Happy hour presessantottesco i cui riferimenti –notò Stefano Di Michele anni fa per “il Foglio” – vanno in fondo cercati nella descrizione di Madame Sesostris della “Terra desolata” di T.S.Eliot. Forse gli piaceva anche Stravinskij, forse la musica russa.

arbasino medeaARBASINO MEDEA
Recensore di serata, non entrava mai nel tecnico soporifero e inconcludente di certi critici musicali ammazzamusica. Nel marzo del 2007, per la “Fille du Régiment” alla Scala, sentite cosa scrive su “la Repubblica”: “Qui, accanto alla mirabile Anna Proclemer, che rifà le più formidabili Lady Bracknell d'Oscar Wilde, ai tempi illustri e magistrali di Edith Evans, trionfa saltellando e incespicando, trottolino e tombolotto, l’amatissimo Juan Diego Flórez, finto sempliciotto e tipico paraculetto, ninnolo, giuggiola, e biscuit.

ALBERTO ARBASINOALBERTO ARBASINO
Su una cabaletta valzerosa come l'antica Sulle, sulle labbra da salotto, squilla note ficcanti e perentorie come quando Rockwell Blake (anche lui a Pesaro) forzava con sicurezza una preoccupante voce di testa; ma rigirandosi poi in un velluto alla Alfredo Kraus, e scatenando battimani e pestoni da Radetzky Marsch nei Capodanni viennesi”.

pierluigi panzaPIERLUIGI PANZA
A Vienna, a Salisburgo, ad ascoltare Wagner e alla Scala, forse ancora un paio d’anni fa. Da dopo che scrisse le “Piccole vacanze”, ai conoscenti di lirica mandava – di tanto in tanto – cartoline dai posti dove si trovava o dove aveva assistito a opere. Con qualche gioco di parole incomprensibile, come queste morti.


arbasino all'operaARBASINO ALL'OPERAarbasinoARBASINOArbasino e DagoARBASINO E DAGO

ARBASINO Monicelli Moretti 152ARBASINO MONICELLI MORETTI 152arbasinoARBASINOMontanelli Arbasino BoccaMONTANELLI ARBASINO BOCCAARBASINO AL PIPERARBASINO AL PIPERarbasinoARBASINOalberto arbasino e albertio senigagliaALBERTO ARBASINO E ALBERTIO SENIGAGLIAarbasinoARBASINOalberto arbasinoALBERTO ARBASINOAlberto ArbasinoALBERTO ARBASINOAlberto ArbasinoALBERTO ARBASINOAlberto ArbasinoALBERTO ARBASINOAlberto ArbasinoALBERTO ARBASINOAlberto ArbasinoALBERTO ARBASINOarbasinoARBASINOalberto arbasinoALBERTO ARBASINOarbasino le-piccole-vacanzeARBASINO LE-PICCOLE-VACANZECalasso arbasinoCALASSO ARBASINOarbasinoARBASINO

Condividi questo articolo
                                                                   ARBASINO


ARBASINO MEMORIES – ‘’NON SO COME OGGI SAREBBE CONSIDERATO PASOLINI. FORSE UN PEDOFILO. COME BALTHUS. E DEGAS, CON QUELLE BALLERINETTE QUATTORDICENNI? E CÉZANNE, COI SUOI POMPIERI AL BAGNO? FORSE I TEMPI ERANO ALLORA PIÙ PERMISSIVI?” – “CON VIGNETTE E COMMENTI PRO O CONTRO CRAXI E BERLUSCONI, MOLTI HANNO GUADAGNATO. NON IO. CON IL VECCHIO BRECHT DICO CHE QUANDO LEGGO “IL CAVALIERE” SENTO TINTINNARE IL REGISTRATORE DI CASSA”
-

Condividi questo articolo

arbasino pasolini benedetta al premio stregaARBASINO PASOLINI BENEDETTA AL PREMIO STREGA
Aldo Cazzullo per corriere.it

C’erano, in casa di Alberto Arbasino (scomparso domenica 22 marzo a 90 anni) , una Madonna in calze a rete firmata da Guttuso, un disegno di Mino Maccari con i preti che su ordine di Andreotti mettono i mutandoni alle statue del Foro Italico, lettere di insospettabile cortesia dei grandi con cui aveva polemizzato, da Bassani a Paolo Grassi; tracce di un’avventura intellettuale, Roy Lichtenstein e Toti Scialoja, Giosetta Fioroni e Antonietta Raphael. E c’era un ritratto con dedica — «Arbasino alla macchina da scrivere in un atto di industria culturale, abietto naturalmente. PPP» —, cui Pier Paolo Pasolini aveva prestato i suoi stessi lineamenti e zigomi.

FELLINI E PASOLINIFELLINI E PASOLINI
Però nei suoi libri gli amori omosessuali erano narrati in chiave lieve, non in quella drammatica di Pasolini. «Anonimo lombardo era un romanzo epistolarfrocesco da far sobbalzare, perché trattava l’omosessualità studentesca come una cosa normale, ovvia, com’era considerata a Oxford e a Cambridge — raccontava Arbasino —. Infatti fui rimproverato, e non per scherzo, da Pier Paolo e da Testori, che criticarono la mia leggerezza, la mia mancanza di sofferenza, di tormento. Non sapevo cosa rispondere. Forse dipendeva dal fatto che loro fossero così cattolici».
franco franchi moravia totò e pasoliniFRANCO FRANCHI MORAVIA TOTÒ E PASOLINI

Un giorno andò a trovare Pasolini su un barcone sul Tevere, sotto il ponte di Castel Sant’Angelo: «Un posto frequentato da ragazzi di vita molto disponibili. Ero a Roma di passaggio, dopo sarei stato al “Mondo”, vestito come si addiceva a un incontro con Pannunzio, Ercolino Patti, Sandro De Feo, che portavano certe grisailles chiare, un po’ meridionali, da avvocato. Mario Ferrara era un avvocato elegantissimo, così come l’avvocato Battaglia: scarpe nere lucidate bene, baffetti bianchi molto curati.

pier paolo pasolini sul set di salo' 2PIER PAOLO PASOLINI SUL SET DI SALO' 2
Quando arrivai sul Tevere in cravatta, Pasolini mi derise, così come tutti i marchettoni e le marchettine; ma quando videro che sotto avevo un costume hawaiano, con i palmizi e i fiori, fui molto ammirato dai pischelli. Non so come oggi sarebbe considerato Pasolini. Forse un pedofilo. Come Balthus, un altro grande che ho avuto ospite qui in casa. E Degas, con quelle ballerinette quattordicenni? E Cézanne, coi suoi pompieri al bagno? Forse i tempi erano allora più permissivi? Non so».
BALTHUSBALTHUS

Pasolini l’aveva visto l’ultima volta alla Carbonara, la trattoria di Campo de’ Fiori. «Lui aveva invitato a cena Sandro Penna, certo per fare una buona azione: Penna era lagnoso e querulo, difficile da reggere, sempre a lamentarsi di cani o gatti malati, come del resto la Morante; i gatti della Morante non erano mai in buona salute. Quando Pier Paolo mi vide fu una liberazione: “Alberto, vieni qui…”».
BETTINO CRAXI SILVIO BERLUSCONIBETTINO CRAXI SILVIO BERLUSCONI

E la sua fine? «Non ho mai pensato che se la fosse andata a cercare, come pare abbia commentato Moravia; ma che ci fosse qualcosa sotto. Non un delitto fascista; pensai piuttosto a una banda, di quale tipo non so. Fu una strana imprudenza: nel momento della sua massima visibilità polemica, contro la Dc contro gli americani contro l’Eni, rischiare non una coltellata ma il flash di un paparazzo dietro un cespuglio, con le mutande in mano?».

CRAXI BERLUSCONICRAXI BERLUSCONI
Anticomunista e avversario del politicamente corretto senza essere di destra, antifascista e pronto a intervenire nel dibattito civile senza essere di sinistra, Arbasino ha coltivato una certa idea dell’engagement, dell’impegno. Faceva notare che i padri della Repubblica non erano schierati a priori né di qua né di là, né democristiani né comunisti.

«Croce, Einaudi, gli azionisti torinesi: gli uomini della generazione di mio nonno, presidente del partito liberale di Voghera, e di mio padre, che aveva della farmacie e forniva le medicine ai capi partigiani dell’Oltrepo. Anche venendo arrestato. A Voghera lavorava come impiegato in un’azienda elettrica Ferruccio Parri».

Alberto ArbasinoALBERTO ARBASINOnatalia ginzburgNATALIA GINZBURG
ISABELLA ROSSELLINI ALBERTO ARBASINOISABELLA ROSSELLINI ALBERTO ARBASINO
Rivendicava di non essersi unito a nessun coro: «Su Berlusconi come su Craxi, posso dirmi vergine di servo encomio e di codardo oltraggio. Entrambi hanno inciso sull’economia, anche su quella del fronte avverso: sono stati una fonte di reddito. Con vignette e commenti pro o contro Craxi e Berlusconi, molti hanno guadagnato. Non io. Con il vecchio Brecht dico che quando leggo “il Cavaliere” sento tintinnare il registratore di cassa».

spadoliniSPADOLINI
Nell’83 Arbasino fu eletto alla Camera nelle liste repubblicane, e fino all’87 fu tra i deputati più presenti. «Legai molto con i miei vicini in commissione: Adolfo Sarti, di Cuneo, ministro importante e uomo coltissimo, e Michele Zolla, che poi lavorò al Quirinale con Scalfaro. Di fronte c’era Natalia Ginzburg, che smistava tutte le carte a me: “Fai tu anche questo…”.

spadolini forattiniSPADOLINI FORATTINI
Detestavo il Transatlantico, i divani, i baci e abbracci tra panzoni, le passeggiate sottobraccio alla buvette. Con Sarti e Zolla ci facevamo il caffè alla macchinetta. La Iotti era scrupolosissima: ascoltava tutti, anche gli ostruzionisti, senza farsi mai sostituire; contava i minuti, al massimo 45, e al quarantaseiesimo scampanellava. Mi ricordava le presidi della mia infanzia. La direttrice didattica di Voghera».
giorgio bocca montanelli1986 largeGIORGIO BOCCA MONTANELLI1986 LARGE

Chi le offrì la candidatura? «Visentini, cui mi legavano l’arte e la musica. E Spadolini, che era stato il mio direttore al “Corriere”. Spadolini era simpaticissimo. Animato da vanità e golosità infantili. Non da sensualità; quella non gli importava, e credo davvero non la praticasse, se in quattro anni di gossip sul direttore al “Corriere” non venne fuori nulla».

RICHARD NIXON HENRY KISSINGER 1RICHARD NIXON HENRY KISSINGER 1
Arbasino veniva dal «Giorno». «Avevo legato molto con Murialdi, il caporedattore, e con Pietrino Bianchi; non tanto con Bocca, che credo mi considerasse frivolo, e neppure con il direttore Pietra. Era lui il capo partigiano cui mio padre passava le medicine. Conosceva anche mia madre e di fronte ai redattori allibiti, scherzando ma non troppo, mi diceva: “Se usi troppe parole straniere e troppe citazioni, dico alla mia amica Gina che ti prenda a schiaffi!”.

piero ottone eugenio montalePIERO OTTONE EUGENIO MONTALE
Al “Corriere” mi portarono Enrico Emanuelli e Alfio Russo, che mi affidava elzeviri e brevi corsivi contornati, lunghi mezza matita. Per prima cosa Spadolini mi informò che erano aboliti. Quanto agli elzeviri, li avrebbero scritti solo accademici e luminari». Poi venne Ottone. «Con cui mi trovai bene, e mi lasciai ancor meglio quando passai a “Repubblica”: era il Natale del ’75, portai due bottiglie in redazione, e Ottone mi ringraziò: “Finalmente uno che va via dal “Corriere” non a male parole ma offrendo champagne”…L’unico problema era l’America. Vi ero stato la prima volta nell’estate del ’59, a seguire un corso di Kissinger che ai suoi picnic ci portava Eleanor Roosevelt, Riesman, Galbraith e Schlesinger. Ma non potevo tornarci per il “Corriere” perché il grande Stille non voleva che nessun altro scrivesse di America, neppure sulla letteratura o su Broadway, tranne lui. Così andavo per conto mio».
GIORGIO BASSANIGIORGIO BASSANI
arbasinoARBASINO

Con Bassani era andata peggio. Enzo Siciliano ha raccontato che gli amici di Arbasino alla Feltrinelli dovettero scassinare un cassetto per recuperare il manoscritto di Fratelli d’Italia. Ma lui negava: «Non è così. Io non ero litigioso, e Bassani con me era severo ma simpatico. Tanti altri cercavano di mettere zizzania attorno al Gruppo 63, inventavano voci per creare difficoltà: “Quelli vogliono prenderci tutti i posti”. Come poi nel ’68. L’uscita di Fratelli d’Italia fu preceduta da una campagna preventiva che infastidì molti, compreso me: veniva annunciato un romanzo scandalistico a chiave, con dentro tutti i protagonisti della dolce vita, da Agnelli in giù. Bassani si allarmò.
arbasinoARBASINO

Quando ebbe tra le mani il libro, molto sinceramente mi disse che non corrispondeva alla sua idea del Romanzo. Fu Giangiacomo Feltrinelli a risolvere la questione: Fratelli d’Italia non sarebbe uscito nella collana curata da Bassani accanto a Forster e Lampedusa, ma in un’altra insieme con Pasternak e Grass. La strana storia dei cassetti forzati, che non so se vera, avvenne molto dopo, con l’acuirsi delle rivalità tra le redazioni romana e milanese, quando il mio libro era già uscito».
ALBERTO ARBASINOALBERTO ARBASINO

Era già nato il Gruppo 63, con Angelo Guglielmi, Furio Colombo, Edoardo Sanguineti, Giorgio Manganelli e Umberto Eco. Per prendere amichevolmente in giro Eco, diceva: «Non saprei giudicarlo. I suoi libri sono molto lunghi, e sono bestseller. La questione non riguarda Umberto, ma tutti. Ove si tratti di bestseller che muovono denaro, il compenso per ogni ora di lettura di noi addetti ai lavori non andrebbe commisurato alla tiratura e alle vendite, bensì deontologicamente regolato dalle vigenti tariffe degli ordini professionali. Più Iva».
ITALO CALVINO GORE VIDAL ALBERTO ARBASINOITALO CALVINO GORE VIDAL ALBERTO ARBASINOarbasinoARBASINO
raffaele manica e alberto arbasinoRAFFAELE MANICA E ALBERTO ARBASINOARBASINO AL PIPERARBASINO AL PIPERarbasinoARBASINO

Condividi questo articolo