domenica 6 settembre 2020

                                                               LA DOLCE VITA


LA VERITÀ SU “LA DOLCE VITA” – GIUSEPPE PEDERSOLI, FIGLIO DI BUD SPENCER E NIPOTE MATERNO DEL PRODUTTORE GIUSEPPE AMATO RACCONTA, IN UN DOCUFILM A VENEZIA, COME NACQUE IL CAPOLAVORO DI FELLINI: TUTTO INIZIA CON UN VIAGGIO A SAN GIOVANNI ROTONDO PER AVERE LA BENEDIZIONE DI PADRE PIO – CARLO VERDONE RICORDA IL LICENZIAMENTO DEL PADRE CHE SUL “QUOTIDIANO” OSÒ LODARE IL FILM: “QUANDO LO SEPPE FEDERICO RIMASE MOLTO AVVILITO E GLI PROPOSE DI…

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la dolce vita 1LA DOLCE VITA 1

1 – PADRE PIO, LITIGI E TANTI SOLDI COSÌ NACQUE "LA DOLCE VITA"

Arianna Finos per “la Repubblica”

 

La verità su La dolce vita era nascosta in quattro scatoloni pieni di muffa e ragnatele. Migliaia di fogli, telegrammi, contratti, note, bozze, ricevute, ingiunzioni, cambiali.

 

Fellini sul set di La Dolce VitaFELLINI SUL SET DI LA DOLCE VITA

Soprattutto un carteggio a tre colori: l'inchiostro rosso usato da Federico Fellini, la firma in verde di Angelo Rizzoli e il sobrio carattere scuro di Giuseppe Amato, produttore caduto nell'ombra del capolavoro di sessant' anni fa.

 

A scoprire il tesoro di memorie è stato è stato il nipote materno Giuseppe Pedersoli (figlio di Carlo, in arte Bud Spencer, la madre è Maria Amato, figlia di Giuseppe), facendone la base per il docufilm La verità su La dolce vita , fuori concorso alla Mostra di Venezia il 10 settembre e poi in sala.

 

GIUSEPPE PEDERSOLIGIUSEPPE PEDERSOLI

«Mi sono sempre chiesto perché nonno, dopo aver prodotto La dolce vita , non ne avesse cavalcato il successo e a 64 anni, poco tempo dopo le vicissitudini del film, fosse venuto a mancare», non prima di aver depositato un soggetto dal titolo La verità su La dolce vita , «forse la sua versione sul capolavoro ».

 

anita ekberg la dolce vita 2ANITA EKBERG LA DOLCE VITA 2

 

Studiando quei documenti, rimettendoli a posto cronologicamente, racconta Pedersoli, «ne è scaturita una sceneggiatura naturale basata sul carteggio a tre intercorso tra l'estate del 1958 fino al 1960, con l'uscita del film: Fellini che era autore del progetto, Amato che lo aveva apprezzato quando tutti gli altri produttori lo avevano rifiutato e Angelo Rizzoli, socio storico di Amato».

 

fellini la dolce vitaFELLINI LA DOLCE VITA

 

 

La storia parte con il viaggio di Amato a San Giovanni Rotondo per avere la benedizione da Padre Pio, per dipanarsi lungo l'infernale avventura produttiva. Alcuni personaggi, tra cui Amato, sono interpretati da attori, ad altri le voci sono prestate da doppiatori.

 

E poi i video di uno strepitoso duetto Vittorio De Sica - Amato, le testimonianze di Marcello Mastroianni, Sandra Milo e Dino De Laurentiis.

 

Per Pedersoli si tratta anche di restituire verità alla figura del nonno, che «all'epoca molti descrivevano come un guappo napoletano ignorante, basti pensare al ritratto che ne fa Carlo Lizzani in Celluloide , che ha offeso mia madre e le sue sorelle».

 

FEDERICO FELLINI E GIULIETTA MASINA CON GIUSEPPE AMATOFEDERICO FELLINI E GIULIETTA MASINA CON GIUSEPPE AMATO

 

Attore famoso del cinema muto, conquistatore di dive hollywoodiane, produttore e distributore - ha fatto arrivare lui in Italia i disneyani Cenerentola e Bambi , ha portato sullo schermo il teatro dei fratelli De Filippo, ha tenuto a battesimo il debutto alla regia Vittorio De Sica, l'unica volta che Amato ha rivelato scarso fiuto è stato in famiglia: «Nonno si lamentava perché i colleghi avevano le grandi stelle in casa - Loren e Mangano - e lui doveva pagarle.

christa paffgen in arte nico la dolce vitaCHRISTA PAFFGEN IN ARTE NICO LA DOLCE VITA

 

Non sapeva che suo genero, mio padre Carlo Pedersoli, pochi anni dopo sarebbe diventato un attore popolare.

 

Mio padre ha anche lavorato per nonno nella produzione e nella gestione degli studi cinematografici dal '59 al '62. Mio padre descriveva nonno come un uomo elegante, che non si fermava davanti a nessun ostacolo e così è stato per La dolce vita ».

 

la dolce vita raccontato dagli archivi rizzoliLA DOLCE VITA RACCONTATO DAGLI ARCHIVI RIZZOLI

 

 

 

 

Eppure quel film, sofferto e complicato al di là degli aspetti economici (costò il doppio del preventivato), finì per costargli la salute: «Continuò a lottare malgrado un primo infarto lo avesse colto durante i primi mesi della post produzione. Una sua collaboratrice dichiarò: "Peppino Amato è morto a causa della Dolce vita ".

 

Ad amareggiarlo più che gli scontri con Fellini, «entrambi personalità fortissime, ma sapevano di lottare entrambi per il bene del film», fu quello che considerò un tradimento dell'amico e socio Rizzoli, «che prospettando il fallimento del film gli chiese indietro i soldi e lo mise in ginocchio. Nonno è stato dimenticato, è bello oggi poter restituire la sua impresa a chi non lo ricorda o non lo conosce».

 

2 – PAPÀ LICENZIATO PERCHÉ LODÒ «LA DOLCE VITA»

FEDERICO FELLINI GIUSEPPE AMATOFEDERICO FELLINI GIUSEPPE AMATO

Carlo Verdone per “la Lettura - Corriere della Sera”

 

Il miglior giudice resta e resterà sempre il tempo. Il tempo farà brillare un'opera ingiustamente declassata alla sua apparizione, il tempo condannerà senza appello un'opera troppo esaltata dalla maggior parte della critica di quel tempo.

 

L'affidabilità del critico, dello storico del cinema (in questo caso, visto che l'argomento è La dolce vita di Fellini), è quello di afferrare al volo la novità narrativa, il coraggio di esplorare sentieri inediti proposti dal regista e, non ultimo, di liberarsi dall'«ideologia» che pone un ostacolo insormontabile nel percepire la verità, l'autenticità poetica e drammatica del tema sviluppato dall'autore.

 

Mario Verdone con Federico FelliniMARIO VERDONE CON FEDERICO FELLINI

 Se c'è un film che spaccò in due il mondo della critica e la platea degli spettatori in modo nevrastenico, parossistico, questo fu La dolce vita del 1960.

 

 

 

Per comprendere bene il terremoto che provocò mi è venuto in aiuto un libro, un grosso volume, conservato nella biblioteca di mio padre Mario dal titolo La dolce vita. Raccontato dagli Archivi Rizzoli a cura di Domenico Monetti e Giuseppe Ricci, edito dal Centro Sperimentale di Cinematografia e dalla Fondazione Federico Fellini.

 

 

 

federico fellini giulietta masinaFEDERICO FELLINI GIULIETTA MASINA

Sono quasi ottocento pagine in cui si raccolgono tutte le recensioni su quello che oggi definiamo un capolavoro assoluto. Iniziando a sfogliare il libro, si resta attoniti dal putiferio che scatenò quella pellicola.

 

Questi i primi titoli che appaiono voltando le pagine: «Film confezionato con gli elementi più deteriori della pornografia», «Pattumiera cinematografica», «La sporca vita del culturame sinistro», «Povera vita, povera capitale», «Il Centro cattolico cinematografico bolla La dolce vita tra i film esclusi», «Verso il sequestro della Dolce vita ?», «Forse il Papa vedrà La dolce vita », «Lo scrittore Staino chiede il sequestro de La dolce vita », «Basta! Basta!», titola enorme «L'Osservatore Romano», «La nobiltà e la borghesia accusano Fellini», «Il Centro cattolico chiede il licenziamento in tronco del critico del "Quotidiano"».

 

GREGORY PECK CON GIUSEPPE AMATOGREGORY PECK CON GIUSEPPE AMATO

Mio padre. «Il critico del "Quotidiano" licenziato su due piedi». Fu così che papà rimase senza lavoro per aver scritto: «Le prime qualità del film sono nella fantasia sfrenata, nell'ambientazione scavata con lo stesso ardire e la stessa succulenza di uno Stroheim e di uno Sternberg nel modo sorprendente della evocazione, come una favola surreale di Hoffmann; ma tutto quel che Fellini ci mostra è rigorosamente vero, còlto in alcuni ambienti della Roma notturna...».

 

 Papà e Fellini erano già amici, si stimavano a vicenda e avevano una passione comune: la storia del circo e dei clown.

 

Quando Federico seppe del licenziamento di papà rimase molto avvilito e gli propose di entrare come ufficio stampa in quella che doveva essere la sua prima casa di produzione: la Federiz (nata da un'alleanza con la Rizzoli).

 

 

 

roma dolce vitaROMA DOLCE VITA

Progetto che fu chiuso dopo circa un anno. In ogni caso papà era già impiegato al Centro Sperimentale e non avrebbe potuto accettare. Ma rimase molto commosso dal gesto di Fellini, da vero amico.

 

Sarebbe comunque ingiusto non ricordare altri critici e scrittori che invece compresero il coraggio di raccontare un mondo che esisteva e che molti non volevano vedere nelle sue fragilità, nei suoi vizi, nella depressione, nell'euforia, nell'immoralità e direi anche nella sua spiritualità.

CARLO E MARIO VERDONECARLO E MARIO VERDONE

 

Il cardinale Siri se ne accorse e comprese la grandezza del film. Padre Taddei, sacerdote intellettuale, idem (rimosso per questo dall'incarico di capo della comunicazione e della cultura nella Compagnia di Gesù) e poi Giuseppe Marotta, Tullio Kezich, Pietro Bianchi, Sergio Frosali, Pasolini e Moravia e altri.

 

La dolce vita , non seguendo gli schemi di una pura dottrina neorealista e marxista, volando invece nella totale libertà dell'autore (mai schierato), pagò duramente l'attacco che gli venne scatenato dai più oltranzisti.

il figlio di bud spencer giuseppe pedersoliIL FIGLIO DI BUD SPENCER GIUSEPPE PEDERSOLI

 

Lo storico del cinema Guido Aristarco in prima fila (al quale Fellini mandò per Natale un biglietto: «Auguri stronzetto!»). Ma, alla fine, vinse lui. Il tempo lo risarcì di ogni offesa.

 

Il pubblico affollò le sale. Fellini si apprestava a diventare tra i più grandi registi che il cinema abbia mai avuto. Quel film aveva aperto la pagina su una nuova era. Un affresco rappresentato con assoluta verità e impressionante sensibilità.

giulio andreotti federico felliniGIULIO ANDREOTTI FEDERICO FELLINIFEDERICO FELLINI E SERGIO LEONEFEDERICO FELLINI E SERGIO LEONEMARIO VERDONEMARIO VERDONEfederico felliniFEDERICO FELLINICARLO MARIO E LUCA VERDONECARLO MARIO E LUCA VERDONEgiuseppe pedersoli terence hill con la moglie e maria amatoGIUSEPPE PEDERSOLI TERENCE HILL CON LA MOGLIE E MARIA AMATOfederico felliniFEDERICO FELLINICARLO E MARIO VERDONECARLO E MARIO VERDONE

giuseppe pedersoliGIUSEPPE PEDERSOLI

MARIO CARLO LUCA VERDONEMARIO CARLO LUCA VERDONE

 

MARIO BREGA E CARLO VERDONEMARIO BREGA E CARLO VERDONEfederico fellini e giulietta masinaFEDERICO FELLINI E GIULIETTA MASINAfederico felliniFEDERICO FELLINI

 

federico felliniFEDERICO FELLINI

mercoledì 2 settembre 2020

                                                             JE SUIS CHARLIE


“NON CI PIEGHEREMO MAI”, CHARLIE HEBDO RIPUBBLICA LE VIGNETTE SU MAOMETTO: NELLA SETTIMANA IN CUI SI APRE IL PROCESSO PER GLI ATTENTATI DEL GENNAIO 2015 - IN COPERTINA I DISEGNI CHE SCATENARONO L’ATTACCO CHE FECE 12 VITTIME E IL TITOLO “TUTTO QUESTO PER NIENTE”, OVVERO UN MASSACRO CON 12 MORTI NON E’ SERVITO A TAPPARE LA BOCCA A 'CHARLIE' – L’EDITORIALE: “NON RINUNCEREMO MAI, L’ODIO CHE CI HA COLPITO È ANCORA QUI” – LA REAZIONE DEL CONSIGLIO ISLAMICO

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Stefano Montefiori per corriere.it

 

charlie hebdo 3CHARLIE HEBDO 3

Alla vigilia dell’apertura del processo per gli attentati del gennaio 2015 a Parigi il settimanale satirico Charlie Hebdo ripubblica le vignette su Maometto che ne hanno fatto il bersaglio dei terroristi islamici. Il 7 gennaio 2015 i fratelli Chérif e Said Kouachi, francesi di origine algerina nati a Parigi, fecero irruzione nella redazione del giornale, al numero 10 di rue Nicolas-Appert, uccidendo 11 persone e poi un agente nel corso della fuga gridando «abbiamo vendicato il profeta Maometto».

 

Negli anni successivi il giornale è stato oggetto di nuove minacce e la redazione diretta da Riss, rimasto ferito nell’attentato e succeduto a Charb che perse la vita, ha continuato a riunirsi protetta da eccezionali misure di sicurezza.

 

La prima pagina

charlie hebdo 1CHARLIE HEBDO 1

«Tout ça pour ça» è il titolo della nuova copertina di Charlie Hebdo, traducibile più o meno con «tutto questo per niente». Ovvero, un massacro con 12 vittime non è servito a metterci a tacere, riecco le vignette. Sono gli 11 disegni pubblicati per la prima volta dal quotidiano danese Jyllands-Posten nel 2005, che Charlie Hebdo decise di riprodurre in Francia l’anno seguente, e che mostrano il profeta Maometto con una bomba al posto del turbante o armato di un coltello accanto a due donne velate. L’islam vieta qualsiasi immagine di Maometto, tanto più satirica. 

 

LUZ E RISS - CHARLIE HEBDOLUZ E RISS - CHARLIE HEBDO

Charlie Hebdo ha sempre difeso la sua libertà di espressione e anche il diritto alla blasfemia, che ha coinvolto negli anni anche la religione cristiana, ebraica e altre. Il 10 e l’11 gennaio, pochi giorni dopo l’attentato, una folla enorme (in totale quattro milioni di persone) è scesa in piazza in tutte le città di Francia per proclamare «Je suis Charlie» manifestando solidarietà alle famiglie delle vittime, ai superstiti e difendendo la libertà di espressione. Cinque anni dopo quello spirito è andato in parte perduto, come lamenta il direttore Riss nell’editoriale che accompagna le vignette.

 

CHARLIE HEBDOCHARLIE HEBDO

L’editoriale

«Non ci piegheremo mai. Non rinunceremo mai», scrive Riss. «L’odio che ci ha colpito è ancora qui e, dal 2015 a oggi, ha avuto il tempo di trasformarsi, cambiare aspetto per passare inosservato e proseguire senza fare rumore la sua crociata senza pietà». «Dopo l’attentato di gennaio 2015 ci hanno chiesto spesso di pubblicare altre caricature di Maometto.

 

Abbiamo sempre rifiutato, non perché sia proibito, la legge ce lo consente, ma perché serviva una buona ragione per farlo, un motivo che avesse un senso e che aggiungesse qualcosa al dibattito. In questa settimana di apertura del processo per gli attentati del 2015 (oltre a Charlie Hebdo, quello contro la poliziotta Clarissa Jean-Philippe e contro il supermercato ebraico di Vincennes, ndr), riprodurre quelle caricature ci è sembrato indispensabile».

 

RISS - CHARLIE HEBDORISS - CHARLIE HEBDO

L’ultima vignetta

Prima di oggi, l’ultima apparizione di Maometto nelle pagine di Charlie Hebdo risale al «numero dei superstiti», quello successivo alla strage: in copertina c’era il profeta dell’Islam che portava un cartello con la scritta «Je suis Charlie», sotto al titolo «Tutto è perdonato».

copertina di charlie hebdo con maomettoCOPERTINA DI CHARLIE HEBDO CON MAOMETTO

 

La reazione del Consiglio islamico

Il Consiglio francese del culto musulmano (CFCM) è l’istituzione creata nel 2003 su impulso dell’allora ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy per dare rappresentanza ai musulmani francesi e offrire un loro interlocutore allo Stato. Il presidente del CFCM Mohammed Moussaoui è intervenuto subito dopo la pubblicazione del nuovo numero di Charlie Hebdo per invitare alla calma e a «ignorare» le caricature di Maometto: «La libertà di fare caricature è garantita a tutti, così come quella di apprezzarle o no. Niente può giustificare la violenza». Moussaoui chiede poi ai musulmani francesi di concentrarsi sul processo che comincia mercoledì e sulle vittime di un terrorismo «che colpendo in nome della nostra religione è nostro nemico».

terroristi charlie hebdoTERRORISTI CHARLIE HEBDOcharlie hebdoCHARLIE HEBDOCHARLIE HEBDOCHARLIE HEBDOCHARLIE HEBDO PAPA RATZINGERCHARLIE HEBDO PAPA RATZINGERCHARLIE HEBDO ISLAMCHARLIE HEBDO ISLAMi fratelli kouachi fuggono indisturbati dopo la strage a charlie hebdo 3I FRATELLI KOUACHI FUGGONO INDISTURBATI DOPO LA STRAGE A CHARLIE HEBDO 3LA REDAZIONE DI CHARLIE HEBDOLA REDAZIONE DI CHARLIE HEBDOFUNERALI PER LE VITTIME DELLA STRAGE A CHARLIE HEBDOFUNERALI PER LE VITTIME DELLA STRAGE A CHARLIE HEBDOCHARLIE HEBDO ATTENTATI PARIGICHARLIE HEBDO ATTENTATI PARIGIchristopher furlong manifestazione a parigi dopo charlie hebdoCHRISTOPHER FURLONG MANIFESTAZIONE A PARIGI DOPO CHARLIE HEBDOcharlie hebdoCHARLIE HEBDOcharlie hebdo attentato londraCHARLIE HEBDO ATTENTATO LONDRACHARLIE HEBDO UN ANNO DOPOCHARLIE HEBDO UN ANNO DOPOritratto fulvio di wolinski copia 5RITRATTO FULVIO DI WOLINSKI COPIA 5wolinski e fulvio abbateWOLINSKI E FULVIO ABBATEmarine le pen charlie hebdo 1MARINE LE PEN CHARLIE HEBDO 1