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lunedì 29 agosto 2022

                                    

Ripristinare l’immunità parlamentare”: l’idea del Guardasigilli di Fratelli d’Italia in pectore, Carlo Nordio, per impedire le indagini su deputati e senatori

“Ripristinare l’immunità parlamentare”: l’idea del Guardasigilli di Fratelli d’Italia in pectore, Carlo Nordio, per impedire le indagini su deputati e senatori
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Il piano dell'ex magistrato è di tornare alla formulazione originaria dell'articolo 68 della Costituzione, modificato nel 1993 limitando la necessità di ottenere il nullaosta delle Camere ai casi di perquisizioni, arresti (non in flagranza), intercettazioni e sequestro di corrispondenza. "Riconosco che andrebbe spiegata bene ai cittadini, affinché non sembri un privilegio di casta", dice. E chiede anche l'eliminazione del reato di abuso d'ufficio | 28 AGOSTO 2022

Ripristinare l’immunità parlamentare, cioè il divieto di indagare deputati e senatori (e di eseguire le sentenze di condanna definitive nei loro confronti) senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza. È l’idea lanciata in un’intervista al Quotidiano nazionale da Carlo Nordio, ex magistrato candidato a Montecitorio per Fratelli d’Italia in Veneto e probabile futuro ministro della Giustizia in un governo di centrodestra. Il piano è di tornare alla formulazione originaria dell’articolo 68 della Costituzione, modificato nel 1993 limitando la necessità di ottenere il nullaosta delle Camere ai casi di perquisizioni, arresti (non in flagranza), intercettazioni e sequestro di corrispondenza. “Riconosco che andrebbe spiegata bene ai cittadini, affinché non sembri un privilegio di casta“, dice l’ex pubblico ministero a Venezia. “I padri costituenti l’hanno voluta proprio come garanzia dalle interferenze improprie della magistratura. Sapevano benissimo che qualcuno se ne sarebbe servito a suo vantaggio, ma hanno accettato il rischio, perché quello della sovrapposizione di poteri era enormemente maggiore, come poi si è dimostrato”.

Nel programma Nordio c’è anche la separazione delle carriere (“una conseguenza necessaria del codice del 1989 che ha recepito i principi del rito anglosassone”) e la fine dell’obbligatorietà dell’azione penale: entrambi obiettivi a cui si sono avvicinate le riforme della ministra in carica Marta Cartabia, con il limite a un solo passaggio di funzioni tra giudici e pm e l’attribuzione al Parlamento della facoltà di individuare i criteri di priorità nelle indagini che le Procure dovranno seguire. La proposta di abolire l’obbligo del pm esercitare l’azione penale (cioè di aprire un fascicolo e indagare quando apprende una notizia di reato) peraltro non è contenuta nemmento nel programma sulla giustizia del centrodestra, mentre compare (seppur “de relato”) in quello della lista di centro di Matteo Renzi e Carlo Calenda, che in questo senso è ancora più radicale.

Nordio è favorevole anche all’inappellabilità delle sentenze di assoluzione lanciata da Silvio Berlusconi (e già dichiarata incostituzionale) e alla limitazione della custodia cautelare, che dice, “dovrebbe essere decisa non da un giudice monocratico, com’è il gip, ma da uno collegiale, magari lontano anche topograficamente dal pm che ha formulato la richiesta”. Poi chiede la “radicale eliminazione (…) di una serie di norme complesse e contraddittorie che paralizzano l’amministrazione: l’esempio più emblematico è il reato di abuso d’ufficio, per cui nessun assessore firma più con tranquillità o non firma affatto”.

martedì 14 luglio 2020

                                                              GIUSTIZIA


PALAMARA PASSA AL CONTRATTACCO - L’EX PUBBLICO MINISTERO ROMANO INIZIA A FARE I NOMI E CHIAMA 133 TESTIMONI DA CONVOCARE DAVANTI AL “TRIBUNALE DEI GIUDICI”, PER DIMOSTRARE CHE LE TRATTATIVE TRA TOGHE E POLITICA ERANO LA PRASSI – MANCANO SOLO MATTARELLA E NAPOLITANO, MA CI SONO I RISPETTIVI CONSIGLIERI GIURIDICI, STEFANO ERBANI E ERNESTO LUPO. E POI ANDREA ORLANDO E GIOVANNI MARIA FLICK, L’EX MINISTRO PINOTTI, GIANRICO CAROFIGLIO. DIRIGENTI D'AZIENDA (DESCALZI), PROCURATORI E EX MAGISTRATI DI GRIDO COME INGROIA E BRUTI LIBERATI – TUTTI I NOMI
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luca palamaraLUCA PALAMARA
Giacomo Amadori e Fabio Amendolara per "la Verità"

La lista testimoni presentata da Luca Palamara al Csm in vista della prima udienza davanti alla sezione disciplinare, se verrà accolta, potrebbe disvelare urbi et orbi come sia stata gestita in Italia la giustizia dagli anni Ottanta a oggi.

Infatti la scelta dei 126 testi indicati dal pm sotto inchiesta per corruzione a Perugia ha l' ambizione di mettere a nudo l' ipocrisia di un sistema che adesso vuole processare uno dei vecchi leader per comportamenti che, è la tesi di Palamara, sono stati prassi per decenni. Insomma il mercato delle toghe non è una sua invenzione, come non lo è l' incestuoso rapporto tra toghe e politica.

stefano erbaniSTEFANO ERBANI
La prima parte dei testimoni sono collegati alle specifiche accuse, mentre un' altra cinquantina di testi sembrano inseriti per consentire un processo all' intero sistema. Tra gli obiettivi della Palamara' s list ci pare di intravedere in Quirinale.

Il consigliere di Sergio Mattarella, Stefano Erbani, sarà chiamato a riferire, tra le varie cose, sulle «tematiche inerenti i rinvii dei procedimenti» disciplinari e in particolare quello relativo a Henry John Woodcock, il pm del caso Consip. Erbani dovrebbe anche parlare del suo interessamento per le audizioni degli candidati all' incarico della Procura di Roma, fortemente volute dal Quirinale, quando ormai i giochi a favore di Marcello Viola sembravano fatti.

FRANCESCO SAVERIO GAROFANIFRANCESCO SAVERIO GAROFANI
Palamara tira in ballo pure un altro consigliere di Mattarella, Francesco Saverio Garofani, questa volta per i rapporti e i colloqui intrattenuti con l' onorevole Luca Lotti e in particolare «con riferimento alle vicende relative al Csm». Come dire: se io Palamara sono incolpato perché frequentavo l' indagato Lotti, perché Garofani poteva incontrarlo per trattare le stesse questioni?


Palamara vorrebbe sentire anche Ernesto Lupo, già consigliere di un altro presidente, Giorgio Napolitano, ed ex componente di diritto del Csm. Lui, come molti altri testimoni, dovrebbe riferire «sulla prassi costante» delle «interlocuzioni preliminari» degli aspiranti vicepresidenti del Csm con i membri togati del parlamentino e con correnti e Anm e sugli «accordi i più ampi possibili» per «la rapida nomina dei vertici degli uffici giudiziari»; ma anche sulla «prassi costante» da parte dei magistrati aspiranti agli incarichi direttivi o a quelli fuori ruolo «di conferire direttamente, o per interposta persona» con i membri del Csm.

giovanni maria flickGIOVANNI MARIA FLICK
Lupo dovrebbe testimoniare anche «sulla natura dei rapporti tra la componente laica del Csm e i partiti politici di riferimento», oltre che «sulle modalità di conferimento degli incarichi di presidente di sezione della Corte di Cassazione». Il riferimento, neppure troppo velato, pare essere alla nomina di Amedeo Franco, il giudice della Cassazione che aveva chiesto l' ausilio di Lupo per la propria promozione e che prima di ottenerla aveva fatto parte del collegio che aveva condannato Silvio Berlusconi, salvo successivamente pentirsene.

Palamara ha inserito nella sua lista anche diversi vicepresidenti del Csm: David Ermini, ancora in carica, Giovanni Legnini, Michele Vietti, Nicola Mancino e Cesare Mirabelli.
NAPOLITANO - ERNESTO LUPO - ALFANONAPOLITANO - ERNESTO LUPO - ALFANO
Citati pure due ex candidati a quella poltrona come Massimo Brutti (contro Legnini) e Giovanni Maria Flick (contro Vietti). A tutti, come a Lupo, viene chiesto di esprimersi sui rapporti tra Csm e politica e sulle dinamiche delle nomine.

Ermini dovrebbe essere sentito «sulla ragione dei suoi colloqui» con Palamara e del suo rapporto con Lotti, mentre il procuratore della Dna Federico Cafiero De Raho dovrebbe confermare di aver ascoltato Palamara parlare dell' inchiesta di Perugia, quando non era ancora esplosa ufficialmente, proprio in presenza di Ermini.
LUCA PALAMARA PUBBLICA SU TWITTER LA FOTO CON MARCO TRAVAGLIO AL CONVEGNO DI UNICOST IN PUGLIALUCA PALAMARA PUBBLICA SU TWITTER LA FOTO CON MARCO TRAVAGLIO AL CONVEGNO DI UNICOST IN PUGLIA

Legnini dovrebbe essere compulsato a proposito di una conversazione avuta con l' ex ministro Paolo Cirino Pomicino e intercettata nell' ambito dell' inchiesta Consip. In essa si parlava di Woodcock «nel periodo di svolgimento del procedimento disciplinare nei confronti dello stesso» e proprio per questo Legnini dovrebbe anche spiegare «le ragioni del rinvio» di quel processo.

CENE
Ma Legnini è stato convocato anche per parlare dei «rapporti di conoscenza e di frequentazione» tra Palamara e Lotti «nonché della presenza in tali occasioni tra gli altri anche del Procuratore Giuseppe Pignatone». Il riferimento è ad almeno una cena a casa dell' ex consigliera del Csm Paola Balducci, chiamata anch' ella a dire la sua su quell' incontro conviviale.
ROBERTA PINOTTI A PORTA A PORTAROBERTA PINOTTI A PORTA A PORTA

I procuratori aggiunti do Roma Rodolfo Sabelli e Stefano Pesci sono, invece, chiamati a testimoniare «sulle ragioni per cui fu organizzata una cena a casa del dottor Ielo nel settembre del 2014 tra i dottori Palamara, Cascini, Sabelli, Pignatone, Pesci e Ielo». Dovranno anche dire «se nel corso della cena vi fu un confronto di opinioni, tra i presenti, sul tema della organizzazione della Procura di Roma, anche con riferimento a future nomine dei procuratori aggiunti».

Pare di capire che in quell' occasione di discusse della formazione della futura squadra di Pignatone in cui entrarono come vice proprio Sabelli, Ielo e Cascini (Pesci solo successivamente). L' ex consigliere del Csm Lucio Aschettino dovrà parlare delle «vicende relative alla nomina dei quattro posti di procuratore aggiunto a Roma tra il febbraio e l' aprile 2016».

GIOVANNI LEGNINI LUCA PALAMARAGIOVANNI LEGNINI LUCA PALAMARA
Di cene insieme e dei buoni rapporti di Palamara con Pignatone, ma anche con Paolo Ielo, dovrebbero riferire anche il giudice romano Paola Roia e l' ex presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri.

IL CANE A SEI ZAMPE
descalziDESCALZI
Palamara ha chiamato a testimoniare anche l' amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi e l' ex dirigente del cane a sei zampe Claudio Granata «sulle modalità dell' incarico conferito all' avvocato Domenico Ielo e sull' assenza di qualsiasi richiesta di informazioni, al riguardo, da parte del dottor Palamara».


Il riferimento è al presunto dossier che qualcuno avrebbe cercato di confezionare contro Paolo Ielo, il cui fratello Domenico era un consulente della compagnia petrolifera. Il tema del possibile conflitto di interessi di Ielo e del procuratore Pignatone era stato sollevato dal pm Stefano Fava, il quale aveva presentato anche un esposto al Csm.

gianrico carofiglioGIANRICO CAROFIGLIO
Denuncia a cui Palamara non vuole essere collegato, ma che a suo dire avrebbe creato grande agitazione. Per questo viene citata un' intercettazione del 7 maggio 2019 tra lo stesso Palamara e l' allora componente del comitato di presidenza del parlamentino dei giudici Riccardo Fuzio, il quale riferisce di un rallentamento dell' esposto: «La cosa è un poco strana. C' è qualcuno che dice facciamo fare una relazione al procuratore generale». All' epoca pg della Corte d' appello era Giovanni Salvi, oggi il grande accusatore di Palamara & c.

POLITICI
donatella ferrantiDONATELLA FERRANTI
Un altro importante capitolo riguarda i politici. Palamara nella sua lista ha inserito diversi esponenti di spicco del Pd, oltre a Legnini ed Ermini, come l' ex presidente della commissione Giustizia Donatella Ferranti (che avrebbe perorato alcune nomine), l' ex Guardasigilli Andrea Orlando, l' ex ministro della Difesa Roberta Pinotti (che avrebbe partecipato nel dicembre 2014 a casa di del lobbista Fabrizio Centofanti a una cena con Palamara e Pignatone) e gli ex senatori-magistrati Anna Finocchiaro e Gianrico Carofiglio (citato in una chat per una cena), anche loro da sentire sulla questione delle nomine e dei rapporti magistratura-politica.
FRANCESCO MINISCIFRANCESCO MINISCI

Palamara tira pesantemente in mezzo pure le correnti chiedendo ai loro vertici di rispondere sulle «prassi costanti». Per questo sono stati convocati Antonella Magaraggia dei Verdi e Claudio Castelli di Md, oltre a Eugenio Albamonte e Cristina Ornano, oggi ai vertici di Area. Convocati anche ex consiglieri del Csm di Area come Valerio Fracassi e Piergiorgio Morosini. Ma la compagine di testimoni più nutrita è quella dei vecchi compagni di corrente di Palamara, quella di Unicost, a partire dal presidente e dal segretario Mariano Sciacca e Francesco Cananzi.

EDMONDO BRUTI LIBERATIEDMONDO BRUTI LIBERATI
ProcuratoriC' è poi la lista dei magistrati promossi che dovranno andare a spiegare come sono finiti a ricoprire certe posizioni. Ci sono toghe molto stimate da Legnini come Francesco Testa, Guido Campli e Anna Maria Mantini; i procuratori di Milano Francesco Greco (da sentire sulle «sui rapporti e sulle ragioni della sua interlocuzione» con Palamara) e di Bologna Giuseppe Amato, gli ex procuratori generali di Milano e Napoli Roberto Alfonso e Luigi Riello, nominati nello stesso pacchetto con cui divenne pg anche il pg della Cassazione Salvi.
luca lottiLUCA LOTTI

Nel menù pure l' ex procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati. Tra i testimoni pure i vecchi sfidanti per la poltrona di procuratore di Palermo Franco Lo Voi e Guido Lo Forte. Invitato pure l' ex aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, che con ogni probabilità dovrà ricostruire la vicenda legata allo scontro con il Quirinale per le intercettazioni di Napolitano nell' ambito dell' inchiesta sulla Trattativa Stato-mafia.

Infine un capitolo chiave riguarda magistrati e investigatori collegati all''inchiesta o comunque appartenenti alla Procura di Perugia. Il primo a essere chiamato in aula dovrebbe essere Gerardo Mastrodomenico, ex comandante del Gico di Roma. Lui e altri colleghi e i tecnici addetti alle intercettazioni dovranno spiegare il perché dei buchi nelle registrazioni con il trojan e perché le captazioni non siano state interrotte quando era chiaro che agli incontri avrebbero partecipato dei politici, le cui comunicazioni sono protette dalla Costituzione.
giuseppe pignatoneGIUSEPPE PIGNATONE

Alcuni testimoni serviranno a dimostrare «la notorietà dei rapporti di conoscenza» tra Palamara e l' ex procuratore di Perugia Luigi De Ficchy «nonché la notorietà dell' esistenza di una indagine nei confronti dello stesso dottor Palamara presso la Procura di Perugia».
francesco minisci anmFRANCESCO MINISCI ANM

Il pm perugino Paolo Abritti è invece chiamato a spiegare perché comunicasse con Palamara sulla chat protetta Telegram e a descrivere «modalità e ragioni dei contatti, nel mese di luglio 2018» (mentre era in discussione al Csm il trasferimento del procuratore aggiunto di Perugia Antonella Duchini) e su un «colloquio del 24 novembre 2018». In questo caso quella di Palamara sembra una piccola molotov lanciata dentro la Procura che lo sta indagando.
luca palamara 1LUCA PALAMARA 1luca palamara 5LUCA PALAMARA 5FRANCESCO SAVERIO GAROFANIFRANCESCO SAVERIO GAROFANIluca palamara 2LUCA PALAMARA 2FRANCESCO GRECOFRANCESCO GRECOluca palamara 7LUCA PALAMARA 7francesco lo voi 1FRANCESCO LO VOI 1donatella ferrantiDONATELLA FERRANTI
Mattarella Descalzi e marcegagliaMATTARELLA DESCALZI E MARCEGAGLIA

venerdì 3 luglio 2020

                                                                     GIUSTIZIA  e altro

Silvio Berlusconi, dal “cimicione” delle “procure eversive” alle “notizie agghiaccianti” sul pool di Milano: quando l’ex premier denunciava “fatti gravissimi”. Che poi si sono rivelati bufale o casi di calunnia

Silvio Berlusconi, dal “cimicione” delle “procure eversive” alle “notizie agghiaccianti” sul pool di Milano: quando l’ex premier denunciava “fatti gravissimi”. Che poi si sono rivelati bufale o casi di calunnia
I berlusconiani e dei loro alleati (anche quelli virtuali come Matteo Renzi) si stanno stracciando le vesti dopo la diffusione dell'audio del giudice Amedeo Franco. Un modus operandi che ricorda quello seguito nel 1996 dall'ex premier e dai suoi sodali per denunciare l'esistenza di uno scandalo nazionale. Un complotto della magistratura ai danni dell'allora cavaliere, che - ben prima del caso del giudice Franco - sarebbe stato confermato da prove decisive. Solo che per ben due volte alle dichiarazioni roboanti e alle campagne di stampa militari non è seguito nulla
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“Abbiamo procure eversive che calpestano l’immunità parlamentare“. Ma non solo: “Questo è un fatto grave, che testimonia il clima torbido di un Paese inquinato da intrighi, manovre, veleni e sospetti”. E ancora: “Si tratta di uno scandalo non inferiore al Watergate“. Addirittura? “Sì, perché qui sono a rischio le libertà fondamentali“. Basta? No, non basta.”Quando si squarcia il sipario, molti episodi possono venire fuori. È finita l’omertà, il muro è crollato e la gente non ha più paura della procura”. Sembrano i lanci freschi freschi di agenzia dei berlusconiani e dei loro alleati (anche quelli virtuali come Matteo Renziche si stracciano le vesti dopo la diffusione dell’audio del giudice Amedeo Franco. E in effetti quei virgolettati sono davvero i take di agenzia dei forzisti che gridano al “golpe politico giudiziario“: solo che sono vecchi di più di vent’anni. Risalgono a un periodo compreso tra il 1996 e il 1997: archeologia politico-giudiziaria. Il modus operandi della reazione dei forzisti, pronti a fare quadrato attorno al loro capo, ricorda da vicino quello di oggi.
Bufale e calunnie – All’epoca, nell’Italia che da poco aveva conosciuto la Seconda Repubblica, Berlusconi aveva visto rovinosamente cadere il suo primo governo e poi era stato sconfitto dall’Ulivo di Romano Prodi. Alle difficoltà politiche si erano aggiunte quelle giudiziarie con il processo per le tangenti alla Guardia di Finanza che stava entrando nel vivo. È in quei mesi che per almeno due volte il partito di Arcore scatena le sue milizie parlamentari (all’epoca molto più potenti di quelle di oggi) e quelle mediatiche (rimaste efficientissime) per denunciare l’esistenza di uno scandalo nazionale. Un complotto della magistratura ai danni dell’allora cavaliere, che – ben prima del caso del giudice Franco – sarebbe stato confermato da prove decisive. Solo che per ben due volte alle dichiarazioni roboanti e alle campagne di stampa militari non è seguito nulla. Nella migliore delle ipotesi erano bufale. Nella peggiore calunnie di personaggi dal curriculum oscuro. In qualche caso vicini all’entourage berlusconiano. Ma andiamo con ordine.
Il cimicione delle “procure eversive” – A ricostruire nel dettaglio quei giorni sono stati Peter Gomez, Marco Travaglio e Gianni Barbacetto nel libro Mani Pulite, la vera storia. È l’11 ottobre 1996 quando Berlusconi convoca una conferenza stampa annunciando scottanti rivelazioni. Che rivelazioni? L’ex premier mostra alle telecamere una microspia trovata tre giorni prima dietro al termosifone della sua residenza romana, nella sala dove tiene le riunioni con gli altri leader del Polo delle Libertà. Solo che quella microspia di “micro” ha veramente poco: è grande almeno quanto un paio di grossi accendini e a occhio non sembra tecnologicamente molto avanzata. Neppure per l’epoca. I giornali, maligni, la ribattezzano subito il “cimicione“. Berlusconi, però, è sicurissimo: “Mi spiano – dice – ho trovato una microspia dietro il termosifone del mio studio a Palazzo Grazioli, una cimice perfettamente funzionante, in grado di trasmettere fino a 300 metri di distanza. Abbiamo procure eversive che calpestano l’immunità parlamentare”. Immediatamente si mette in moto la macchina dei comunicati stampa: più o meno come è avvenuto in questi giorni dopo il caso dell’audio del giudice Franco. “Siamo un presenza di un fatto che – se vero- sarebbe gravissimo“, dice oggi Renzi. “È un fatto grave, che testimonia il clima torbido di un Paese inquinato da intrighi, manovre, veleni e sospetti”; diceva ieri D’Alema, candidato presidente della commissione Bicamerale che insieme all’opposizione doveva riscrivere la Costituzione, a cominciare dalla giustizia. E infatti l’allora leader del Pds (In quei mesi Berlusconi lo chiama “l’amico Massimo”) sfrutta l’occasione del “cimicione” per inviare messaggi d’amore al leader dell’opposizione: “Bisogna reagire con fermezza, con un colpo di reni, riscrivendo le regole della convivenza civile e democratica“.
“Lo scandalo non inferiore al Watergate” – Non passano neanche cinque giorni e Luciano Violante convoca la Camera in seduta straordinaria. “Onorevoli colleghi il fatto è davvero grave: un’attività spionistica ai danni del leader dell’opposizione che, da chiunque sia stata ordita, rientra perfettamente nel panorama non limpido della vita nazionale. Mai, in nessun periodo della storia repubblicana, sono gravate sulla libera attività politica tante ombre e tanto minacciose”, dice Berlusconi nell’aula di Montecitorio, con toni che sembrano annunciare un golpe imminente. Gli alleati, come sempre, sono più realisti del re: Rocco Buttiglione parla di uno “scandalo non inferiore al Watergate“. Per Lamberto Dini “sono a rischio le libertà fondamentali”. Il tenore è drammatico anche nei ranghi del centrosinistra con Fabio Mussi che invoca un’imprescindibile “riforma dei servizi segreti“, mentre oggi i berlusconiani si accontenterebbero della sempreverde riforma della magistratura con la separazione delle carriere. E se adesso Mariastella Gelmini vorrebbe una commissione d’inchiesta “sull’uso politico della giustizia“, all’epoca era An a chiedere che un organo parlamentare indagasse sul “cimicione”. Diversa la musica nei pressi della Lega. Dopo la diffusione dell’audio col giudice di Cassazione, Matteo Salvini è stato tra i più solidali con l’ex premier. Nel 1996, invece, il Carroccio di Umberto Bossi era in rotta di collissione con l’uomo di Arcore. E infatti Roberto Maroni scherzava davanti a tutti: “Più che una cimice, pare una mozzarella, anzi una bufala“. Parole profetiche.
Una cimice? “No, una bufala” – Nove mesi dopo quell’annuncio di golpe la procura di Roma chiederà l’archiviazione della denuncia per spionaggio politico, interferenza illecita nella vita privata e violazione di domicilio, depositata da Berlusconi. Il motivo? Il procuratore aggiunto Vittorio De Cesare e il sostituto Pietro Saviotti appureranno che la microspia non funzionava da alcuni anni. E soprattutto che a piazzarla a casa Berlusconi non erano state le “procure deviate“, ma l’uomo incaricato di “bonificare” la residenza romana dell’ex cavaliere. Il tecnico si chiamava Paolo Izzi, titolare e direttore tecnico della Sirti service, che negò ogni accusa. “Era il suo primo incarico di quel tipo”, scrissero i giornali all’epoca. A contattarlo era stato Aldo Puri, in quei mesi capo della sicurezza di Berlusconi a Roma. L’indagine venne archiviata e non si capì mai davvero da chi e perché era stata organizzata quella messinscena.
“Fatti sicuri, accertati e gravissimi”- Una situazione simile, ma con un epilogo giudiziario un po’ diverso, si verifica alcuni mesi prima della storia del “cimicione“. Il 16 gennaio del 1996 è la vigilia della prima udienza del processo sulle mazzette della Fininvest alla Guardia di Finanza. È il procedimento noto perché il relativo invito a comparire raggiunse il principale indagato – cioè Berlusconi, in quel momento presidente del consiglio – durante la conferenza Onu di Napoli. Quando comincia il dibattimento il leader di Forza Italia ha già lasciato Palazzo Chigi, e ai giornali rilascia una dichiarazione molto strana: “È finita l’omertà, il muro è crollato e la gente non ha più paura della Procura. Proprio in questi giorni sono venuti a raccontarmi fatti nuovi sul pool di Milano, roba da far accapponare la pelle. Fatti sicuri, accertati, gravissimi, che potrebbero essere denunciati alla magistratura”. Di che cosa sta parlando? “Quando – insiste – si squarcia il sipario, molti episodi possono venire fuori. Io non posso mettermi a fare il delatore, ma molte cose sono state portate a mia conoscenza da chi prima era bloccato dal timore anche cose che erano segrete. Io con queste cose non ci farò niente per il rispetto di quelli che si sono confidati con me. Ma qualcuno sta pensando di raccontare tutto“. Sembra la versione raccontata ai giornali oggi sull’audio di Franco, non diffuso per sette lunghi anni per il rispetto dovuto da Berlusconi al giudice. Almeno finché quest’ultimo era in vita. A cosa si riferisse all’epoca Berlusconi, invece, non è mai stato chiarito.
Strazzeri e Corticchia: calunnie sul pool – Certo è che sette mesi dopo, quando il processo sulle tangenti alla Finanza entra nel vivo, alla procura di Brescia, competente per i reati commessi dai magistrati di Milano, si presentano nel giro di poche settimane – tra settembre e ottobre del 1996 – due ex carabinieri (uno è un baby pensionato, l’altro si è congedato a 27 anni) che hanno lavorato al palazzo di Giustizia di via Freguglia: si chiamano Giovanni Strazzeri e Felice Maria Corticchia. Quello che raccontano, tra fatti che sostengono di aver saputo de relato e presunte testimonianze dirette è semplice: a partire dal 1994 i magistrati del pool di Milano volevano a tutti i costi eliminare (per via giudiziaria ovviamente) Berlusconi. Addirittura persino Antonio Di Pietro lo avrebbe confidato a uno dei due: “Vedi, Strazzeri, dobbiamo impegnarci di più nel lavoro: abbiamo fatto fuori Dc e Psi, adesso dobbiamo far fuori Berlusconi. In questo modo io potrò andare al Governo perché rappresento l’area moderata”. Strazzeri sostiene addirittura di aver saputo da una giornalista di giudiziaria, Renata Fontanelli (che all’epoca lavorava al Manifesto), di una presunta avance sessuale ricevuta dallo stesso Di Pietro. Sempre Strazzeri, davanti ai pm di Brescia, sgancia una vera e propria bomba: “Nel novembre 1994 Di Pietro mi chiese di procurargli un pass per Palazzo Chigi dove avrei dovuto scrivere avvocato Massimo Maria Berruti per il presidente Berlusconi“. Il pass per Palazzo Chigi di Berruti, storico avvocato dell’ex premier e poi deputato azzurro, è la “prova regina” del processo sulle tangenti della Guardia di Finanza: per l’accusa dimostra che Berruti incontrò Berlusconi prima di inquinare le prove mettendo la museruola ad alcuni ufficiali delle Fiamme Gialle coinvolti nell’inchiesta. Fino a quel momento nessuno ne aveva mai messo in dubbio l’evidente autenticità.
“Ho notizie gravi sulle procure” – Il 23 novembre Berlusconi dichiara alle agenzie: “Sono venuto a conoscenza di notizie agghiaccianti riguardanti il prima e il dopo della decisione della Lega (il cosiddetto ribaltone che aveva fatto cadere il suo primo governo ndr). C’è un mosaico con reati penali“. Nessuno conosce ancora il contenuto delle “rivelazioni” dei due ex carabinieri. Il 15 novembre l’ex premier sibila: “Sarà una verità traumatica per tutti gli italiani, anche per la democrazia”. E il giorno dopo ancora torna di nuovo sull’argomento: “Mi riferisco ad altre situazioni. Non devo essere io a intervenire, probabilmente altri ne parleranno. Ma se i magistrati mi ascolteranno, io sarò ben disponibile a parlarne in quella sede”. Finalmente il 29 novembre il leader di Forza Italia annuncia l’intenzione di andare a Brescia pure lui il 12 dicembre: “Ho notizie gravi che getteranno una luce chiara sugli intendimenti e i comportamenti di certe Procure”. Nel frattempo, però, il racconto dei due ex militari – fino a quel momento top secret – aveva cominciato a insospettire gli inquirenti. Prima la procura di Brescia interroga gli altri carabinieri citati da Corticchia e Strazzeri che negano – ovviamente – ogni parola. Poi la giornalista Fontanelli smentisce categoricamente le avance sessuali di Di Pietro. Ma è soprattutto la procura di Milano che scopre il sabotaggio: davanti ai pm del capoluogo lombardo la cronista aggiunge due fatti. Il primo è una proposta ricevuta dallo stesso Corticchia, che a un certo punto le chiede: “Vai a Brescia a dire che Di Pietro ti molestava promettendoti in cambio delle notizie“. In cambio l’ex carabiniere le aveva promesso “facilitazioni professionali e che sarebbe stata assunta dal gruppo Fininvest“. Per conto di chi agiva Corticchia? I carabinieri del Ros guidati dal maggiore Roberto Zuliani ricostruiscono i rapporti tra l’ex militare ed Emilio Fede: i due si conosco da anni ma in quei mesi si sentono più volte al telefono. Ma non solo. Gli investigatori scoprono pure che dopo il congedo l’ex sottoufficiale è diventato benestante: ha comprato una villa a Santo Domingo per 95mila dollari, ha affittato per due milioni di lire al mese un appartamento nel centro di Milano, ha versato in banca più di 250 milioni in contanti. Chi glieli ha dati? E’ il secondo episodio raccontato dalla giornalista Fontanelli: “Nella primavera del 1996 – racconta lei il 10 dicembre – Corticchia si era vantato di essere diventato ricco perché lavorava per il gruppo Berlusconi, che gli aveva offerto la possibilità di pubblicare due libri, gli aveva dato due consulenze e l’aveva aiutato a diventare sceneggiatore”. I libri scritti dall’ex carabiniere, però, non sono esattamente best seller: anzi sono stati pubblicati da piccole case editrici a sue spese. Chi gli ha dato tutti quei soldi dunque? E in cambio di cosa?
Patteggiamenti e prescrizioni – Di sicuro c’è che due giorni dopo l’interrogatorio della giornalista Fontanelli Berlusconi annulla la sua visita in procura a Brescia. Ci andrà solo una settimana dopo e mai citerà le dichiarazioni di Strazzeri e Corticchia. I due ex militari, invece, verranno arrestati il 31 gennaio del 1997: l’inchiesta viene presto dimenticata dai giornali e lasciata a languire nel palazzo di giustizia di Brescia. Poi due anni dopo, il 22 settembre del 1999, comincia il processo: le parti civili – cioè i pm del pool di Milano – citano pure Berlusconi come testimone. Sotto interrogatorio l’ex premier avrebbe avuto l’obbligo di dire la verità. Il difensore di Corticchia, l’avvocato Michele Saponara, deputato di Forza Italia e in seguito sottosegretario all’Interno e membro del Csm, tira fuori dal cilindro una mossa a sopresa: chiede e ottiene il patteggiamento. Il suo cliente si accorda con 1 anno e 9 mesi, a Strazzeri vanno 1 anno e 8 mesi. Pene tutto sommato miti per calunnia. E che soprattutto evitano qualsiasi processo pubblico, con annesso il rischio per il leader di Forza Italia di dover andare a deporre. Ma che lasciano insolute due domande: chi manovrava Corticchia e Strazzeri? Chi li inviò a calunniare i magistrati di Milano, cercando di distruggere – tra le altre cose – il processo sulle tangenti alla Guardia di Finanza? È mai possibile che i due abbiano agito da soli? Non si sa e non si saprà mai. Quello che si sa è che nel 2001 Corticchia è stato assunto come consulente per la sicurezza della Fiera di Milano, entre in quel momento guidato dal centrodestra. Lo stipendio? Settanta milioni di lire all’anno. Non male per un ex carabiniere condannato per calunnia. Nel processo per le tangenti alla Guardia di Finanza, invece, Berlusconi sarà condannato in primo grado, prescritto in secondo e assolto in Cassazione. Uno dei testimoni che avrebbe potuto fornire delle prove a suo carico era David Mills. Che poi scriverà al suo commercialista: “La mia testimonianza aveva tenuto Mr B. fuori da un mare di guai in cui l’avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo”. Quella letterà finirà agli atti del processo di Mills, condannato in primo e secondo grado, e poi prescritto in Cassazione dall’accusa di essere stato corrotto con 600mila dollari dallo stesso Berlusconi (che per quei fatti incasserà la prescrizione già in primo grado). Chissà: magari pure questa vicenda potrebbe diventare oggetto d’indagine della commissione d’inchiesta chiesta dalla Gelmini. Quella “sull’uso politico della giustizia“. O forse no.