Ora vediamo i grandi difensori della libertà di pensiero e di parola
“VERDELLI È STATO CACCIATO IN MANIERA BRUTALE” – SCALFARI NON HA PRESO BENE LA NOMINA DI MOLINARI: “CARLO ERA IL MIO ALTER EGO, MI PIACEVA MOLTO E NON MERITAVA QUESTO TRATTAMENTO. È VERGOGNOSO” – “MOLINARI NON MI HA CHIAMATO, E NON L’HA FATTO NEANCHE ELKANN. ASPETTO, POI TRA UN PO’ MANDO IL MIO TESTO A MOLINARI. NON LASCIO REPUBBLICA E VOGLIO PORRE ALCUNE CONDIZIONI…”
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Carlo Tecce per “il Fatto Quotidiano”
Va così dal 14 gennaio 1976: "Io non lascio Repubblica. E domenica scrivo il mio pezzo, come sempre. Voglio tributare il mio saluto a Carlo Verdelli, il direttore liquidato, fatto fuori, cacciato in maniera brutale, e voglio porre alcune condizioni ambientali per il futuro, non per me, ma per il nostro giornale", dice il fondatore Eugenio Scalfari con un sottofondo di musica da camera. "Verdelli era il mio alter ego, mi piaceva molto.
JOHN ELKANN MAURIZIO MOLINARIEZIO MAURO, EUGENIO SCALFARI, PAOLO GARIMBERTI, MARCO ANSALDO ALBERTO FLORES DARCAIS, REGINALD BARTHOLOMEW
Ha colto subito lo spirito di Repubblica. Io gli ho offerto alcuni consigli, lui mi ascoltava e lavorava. Non meritava questo trattamento, è vergognoso. Maurizio Molinari non mi ha chiamato, certo non può convocarmi in ufficio perché siamo reclusi per la pandemia, però non mi ha telefonato e non l' ha fatto neanche l' editore John Elkann. Aspetto, poi tra un po' mando il mio testo a Molinari. Devo riflettere ancora, sto rileggendo il Candido di Voltaire. La prima domanda era sulla mia salute. Io sto bene come può augurarsi di stare bene un uomo che ha appena compiuto 96 anni. Ormai ho trascorso altre due settimane, quindi mi avvicino a un mese dei 97".
Ogni volta che accade qualcosa a Repubblica il pensiero corre a Scalfari, e di cose ne sono accadute in mezzo secolo, con un' inesorabile caduta dei simboli nell' ultimo tratto.
L' epilogo è l' addio della famiglia De Benedetti, l' ingresso degli Agnelli che di cognome fanno Elkann, la direzione assegnata a Maurizio Molinari con il licenziamento improvviso di Verdelli.
Le redazioni di Repubblica, e per esteso dell' ex gruppo Espresso riconiato in Gedi, temono una svolta a destra, politica, concettuale, identitaria, comunque la fine di un modo di sentirsi sinistra e protagonista di un territorio culturale. "La qualità del lavoro nasce dalla fusione fra conoscenza, professionalità e passione", ieri l' azienda ha inviato ai dipendenti un comunicato abbastanza asettico con una doppia firma, da un lato l' amministratore delegato Maurizio Scanavino e dall' altro Maurizio Molinari con la qualifica di direttore editoriale. Scanavino e Molinari hanno enunciato un programma pregno di "innovazione", "piattaforma", "digitale", "transizione", un appello alla "schiettezza" tra colleghi e assai povero di valori. Anzi, di sentimenti.
I sentimenti, con il loro armamentario di nostalgia, hanno contributo a uccidere i giornali di carta dopo che li hanno in parte generati, però nei dintorni di Repubblica si crede che senza i sentimenti - e senza la pretesa di interpretarli - quel tipo di giornalismo non possa esistere. Elkann applica una logica industriale e lo fa in modo totalizzante. Ha negoziato con la storia di Repubblica come la Fiat negoziò con i sindacati di Pomigliano: c' è un' unica linea, la sua. Il sommovimento che ha interessato Repubblica, La Stampa, l' Huffington post e le radio l' ha deciso in gennaio, tre mesi fa, già era organizzato in dicembre nei giorni dell' acquisto di Gedi per cento milioni di euro, un' operazione pianificata da quattro anni, altro che trattative istantanee.
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