martedì 2 febbraio 2021

                                                                         VIRUS 2020


CRONACA

I morti Covid in Italia e i paragoni con altri Paesi: dalla letalità all’eccesso di mortalità, quali dati guardare e cosa sappiamo finora

I morti Covid in Italia e i paragoni con altri Paesi: dalla letalità all’eccesso di mortalità, quali dati guardare e cosa sappiamo finora

Qual è la verità sul numero dei decessi nel nostro Paese? Per capirlo bisogna innanzitutto distinguere tra tasso di mortalità e tasso di letalità. Bisogna anche tenere presente che il numero di morti non è di per sé un valore molto attendibile, mentre lo è di più l'eccesso di mortalità. Finora sappiamo che l'Italia ha pagato la prima ondata, ma da settembre in poi il tasso di letalità è identico a quello tedesco. Inoltre, pure il nostro eccesso di mortalità nel 2020 è in linea con quelli registrati da altri Paesi europei

“Siamo il Paese al mondo con il più alto numero di morti Covid in rapporto alla popolazione”. “I dati purtroppo dicono che siamo i primi per morti”. La prima frase è di Matteo Renzi, la seconda di Matteo Salvini: martedì nell’Aula del Senato entrambi hanno citato il numero dei decessi per attaccare il governo sulla gestione della pandemia. Ma qual è la verità sul numero dei morti Covid nel nostro Paese? Per capirlo bisogna innanzitutto distinguere tra tasso di mortalità (rapporto tra decessi e abitanti) e tasso di letalità (rapporto tra decessi e malati). Bisogna anche tenere presente che il numero di morti e la mortalità non sono valori molto attendibili, mentre lo è di più l’eccesso di mortalità, ovvero la differenza tra i decessi registrati nel 2020 e la media degli anni precedenti. Quel che sappiamo finora è che l’Italia ha pagato – soprattutto in termini di morti – il fatto di essere il primo Paese occidentale colpito dalla pandemia. Ma sappiamo anche, come ha spiegato il professor Massimo Galli, che da settembre in poi il tasso di letalità italiano è identico a quello di uno degli Stati più virtuosi, la Germania. Inoltre, pure il nostro eccesso di mortalità nel 2020 (gli ultimi dati consolidati disponibili arrivano a fine ottobre) è in linea con quelli registrati da altri Paesi europei, come SpagnaFrancia e Regno Unito.

Morti e mortalità: perché non sono attendibili – Un primo dato certo è che i due Matteo dicono il falso: il Regno Unito ha avuto più decessi dell’Italia in rapporto alla popolazione, così come BelgioSlovenia e Repubblica Ceca (senza considerare San Marino, troppo piccolo). Un’altra certezza è che parlare di numero di morti assoluto o in rapporto alla popolazione (il cosiddetto tasso di mortalità), è quanto meno superficiale, se non semplicemente sbagliato. Infatti, questi numeri non tengono conto di una serie infinita di fattori. Dai più intuitivi, come l’età della popolazione e le abitudini sociali, fino ai più complessi, come il modo in cui i decessi vengono conteggiati. Alcuni esempi? Nel computo francese non entrano i decessi avvenuti in casa. In Russia a fine dicembre il conteggio è stato aggiornato in base ai criteri Oms: da 55mila morti ufficiali si è passati a 186mila. In Spagna l’istituto di statistica ha calcolato 29mila morti in più rispetto a quelli comunicati dal ministero della Sanità, che però non ha mai aggiornato i suoi dati. Inoltre, un altro difetto del tasso di mortalità è quello di non considerare quanto un Paese è stato colpito dalla pandemia, quanti contagi ha avuto.

Il tasso di letalità e la seconda ondata – Per questo il tasso di mortalità non va confuso con il tasso di letalità, ovvero il rapporto tra il numero di morti e il totale dei positivi diagnosticati. Come ha spiegato il professore Massimo Galli, il tasso di letalità è il parametro più corretto per calcolare la “capacità di cura” di un Paese. Misura infatti quanto decessi ci sono stati rispetto al numero di persone che hanno contratto il Covid. “Se prendiamo i dati nel periodo tra settembre e gennaio in Italia abbiamo il 2% circa della letalità tra i casi confermati, esattamente in linea con i dati della Germania“, ha sottolineato sempre Galli nei giorni scorsi. La spiegazione del professore è stata citata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte durante la sua replica a Palazzo Madama. Il tasso di letalità in Italia da inizio pandemia è del 3,5%, quello della Germania è del 2,4%. Perché allora Galli cita i dati da settembre ad oggi? Non è per far “allineare” i due valori, ma perché la fine dell’estate è il periodo in cui l’Italia e gli altri Paesi europei hanno aumentato notevolmente la loro capacità di effettuare tamponi. Di conseguenza, durante la seconda ondata il numero di positivi diagnosticati (la base su cui si calcola il tasso di letalità) è diventata più aderente al numero di contagiati reali. Durante la prima ondata, invece, in Italia molto più che in Germania si riuscivano a rintracciare solamente i casi più gravi. Questa circostanza ha “drogato” nei primi mesi il tasso di letalità del nostro Paese, rendendolo poco significativo.

Le curve a confronto e il “prezzo” della prima ondata – Resta comunque un fatto: al 21 gennaio la Germania ha superato i 50mila decessi dall’inizio della pandemia di coronavirus, la Spagna è a 54mila, la Francia a 71mila. L’Italia invece è oltre quota 84mila e in Europa solo il Regno Unito supera i 94mila. Dimenticando per un attimo tutte le premesse fatte finora e concentrandosi solo sul numero di morti – come fanno Renzi e Salvini – emerge tuttavia un altro aspetto che spiega perché guardare al valore assoluto è ancora una volta fuorviante. Il grafico sottostante (elaborato da Our World in Data) mostra visivamente come il “gap” tra l’Italia e il Paese europeo più virtuoso, la Germania, si sia quasi esclusivamente originato durante la prima ondata. A marzo, mentre gli ospedali del nostro Paese erano già stati travolti dal virus, Berlino ancora non aveva sperimentato il picco dei contagi e aveva già messo in sicurezza le sue cliniche: il fattore tempo ha giocato un ruolo determinante. L’effetto è tutto mostrato nel grafico: al primo giugno l’Italia ha 25mila morti in più della Germania. Durante l’estate le due curve proseguono quasi piatte. Poi, in autunno e in inverno, sono sostanzialmente sovrapponibili. Da inizio settembre, infatti, entrambe tornano a risalire: qui torna utile proprio il tasso di letalità spiegato dal professor Galli. Dal primo settembre al 21 gennaio l’Italia registra 48,711 morti e 2.159.007 contagi, la Germania comunica 41.569 decessi a fronte di 1.861.460 positivi: la letalità è praticamente identica, 2,256% contro 2,233%.

La vera risposta: l’eccesso di mortalità – L’Italia paga tristemente in termine di morti il fatto di essere stato il primo Paese occidentale a essere colpito dal coronavirus. Come detto, però, il numero di decessi registrati non è un parametro affidabile. Una vera prima risposta su come e quanto i vari Paesi siano riusciti a limitare i decessi durante la pandemia può arrivare (in parte) dall’eccesso di mortalità, ovvero dalla differenza tra tutti i morti avuti da un Paese durante la pandemia e la media degli anni precedenti. “Bisogna seguire l’eccesso di mortalità. Questo parametro, che abbiamo calcolato insieme all’Istat, ci dice che siamo in linea con altri Paesi europei: l’Italia si assesta attorno al 40%, come il Belgio. La Spagna è al 60%, la Gran Bretagna al 55″, spiegava a inizio dicembre a ilfattoquotidiano.it Graziano Onder, responsabile del rapporto sulla mortalità da coronavirus dell’Istituto Superiore di Sanità. Il grafico elaborato da Our World in Data mostra come l’unico Paese a non avere picchi rilevanti nel 2020 sia appunto la Germania. La Spagna, invece, che come detto al 21 gennaio dichiara 54mila morti ma secondo l’ufficio di statistica ne ha almeno 29mila in più, ad aprile ha avuto un picco di +156% decessi rispetto alla media dal 2015 al 2019. L’Inghilterra ha avuto un picco di +113%. L’Italia invece ha toccato al massimo un +84% durante la prima ondata, per poi avere valori in linea con gli altri Paesi, come spiegava Onder. L’eccesso di mortalità stava risalendo a fine ottobre (+30%), come nel resto d’Europa. A fine anno, in attesa degli ultimi dati dell’Istat, si nota la risalita della curva inglese e di quella tedesca.

Fonte dati citati: Max Roser, Hannah Ritchie, Esteban Ortiz-Ospina e Joe Hasell (2020) – “Coronavirus Pandemic (COVID-19)”. Pubblicato online su OurWorldInData.org

                                                                           MAFIE



Il giudice Rosario Livatino 

Agrigento, il mandante del delitto Livatino in semilibertà aveva riorganizzato la “Stidda”. Un’avvocata portava messaggi dal 41 bis, 22 arresti

Blitz del Ros, scoperta una rete di comunicazione segreta con il superlatitante Messina Denaro. L’intercettazione: “La presenza è potenza”. Falle nel carcere duro. Affari con i padrini americani del clan Gambino

 4 MINUTI DI LETTURA

Nel cuore della Sicilia, le mafie si riorganizzano. Con i boss scarcerati e gli insospettabili. Uno dei mandanti del delitto del giudice Rosario LivatinoAntonio Gallea, aveva rilanciato la “Stidda”, l’altra mafia, da quando era in semilibertà. I suoi fedelissimi stavano pianficando nuovi affari e anche due omicidi. “Cosa nostra” poteva contare invece su un’avvocatessa di Canicattì, Angela Porcello: nel suo studio di via Rosario Livatino organizzava summit di mafia e intanto continuava a fare uscire dal carcere i messaggi dei padrini rinchiusi al 41 bis. Il boss scarcerato e l’avvocatessa diventata boss, i due volti dei clan che non sembrano per nulla fiaccati da blitz e processi: sono stati arrestati questa notte dai carabinieri del Ros insieme ad altre venti persone. Destinatario del provvedimento di fermo è anche Matteo Messina Denaro, ma il boss trapanese un tempo pupillo di Totò Riina resta latitante, ormai dal 1993. Però, questa volta, sappiamo molto di più di tutto ciò che gli ruota attorno.

L’ultima indagine coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Paolo Guido è il racconto in diretta della mafia siciliana. “La presenza è potenza”, si vantavano i padrini agrigentini che gli investigatori hanno intercettato per due anni. “Avevano un’attuale e segretissima rete di comunicazione con il latitante Messina Denaro – scrivono i pm Claudio CamilleriGianluca De Leo Geri Ferrara – e lo riconoscevano unanimemente come l’unico a cui spetta l’ultimo parola” nelle decisioni importanti. Ad esempio, la nomina di un capomandamento. O un affare che gli emissari del clan newyorkese dei Gambino arrivati a Favara proponevano ai siciliani. "Messina Denaro è a tutt'oggi in grado di assumere decisioni delicatissime per gli equilibri di potere di Cosa nostra - è l'analisi di chi indaga - nonostante la sua eccezionale capacità di ecclissamento ed invisibilità che lo rendono ancora imprendibile".

L'avvocata Angela Porcello 
In carcere sono finiti sei capi di Cosa nostra agrigentina, che avevano rapporti con mafiosi di tutta la Sicilia: i pm sottolineano "l'unicità di Cosa nostra". In manette anche tre capi della rinata Stidda” e altri nove mafiosi. Arrestati un ispettore della polizia penitenziaria e un assistente capo della polizia di Stato, entrambi in servizio ad Agrigento, sono accusati di essere stati a disposizione dell’avvocata dei clan.

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Il ritorno degli ergastolani

Antonio Gallea, il mandante dell’omicidio del giudice Livatino, aveva lasciato il carcere il 21 gennaio 2015, dopo aver scontato 25 anni. Era ritenuto un detenuto modello. Ora, i pm di Palermo scrivono nel fermo che lo riporta in carcere: “Il provvedimento che ammetteva al beneficio della semilibertà, emesso dal tribunale di sorveglianza di Napoli, si basava tra l’altro anche sulla declaratoria di “impossibilità” della sua collaborazione con la giustizia”. Ovvero, la dichiarazione che tutti i reati da lui commessi erano stati accertati e dunque sarebbe stata impossibile una sua collaborazione.

In realtà, Gallea conservava ancora tanti segreti, che sono diventati la sua forza nel momento in cui è tornato in libertà. Segreti su vecchi complici, affari e patrimoni mai scoperti. Il 6 ottobre 2017, anche un altro esponente della “Stidda”, Santo Rinallo, pure lui condannato all’ergastolo, era stato ammesso alla semilibertà dopo 26 anni dal tribunale di sorveglianza di Sassari, con l’autorizzazione a svolgere attività lavorativa all’esterno del carcere. E pure lui era tornato a delinquere.

“Entrambi hanno sfruttato la disciplina premiale prevista anche per i detenuti ergastolani – scrivono i magistrati nel loro provvedimento di fermo - per ritornare ad agire sul territorio con i metodi già collaudati in passato e così rivitalizzare una frangia criminale-mafiosa, quella della Stidda, condannata da tempo all’estinzione, e proiettarla con spregiudicatezza e violenza nel territorio agrigentino”.

A differenza del passato, Cosa nostra e Stidda avevano stilato un “accordo di pace”, tuttavia, osservano gli inquirenti, “continuavano a guardarsi con diffidenza”. In gioco c’erano soprattutto tanti affari, legati alle mediazioni nel mercato ortofrutticolo della provincia di Agrigento.

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Avvocatessa e boss

Angela Porcello, 50 anni, avvocato dal 1996, è finita in carcere con l’accusa di associazione mafiosa. Scrive la procura: “Aveva deciso di dismettere la toga e indossare i panni della sodale mafiosa, assurgendo pian piano addirittura al ruolo di vera e propria organizzatrice del mandamento mafioso di Canicattì”. Angela Porcello era la legale dello storico boss Giuseppe Falsone, il capo della provincia mafiosa di Agrigento arrestato nel 2010 a Marsiglia. Era lei a far uscire dal carcere i messaggi del padrino. E anche altri boss l’avevano nominata. Così, l’avvocata di Canicattì era diventata una perfetta messaggera.

Ricostruiscono i magistrati: “Il suo studio legale era stato selezionato ed individuato quale base logistica da un gruppo di capi famiglia”. I boss erano sicuri di non essere intercettati lì dentro. E, così, organizzavano dei veri e propri summit, alla presenza dell’avvocata Porcello. C’erano l’anziano capo del mandamento di Canicattì, che lasciava tranquillamente gli arresti domiciliari, e poi i capi delle famiglie di Ravanusa, Favara, Licata. Agli incontri partecipavano pure un mafioso di Villabate (Palermo) un tempo fedelissimo di Bernardo Provenzano, Simone Castello, e un esponente della rinata “Stidda”.

Centinaia di ore di intercettazioni, un “materiale probatorio di eccezionale rilevanza –  lo definiscono i pubblici ministeri nel loro provvedimento – un materiale che ha consentito di cogliere in diretta origine ed evoluzione delle dinamiche interne a Cosa nostra dalla viva voce degli appartenenti all’organizzazione dell’intera Sicilia”.

Falle nel carcere duro

“Nel corso della presente indagine – è un altro capitolo dell’atto d’accusa della procura di Palermo - sono stati registrati, in diverse occasioni e su più livelli, preoccupanti spazi di gravissima interazione fra detenuti, fra detenuti e l’esterno nonché fra detenuti e appartenenti alla polizia penitenziaria; interazione che l’attuale sistema penitenziario non è riuscito, in tali momenti, a evitare”.

Nella casa circondariale di Novara, tre autorevoli boss – di Agrigento, Trapani e Gela – “riuscivano ad entrare in contatto, a dialogare tra loro, in alcune occasioni financo a scambiarsi informazioni finalizzate ad assicurarsi un canale di comunicazione con l’esterno”. Eppure non facevano l’ora d’aria insieme. “Hanno sfruttato – accusa i pm - le inefficienze dei controlli da parte del personale della polizia penitenziaria”. Per chi indaga, “una gravissima vicenda”; fino ad oggi quei mafiosi si sono scambiati solo “informazioni”, ma “quanto è accaduto potrebbe ripetersi – rilevano i magistrati – con progetti e strategie di altra natura, magari addirittura tali da mettere in pericolo, come purtroppo la storia insegna, anche la sicurezza dello Stato”.

Una “vicenda gravissima”, con un paradosso, anche questo diventa una pesante accusa mossa dai pm di Palermo: “L’essere sottoposti al regime del 41 bis piuttosto che costituire per i mafiosi un argine comunicativo insuperabile è stata addirittura un’occasione di incontro e di scambi di informazioni, altrimenti rischiosissimo se non addirittura inimmaginabile laddove gli stessi capimafia fossero stati liberi”.