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Non solo ha più volte incontrato Silvio Berlusconi, “ma la mia famiglia con lui era in società”. È un fiume in piena il boss Giuseppe Graviano, l’uomo della stagione delle stragi, che per vent’anni si è trincerato dietro il più assoluto silenzio, incassando condanne su condanne. Ascoltato al processo “’Ndrangheta stragista” a Reggio Calabria, “Madre natura” ha aperto la diga e in aula ha parlato in dettaglio dei rapporti che storicamente legano la sua famiglia a Silvio Berlusconi, conosciuto e frequentato dai Graviano ancor prima della sua discesa in campo con Forza Italia.

“Mio nonno materno, Quartanaro Filippo, era una persona abbastanza ricca. Era un grande commerciante di ortofrutta. Venne invitato a investire soldi al nord, perché era in contatto con Silvio Berlusconi”. Una valanga di miliardi da investire nell’immobiliare, con quota di partenza di 20 miliardi raccolta fra diverse famiglie. Un affare in cui anche Giuseppe Graviano entra dopo l’omicidio del padre, che all’avventura milanese – a suo dire – era sempre stato contrario.

“Mio nonno mi disse che era in società con queste persone, mi propose di partecipare pur specificando che mio padre non voleva. Io e mio cugino Salvo abbiamo chiesto un consiglio a Giuseppe e Michele Greco, che mi dissero che qualcuno doveva portare avanti questa situazione e abbiamo deciso di sì. E siamo partiti per Milano. Siamo andati dal signor Berlusconi, mio nonno era seguito da un avvocato di Palermo che era il signor Canzonieri”. Un affare “ufficiale, era tutto legittimo perché - sostiene Graviano, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo - mio nonno sosteneva che dovessimo essere scritti”. Almeno loro. Perché dietro c’erano altre famiglie palermitane a titolo di finanziatori.

“Il primo incontro avvenne nell’hotel Quark, nell’83. C’erano Berlusconi, mio nonno e mio cugino Salvatore. Noi affiancavamo mio nonno perché era anziano e dovevamo essere pronti a prendere il suo posto. Siamo andati con questa situazione, di tanto arrivavano un po’ di soldi e mio cugino non li divideva, ma li reinvestiva”. Qualcuno dei vecchi finanziatori nel tempo si è sfilato, ma l’affare – sostiene Graviano – sarebbe andato avanti spedito fino al ‘93

“A dicembre di quell’anno, c’è una nuova riunione a Milano. Io ero latitante dall’84. Mio cugino mi invita a partecipare. Si era arrivati alla conclusione che si dovesse regolarizzare la situazione e far emergere il nome dei finanziatori. Ci siamo incontrati con Berlusconi, con lui c’erano altre persone che non mi sono state presentate. Berlusconi sapeva che ero latitante”. E Graviano lo era da tempo, quasi dieci anni, sebbene – specifica – quel periodo passato a nascondersi non abbia mai implicato particolari privazioni. “Stavo ad Omegna, ma Milano mi serviva per gli incontri e la frequentavo, senza usare particolari precauzioni. Andavo a fare shopping in via Montenapoleone, andavo al cinema e a teatro”.

Ecco perché incontrare Berlusconi – sostiene il boss – non sarebbe stato un problema. “L’idea era di legalizzare la situazione per far emergere i finanziatori nella società immobiliare di Berlusconi in cui c’era mio nonno, che avevano appoggiato mio nonno, perché i loro nomi apparivano solo su una scrittura privata che ha in mano mio cugino”. Del resto, il volume d’affari era ormai imponente. Gli interessi nell’immobiliare riguardavano anche Milano 3, “lì Berlusconi aveva regalato a mio cugino un appartamento, abbiamo fatto anche una cena”.

E stando a quanto racconta il boss, è stato proprio durante uno di questi incontri che il padre padrone di Forza Italia avrebbe annunciato ai Graviano la propria intenzione di lanciarsi in politica. “Io sono a Omegna, lui lo dice a mio cugino Salvo, a cui chiede una mano in Sicilia”. Il boss non lo dice, ma Graviano lo fa capire che quell'aiuto c'è stato. Ma non riesce a non perdere la calma quando parla del "tradimento" di Berlusconi. "Berlusconi fu un traditore, perché quando si parlò della riforma del Codice penale e si parlava di abolizione dell'ergastolo mi hanno detto che lui chiese di non inserire gli imputati coinvolti nelle stragi mafiose".

Quasi le stesse parole che Graviano si era fatto scappare in carcere, parlando con Adinolfi. "Berlusconi prese le distanze e fece il traditore" aveva detto all'epoca. Ma oggi va oltre ""Un avvocato di Forza Italia mi disse che stavano cambiando il Codice penale - dice ancora Graviano - e che doveva darmi brutte notizie. Perché in Parlamento avevano avuto indicazioni da Berlusconi di non inserire quelli coinvolti nelle stragi. Lì ho avuto la conferma che era finito tutto. Mio io cugino Salvo era morto nel frattempo per un tumore al cervello. E nella riforma del Codice penale non saremmo stati inseriti tra i destinatari dell'abolizione dell'ergastolo". Ecco perchè  "questo mi portò a dire che Berlusconi era un traditore