26 APRILE 1986
CHERNOBYL TRA FICTION E REALTÀ: IL GIALLO DEI SUB SCOMPARSI NEL 1986. IN REALTÀ SONO VIVI. CHI HA MENTITO? E PERCHÉ? LA SERIE TV E UN LIBRO-INCHIESTA STANNO RICOSTRUENDO VERITÀ SCOMODE - I TRE SOMMOZZATORI CHE HANNO EVITATO NUOVE ESPLOSIONI NEL TRAGICO INCIDENTE NUCLEARE DEL 1986 ERANO STATI DATI PER MORTI - "LE SERIE TV, HANNO IL MERITO DI RIACCENDERE I RIFLETTORI SU EVENTI DIMENTICATI MA PER CONOSCERE I FATTI, BISOGNA LEGGERE, APPROFONDIRE" - VIDEO
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Micol Sarfatti per Sette – Corriere della Sera
C’è un fatto della storia mondiale recente entrato nell’immaginario di tutti, il più grande disastro nucleare mai accaduto. Il 26 aprile 1986, intorno all’una di notte, durante un test di sicurezza, l’ingegnere Aleksandr Akimov preme l’interruttore per l’arresto di emergenza del quarto reattore della centrale nucleare di Chernobyl, nell’allora Unione Sovietica, oggi Ucraina. Segue una fortissima esplosione, il reattore si scoperchia, le fiamme divampano. Una nube radioattiva si alza minacciosa, contamina tutta la zona, che deve essere evacuata.
Un vento gelido spinge le radiazioni nei cieli di mezza Europa. I morti accertati saranno 66, ma la stima, ad oggi, è ancora incerta. Oltre 4.000 persone, secondo un rapporto dell’Onu, si ammalano di cancro. Poi c’è un giovane scozzese curioso, all’epoca del dramma non era nato. Vorrebbe capire di più di quell’incidente. Le cause che hanno portato all’esplosione. Cosa è successo davvero? Come funziona l’energia nucleare? Cosa hanno provato le persone che erano lì?
Un nuovo racconto
Si informa, legge, ma tutti i racconti gli sembrano contraddittori: il governo dell’URSS ha taciuto molte cose. Prima si è parlato di errore umano, poi di inadeguatezza della struttura. Il ragazzo vorrebbe vedere con i suoi occhi «Quella città reale, ma disabitata, quel luogo familiare e allo stesso tempo abbandonato». Nel 2011, appena 24enne, scova in rete un tour guidato a Pripyat, la città più vicina alla centrale. Per parteciparvi vende la sua chitarra elettrica. Prende un treno notturno da Aberdeen a Londra, poi un aereo per Borispol, vicino Kiev. E ancora treni e pullman che tagliano lo spettrale paesaggio sovietico.
Il viaggio è l’inizio di una inchiesta che gli cambierà la vita. Questo incrocio potrebbe essere la trama di una serie tv (paragone non casuale), invece è realtà. Andrew Leatherbarrow, professione grafico, oggi 32enne, è autore di Chernobyl 01:23:40 (Salani), un reportage dettagliato su quello che accadde nella centrale nucleare e su come è oggi il paese cristallizzato.
Un resoconto accessibile e completo, che ha richiesto cinque anni di lavoro e illumina nuovi angoli di quella notte terribile. Il volume è diventato un punto di riferimento per la sceneggiatura della serie tv Chernobyl creata da Craig Mazin e trasmessa da Hbo/Sky Atlantic, un successo internazionale di pubblico e di critica. Leatherbarrow racconta la genesi del saggio dall’ ufficio di Londra. Lavora ancora come graphic designer per una casa editrice, ma la scrittura occupa gran parte del suo tempo libero.
Perché ha deciso di studiare e scrivere su Chernobyl?
«Sin da bambino avevo una fascinazione per quella città abbandonata. L’immagine della ciminiera fumante era scolpita nella mia mente. Poi, nel 2011 sono rimasto scioccato, come tutti, dall’esplosione della centrale nucleare di Fukushima, in Giappone. Leggevo i giornali, i siti, seguivo i notiziari in tv, avevo la sensazione che non ci fosse davvero chiarezza su quello che stava succedendo: le riflessioni degli esperti si accavallavano, erano in contraddizione. Gli ambientalisti imponevano una versione, i sostenitori dell’energia nucleare un’altra. Allora mi sono rimesso a studiare i fatti di Chernobyl. Ancora non trovavo risposte soddisfacenti, soprattutto sul funzionamento dell’energia nucleare. C’erano tante versioni divergenti.
Pochi mesi dopo l’incidente in Giappone sono partito per un tour nella zona di esclusione di Pripyat, l’area contaminata in cui, dal 1986, è vietato vivere e praticare attività civili e commerciali. Quel viaggio ha avuto un forte impatto su di me e ho continuato a studiare l’incidente. Ho raccolto così tanto materiale che, a un certo punto, mi sono convito di doverne parlare io stesso».
Come ha organizzato le ricerche?
«Sono onesto, il mio lavoro, all’inizio, è stato molto disordinato. Come detto non pensavo di ritrovarmi a scrivere di Chernobyl. Durante il viaggio a Pripyat ho fatto molte fotografie ( oggi pubblicate nel volume, ndr) e preso pochi appunti. Quando ho deciso di pubblicare il mio libro li ho integrati con tutto il materiale possibile e immaginabile e confrontati con fonti attendibili e verificate. Sono stato aiutato da ingegneri nucleari, storici, professori universitari».
La sua inchiesta ha svelato dettagli dell’incidente fino ad oggi mai raccontati. In particolare, lei dà una nuova versione della vicenda dei cosiddetti “sommozzatori di Chernobyl”.
«Sì,una delle piùgrandi leggende legate al disastro. Il 6 maggio 1986 Alexei Ananenko, Valeriy Bezpalov e Boris Baranov si immersero nelle vasche di sicurezza, ormai colme di acqua radioattiva, e aprirono le valvole che favorirono il deflusso di liquidi contaminati, riuscendo così a impedire un’altra esplosione. In ogni articolo, libro o documentario si dice che i tre volontari morirono poco dopo aver compiuto il nobile gesto. Io non ne ho mai trovato conferma in nessuno dei testi analizzati.
Per questo ho continuato a cercare. Mi sono imbattuto in un annuncio di morte per infarto di Boris Baranov datato 2005, poi ho scoperto che gli altri due erano ancora vivi. Nel marzo 2016 sono riuscito a contattare Alexei Ananenko. Non era molto turbato dall’essere ritenuto morto ormai da trent’anni. Ho deciso di raccontare la loro vera storia: era troppo importante. Dopo l’uscita delle serie tv Ananenko ha rilasciato qualche intervista. Dice di non essere un eroe. Nel 2018 tutti e tre hanno ricevuto una medaglia al valore per il loro coraggio».
Il suo libro è stato uno dei riferimenti per la sceneggiatura della fiction Hbo Chernobyl . L’autore Craig Mazin lo ha definito “imprescindibile: una favolosa combinazione tra cronaca di viaggio, racconto storico e documento scientifico”. È vero che, inizialmente, non era riuscito a pubblicarlo nemmeno con il crowdfunding?
«Confermo. Nel 2015 avevo avviato una campagna sulla piattaforma Kickstarter, ma il tentativo è fallito e ho abbandonato il progetto. Poi ho caricato una gallery delle foto di Pripyat con didascalie sul sito Reddit e l’accoglienza è stata sorprendente. Ho deciso di autopubblicare una prima versione del libro tramite un sito e in 48 ore ho venduto più di 700 copie. Ho capito che il tema interessava e mi sono rimesso a lavorare, un anno dopo, nel 2016, ho autopubblicato la stesura definitiva. Una giovane editor e vari esperti mi hanno offerto consulenze gratuite».
L’altro libro che ha ispirato la serie tv è Preghiera per Chernobyl , della scrittrice bielorussa Nobel Svetlana Aleksievic. Lo ha letto?
«Certo, è un testo meraviglioso, fondamentale per chiunque sia interessato a questa vicenda. È stato una fonte di ispirazione per me: racconta l’incidente attraverso le storie delle persone comuni, dimenticate in altre ricostruzioni».
Oggi si torna a parlare di tanti episodi storici o di attualità grazie alle serie tv. Pensa sia una narrativa che, in un certo senso, sta sostituendo la saggistica o il giornalismo?
«No. I film, e oggi ancor di più le serie tv, hanno il merito di riaccendere i riflettori su eventi dimenticati o ancora da indagare, ma non potranno mai e poi mai sovrapporsi all’approfondimento scritto. Le fiction danno spunti, ma per conoscere davvero la Storia, i fatti, bisogna leggere, approfondire».
Dopo l’inchiesta la sua opinione su Chernobyl è cambiata?
«Non ne ho mai avuta una. Ho affrontato lo studio senza alcun pregiudizio. Volevo solo saperne di più. Mi sono però fatto un’idea precisa sull’energia nucleare».
Ovvero?
«C’è molta poca conoscenza sul tema. Forse manca un’informazione accurata e poco sensazionalistica. Basta pronunciare la parola “radiazione” per innescare il terrore. Personalmente sono favorevole all’utilizzo del nucleare nelle nazioni sviluppate. A patto che vengano adottate misure rigorose per la salute, la sicurezza e l’ambiente».
Le piacerebbe scrivere un nuovo libro?
«Lo sto già facendo! Da qualche anno sto lavorando a un saggio sulla storia dell’industria nucleare in Giappone e sulla catastrofe di Fukushima, dovrei finirlo nel 2020. Anche questa volta vorrei riuscire a scrivere un testo dettagliato, ma chiaro e accessibile a tutti»·
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