“UN BESTIALE SCEMPIO, UNA VIOLENZA GRATUITA” – LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA CHE HA CONDANNATO INNOCENT OSEGHALE ALL’ERGASTOLO PER L’OMICIDIO DI PAMELA MASTROPIETRO: “DOPO AVERLA ACCOLTELLATA, PROVVEDEVA NON SOLTANTO ALLA DISSEZIONE DEL CORPO, MA ANCHE AL LAVAGGIO DI TUTTI I RESTI CON LA VARECHINA, COMPRESI I GENITALI E LE LABBRA” – L’EROINA, GLI ABUSI E I PRESUNTI LEGAMI CON LA MAFIA NIGERIANA
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Benedetta Lombo per “il Messaggero”
«Una violenza gratuita» su Pamela Mastropietro, dalle due coltellate mortali inferte quando la ragazza di 18 anni era ancora in vita fino all'estremo oltraggio compiuto con un «bestiale scempio» del cadavere. Dalle parole dei giudici della Corte d'Assise di Macerata emerge tutta la crudeltà usata da Innocent Oseghale per uccidere e poi fare a pezzi il corpo della giovane romana.
Nelle 54 pagine di motivazioni della sentenza di primo grado si ripercorrono tutti i passaggi che hanno portato all'emissione della condanna nei confronti del nigeriano all'ergastolo.
«Ritiene questa Corte sottolineare, con particolare enfasi, la condotta di Oseghale» che «dopo aver accoltellato la ragazza ancora in vita, provvedeva non soltanto al depezzamento e alla dissezione del corpo, ma attendeva all'accurato lavaggio di tutti i resti con la varechina, cospargendo con l'ipoclorito di sodio anche i genitali e le labbra di Pamela - sottolinea la Corte - attività funzionale ad un inquinamento della prova omicidiaria».
OPERA DI ANDREA VILLA - LA MADONNA CON BIMBO DEL BELLINI CON IL VOLTO DI PAMELA MASTROPIETRO E INNOCENT OSEGHALE
Per i giudici Oseghale «senza attendere che Pamela smaltisse completamente gli effetti dell'eroina», che si era iniettata dopo essere salita nell'appartamento del nigeriano in via Spalato 124 a Macerata, «abusava delle condizioni di inferiorità per avere un frettoloso rapporto non protetto cui la ragazza, presumibilmente abbozzando una reazione, non aveva acconsentito con quelle modalità». Sarebbe questo il movente: «per evitare che Pamela, una volta ripresasi completamente lo potesse denunciare, subito dopo il rapporto le infliggeva due coltellate».
La Corte, poi, in merito alla presunta presenza di una mafia nigeriana a Macerata, ha precisato che «nessun riscontro oggettivo emergeva dall'istruttoria dibattimentale in ordine alla affiliazione dell'imputato ad organizzazioni criminali». Una presenza, tra l'altro, non emersa neppure dalle corpose indagini condotte dai carabinieri.
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