‘Ndrangheta Emilia. Vendette e faide, il pentito sugli omicidi del 1992: “Si doveva togliere il male da Cutro e Reggio Emilia”
Il collaboratore di giustizia Antonio Valerio venerdì 26 aprile ha deposto per ore nell’aula della Corte d’Assise di Reggio Emilia. Con le sue dichiarazioni al processo Aemilia ha spinto la Direzione Antimafia a riaprire il fascicolo sulla stagione in cui la ‘ndrangheta “marchiò a fuoco, col sangue, la provincia, prima di far calare il silenzio”
“C’era bisogno di un’azione forte, dirompente, per togliere il male definitivamente da Cutro e da Reggio Emilia”. Parola del collaboratore di giustizia Antonio Valerio, che venerdì 26 aprile ha deposto per ore nell’aula della Corte d’Assise di Reggio Emilia. Il male era rappresentato dalle famiglie Vasapollo e Ruggiero che avevano osato sfidare i potenti boss crotonesi: Ciampà, Dragone, Arena e Grande Aracri, andando ad uccidere giù a Cutro il 13 agosto 1992 un protetto dei Ciampà: Paolino Lagrotteria. L’azione forte e dirompente fu il fuoco mortale di risposta che segnò Reggio Emilia nei mesi successivi di settembre e di ottobre: gli omicidi di Nicola Vasapollo a mezzogiorno del 21 settembre alla periferia della città e di Giuseppe Ruggiero, colpito a notte fonda il 22 ottobre nel comune di Brescello. Entrambi uccisi dietro le mura di casa e da commando a volto scoperto.
Valerio è il pentito che con le sue dichiarazioni al processo Aemilia ha spinto la Direzione Antimafia a riaprire il fascicolo sulla stagione in cui la ‘ndrangheta “marchiò a fuoco, col sangue, la provincia di Reggio Emilia, prima di far calare il silenzio”. Sei nuovi imputati per i due omicidi del ’92: due già condannati in abbreviato (lo stesso Valerio e Nicolino Sarcone), quattro alla sbarra nel processo di primo grado in Corte d’Assise. Il primo è il capo della omonima cosca Nicolino Grande Aracri detto Mano di gomma, che ascolta la deposizione di Valerio in videoconferenza dal carcere di Opera, a Milano, tradendo molto nervosismo ed entrando in continuazione nella cabina telefonica a sua disposizione dove si sbraccia e pare replicare concitato, presumibilmente con i propri avvocati, alle dichiarazioni di Valerio. Gli altri sono Angelo Grecodetto Linuzzo, nato a San Mauro Marchesato e recluso a Torino; Antonio Lerose detto Il bel René, nato a Cutro e residente a Bologna, Antonio Ciampà detto Coniglio, nato e ancora domiciliato a Cutro.
Di tutti loro Valerio nelle ultime due udienze racconta dettagli, movimenti, dichiarazioni, incastrandoli alle responsabilità, vuoi come mandanti, vuoi come esecutori, di quei due omicidi che rappresentarono la risposta “eclatante” delle famiglie alleate nei confronti dei traditori.
Paolino Lagrotteria era stato ucciso a Cutro nonostante fosse un protetto dei Ciampà. Era stato ucciso per vendetta perché 13 anni prima era scappato lasciando morire tra le fiamme, in un locale notturno a Reggio Emilia, l’amico Giuseppe Vasapollo col quale, per intimidire i proprietari, aveva appiccato il fuoco che li aveva poi avvolti durante la fuga.
Per vendetta le famiglie alleate che governavano Cutro uccideranno Vasapollo e Ruggiero nel 1992 a Reggio Emilia. Per vendetta Paolo Bellini, killer al soldo dei Vasapollo e responsabile della morte di Lagrotteria, il 7 novembre dello stesso anno ucciderà a Viadana Domenico Scida, considerato uomo dei Dragone, e il testimone scomodo Maurizio Puca. Per vendetta lo stesso Bellini getterà una bomba nel bar Pendolino alla periferia di Reggio Emilia il 22 dicembre del 1998 lasciando tredici feriti tra le macerie, e tenterà di uccidere Antonio Valerio sotto casa nel 1999. Lo centra con più proiettili ma nessuna ferita è mortale, sennò Valerio non riuscirebbe oggi a raccontare quella lunga guerra di mafia avvenuta senza esclusione di colpi.
C’era già stato un processo, per gli stessi delitti del ’92, che aveva condannato definitivamente Raffaele Dragone e Domenico Lucente (poi suicida in carcere) all’ergastolo. Un altro degli assassini che sparò materialmente a Vasapollo, Antonio Macrì detto Topino, venne in seguito ucciso in un garage di Cutro e poi seppellito sotto 17 metri di terra perché il corpo non venisse mai ritrovato.
Ma il processo di oggi in Corte d’Assise completa il quadro delle responsabilità che secondo il PM della Direzione Antimafia Beatrice Ronchi determinarono quelle morti e rafforza la sensazione di una comunità perlomeno distratta, quella locale, e incapace di comprendere la portata degli eventi.
Dice Valerio nell’udienza del 26 aprile che la pianificazione di entrambi i delitti avvenne in tante riunioni che si svolgevano a casa sua, in via Samoggia a Reggio, dove c’era un via vai di mafiosi impressionante e dove si commerciava droga e si scambiavano armi senza che avvenisse mai un controllo, nonostante Valerio fosse agli arresti domiciliari. “Potevo fare quello che volevo e andare dove volevo”.
Tanto che fece parte del commando partito di notte per Brescello. Lui era alla guida della finta auto dei Carabinieri, con mafiosi travestiti da Carabinieri, che arrivò sotto casa di Ruggiero con il lampeggiante acceso, alle tre di notte, a solo cento metri dalla locale caserma dei Carabinieri. Antonio Le Rose scese con la mitraglietta a fare da piantone. Aldo Carvelli (secondo Valerio) e Lino Greco bussarono alla porta dicendo alla moglie di Giuseppe: “Controllo, faccia scendere suo marito” e quando arrivò partirono i colpi di pistola. Poi Valerio telefonò a casa alla propria compagna per sapere di eventuali visite delle forze dell’ordine e lei lo tranquillizzò: “Non s’è visto nessuno”. Era un uomo agli arresti domiciliari, ma con licenza di uccidere.
La morte di Giuseppe Ruggiero comunque era già stata pianificata da tempo e per Valerio c’era pure un movente personale che veniva prima della vendetta per l’omicidio Lagrotteria. Lui doveva vendicare l’uccisione del padre a Cutro per mano del cugino di Giuseppe, Rosario Ruggiero detto Tre dita. Nell’estate del 1991, latitante e sotto il falso nome di Ruberto Vincenzo, Antonio Valerio si trova sulla costa romagnola a Lido di Saviodove lo raggiungono Paolo Lentini detto Pistola, Lino Greco e Nicolino Grande Aracri: “Vennero già con le armi, con l’intento di uccidere Giuseppe Ruggiero abitante in Brescello”, dice Valerio. Arrivarono con una Lancia Thema e partirono in direzione Reggio Emilia a bordo di una Mercedes bianca targata Ravenna. Partirono con in tasca le armi corte, semiautomatiche e a tamburo, necessarie per l’omicidio, e con alcune calze velate che sarebbero dovute servire per nascondere il volto. Al volante della Mercedes è Nicolino Grande Aracri che corre in autostrada come un fulmine e guida spericolato.
Arrivato a Brescello, il commando si mette in moto verso la casa di Giuseppe Ruggiero: Paolo Pistola e Linuzzo a piedi davanti, Nicolino Grande Aracri alla guida dell’auto e Valerio dietro in copertura. Arrivano vicino alla casa di Ruggiero e dal cancello esce Salvatore detto Turuzzo, fratello di Giuseppe, “la mente economica dei Ruggiero”. Giuseppe resta invece nel cortile a giocare con i ragazzi, i suoi tre figli. Il racconto di Valerio ai pm, durante gli interrogatori del 2017, fissa nella storia alcuni dettagli di quegli istanti: “E’ venuto in avanti il fratello e nel mentre arrivo pure io. Turuzzo praticamente era uscito fuori, avrà nasato… e loro (Pistola e Linuzzo) hanno fatto il passo di tornare indietro. Ci siamo guardati. Gli ho fatto segno con la testa: sì, mi ha visto. Va bene anche lui. Mentre l’altro obbiettivo nostro era all’interno che giocava con i ragazzi… Entriamo dentro! L’uno o l’altro, o tutti e due, quale migliore occasione? … Niente! Non hanno deciso di partire. Non si è fatta l’azione, si è abortito tutto quanto”.
Il primo tentativo si chiude così, stando al racconto del collaboratore di giustizia, col rientro a Lido di Savio senza colpo ferire e con Valerio che accompagna Nicolino e gli altri in stazione per tornare in Calabria. Si torna in scena un anno dopo, quando la rappresentazione non si interrompe e giunge fino all’ultimo atto: la morte di Vasapollo e Ruggiero. Il primo raggiunto dai proiettili alla testa, al cuore e al torace; il secondo che morirà per shock emorragico causato da cinque colpi all’addome e al torace. Si torna in aula, con il controinterrogatorio di Valerio, il 10 maggio alle ore 9.
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