Ndrangheta, massoneria e l’ex premier libanese: “Uno Stato parallelo dietro le latitanze gemelle di Dell’Utri e Matacena”
La ricostruzione della Direzione investigativa antimafia in un'informativa finita agli atti del processo Breakfast che vede imputato l’ex ministro Claudio Scajola. Centottantotto pagine per ricostruire una rete di relazioni fatta di incontri, parentele, cene romane e appartenenze a logge massoniche. Compaiono i nomi degli ex politici di Forza Italia condannati per concorso esterno, di esponenti della criminalità organizzata calabrese e del leader delle falangi libanesi Amin Gemayel. Un filo che porta fino al presidente della GazProm Bank, Robert Sursock
Esiste uno “Stato parallelo”, una sorta di “superassociazione” dove la ‘ndrangheta si colloca “al pari di altri componenti di un sistema politico-economico pantagruelico e deviato”. E che lega le latitanzedi Marcello Dell’Utri e Amedeo Matacena, entrambi condannati in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. A ricostruirlo è la Direzione investigativa antimafia, in un’informativa finita agli atti del processo Breakfast che vede imputato l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola. Un procedimento dove il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, ha cercato di tracciare i confini di quella “rete relazione e di interessi che caratterizza il mondo imprenditoriale, economico nazionale e internazionale”.
VINCENZO SPEZIALI LA “CHIAVE” CHE PORTA IN LIBANOLatitanze dorate, protette dai cappucci della massoneria ma anche operazioni di riciclaggio. In 188 pagine, la Dia spiega come Scajola sarebbe stato “funzionale al trasferimento di Matacena da Dubai verso il Libano”. Una destinazione mai raggiunta perché l’ex parlamentare di Forza Italia, definito il “catalizzatore degli interessi” di questa superassociazione, dopo l’arresto di Dell’Utri a Beirut, è rimasto negli Emirati Arabi. Una fuga che, comunque, ha visto “il coinvolgimento, in qualità di emissario libanese, di Vincenzo Speziali”. Chi è Speziali? Un calabrese che nei mesi scorsi ha patteggiato un anno da latitante per aver tentato di aiutare Matacena a spostarsi da Dubai a Beirut. Speziali, infatti, è sposato con la nipote del leader delle falangi libanesi Amin Gemayel, ed è stato “l’intermediario tra l’ex ministro (dell’Interno, ndr) e l’ex presidente del Libano che aveva offerto le necessarie garanzie in ordine al rigetto della richiesta di estradizione del Matacena da quel territorio”. Per gli inquirenti, in sostanza, Vincenzo Speziali è stato al “centro di una rete di collegamenti e di interessi fortemente orientati a garantire l’impunità a soggetti funzionali ad un vasto sistema economico-criminale, con dirette finalità di agevolazione e conservazione del relativo assetto illecito”.
LE LATITANZE “GEMELLE” DI MATACENA E DELL’UTRIEd è a questo punto che gli uomini della Dia, guidati dal colonnello Teodoro Marmo, riescono a ricostruire i punti di contatto tra la vicenda di Matacena e quella di Dell’Utri, “politici di primo piano nel medesimo schieramento e pacificamente vicini ad associazioni mafiose, rispettivamente calabresi e siciliane”. Il minimo comune denominatore era Speziali che, in 18 mesi, si è sentito con Dell’Utri addirittura 400 volte, “sintomatico di una buona conoscenza e di rapporti anche nel lasso temporale immediatamente precedente lo spostamento politico in Libano”. Una ricostruzione che, nonostante il tentativo di Speziali di allontanare i sospetti dalla sua persona all’indomani dell’arresto di Dell’Utri, è avvalorata da un appunto che la Dia di Palermo ha trovato in possesso del politico siciliano. Un foglietto in cui c’era scritto “Amin G.” con a fianco riportata l’utenza libanese riferibile all’ex presidente del Paese dei cedri”. Non è un caso, inoltre che a metà ottobre 2013 Gemayel e Dell’Utri “hanno alloggiato presso lo stesso albergo Eden di Roma. Un riscontro che fa il paio con l’intercettazione registrata all’interno del ristorante “Assunta Madre” dove Alberto Dell’Utri riferendosi al fratello dice: “Marcello dieci giorni fa ha cenato con un politico importante del Libano che è stato presidente. È stato a cena con lui e il 14 prossimo dovrebbe andare a Beirut”.
GEMAYEL E LE CENE ROMANE DI PINO PIZZAQuella cena era stata organizzata dall’ex parlamentare della Dc Pino Pizza a casa della sua compagna Costanza Raducanita. Amin Gemayel, “assoluto protagonista delle cene romane, – scrive la Dia – nell’ambito di una delicata trattativa avrebbe preteso, in cambio del massimo appoggio e delle garanzie offerte all’ex parlamentare Matacena, il sostegno nella campagna elettorale del Partito Popolare Europeo attraverso l’intervento dell’ex ministro dell’Interno Scajola”. Una trattativa nella quale sarebbe rientrato anche “l’allontanamento di Marcello Dell’Utri verso la Repubblica del Libano, dove le documentate relazioni personali erano in grado di garantire l’agognato asilo politico”. “Amin Gemayel – si legge sempre nell’informativa – è giunto in Italia per sollecitare sia presso i vecchi democristiani, ora Udc di Lorenzo Cesa, sia presso esponenti della Santa Sede, la sponsorizzazione della propria candidatura in Libano. In una circostanza desiderava incontrare a Roma il suo amico Berlusconi Silvio, incontro non più realizzato per motivi logistici, anche per convincerlo ad inserire Speziali Vincenzo nelle liste elettorali di Forza Italia per le elezioni europee”.
SCRIVI LIBANO LEGGI GAZPROMNelle relazioni commerciali tra l’Italia e il Libano, le due figure di primo piano erano l’ex vicepresidente dell’Authority per la vigilanza sui contratti pubblici, Luciano Berarducci, e il presidente della GazProm Bank, Robert Sursock, cugino della moglie di Speziali. Per la Dia, sono loro due “i principali cardinidella rete di affari internazionale in grado di gestire le elevate sinergie commerciali tra le più grosse aziende multinazionali ed i politici libanesi”. Stando all’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Lombardo, Sursock e “i suoi sodali libanesi Amin Gemayel e Vincenzo Speziali” hanno avuto un ruolo attivo nel tentativo di sottrarre Marcello Dell’Utri all’esecuzione della pena comminata a suo carico nel 2014”. Nell’agenda personale di Dell’Utri, infatti, “sono state rinvenute diverse annotazioni relative ad appuntamenti fissati dal senatore, in Beirut, nei giorni immediatamente precedenti la cattura. Diversi di questi incontri fanno specifico riferimento a Sursock, di cui il politico aveva annotato le utenze e sono funzionali all’apertura di rapporti bancari, all’individuazione di un immobile dove soggiornare, ad incontri con un avvocato ed altri soggetti locali, a cene e colazioni sia presso luoghi di ristorazione sia presso la dimora privata di Sursock”. Quest’ultimo, inoltre, ha avuto contatti con la moglie e il figlio di Dell’Utri “nei momenti frenetici successivi all’arresto, affinché si adoperi per garantire assistenza sia a loro stessi che al loro congiunto”.
ANCHE STEFANO RICUCCI ALLA CORTE DI SURSOCKNell’informativa della Dia spunta pure il nome dell’immobiliarista Stefano Ricucci che, dopo i falliti tentativi con le banche italiane, attraverso Robert Sursock, voleva ottenere una linea di credito con quelle libanesi. La chiave per aprire le porte della Gazprom Investiment Banking portava il nome sempre di Vincenzo Speziali. Lo ha raccontato agli investigatori Sergio Billé che ha cercato di aiutare Ricucci dal quale vantava importanti somme di denaro: “Visto l’insuccesso con la Carige cercammo insieme a Ricucci altre vie, per poi decidere di seguire la linea libanese. Questo su suggerimento di Scajola, in quanto sosteneva che Speziali poteva aiutarci tramite i rapporti di parentela che vantava con Sursock”. Un’operazione milionaria che, nonostante i diversi viaggi in Libano, però è fallita: “Mi sono recato a Beirut – fa mettere a verbale lo stesso Ricucci – perché volevamo, come gruppo a me riconducibile, acquistare dei crediti finanziari e cercavamo attraverso delle banche finanziamenti per circa 30/40 milioni di euro oppure di 75 milioni se rientravano anche degli immobili. Non ho concluso nulla con la Gazprom perché a dire di Sursock la banca Gazprom non poteva fare l’operazione da me richiesta”.
“TRAMITE SCAJOLA LA ‘NDRANGHETA VOLEVA ARRIVARE A IMPREGILO”Nei faldoni dell’inchiesta Breakfast sono finiti anche i verbali del collaboratore di giustizia Cosimo Virgiglio che, ai pm di Reggio, ha svelato che “la ‘ndrangheta tramite Scajola voleva arrivare a Impregilo”. Massone e uomo del clan Molé di Gioia Tauro, il pentito parla di logge segrete, ordini cavallereschi e riunioni tra grembiulini dove ha incontrato uomini in divisa, generali e politici: “Quella sera c’era Lisi della Guardia di Finanza. Uno era Claudio Scajola e l’altro era il comandante reggente Meninni, che sarebbe il primo ministro sanmarinese. Scajola all’epoca non solo era il ministro delle Infrastrutture, ma aveva anche la delega ai servizi segreti”. “Si dà atto – scrive la Dia – che Virgiglio riferisce dei rapporti fra la loggia Garibaldini d’Italia, la loggia coperta di Ugolini Giacomo Mariadenominata Grande Oriente di San Marino e i Molè-Piromalli”. Il pentito nomina Carmelo Cedro(“era dei templari”), un imprenditore della piana di Gioia Tauro che alla Dia ha riferito “della sua iniziazione all’ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo, e di aver fatto in più occasioni da autista a Claudio Scajola, nel corso di alcuni viaggi fatti in Calabria dall’ex parlamentare”. In Calabria Scajola “dialogava con il noto avvocato Giuseppe Luppino” che dal 2001 al 2008 è stato il supercosulente del commissario straordinario per l’emergenza rifiuti della Regione Calabria. È lo stesso Luppino legato da vincoli di parentela con la cosca Piromalli e arrestato qualche mese fa nell’ambito dell’inchiesta antimafia “Metauros”. Suo cugino è il dentista Giuseppe Riotto, originario di Gioia Tauro ma residente a Sanremo dove è stato anche assessore con delega al casinò. Per la Dia è un politico locale “asservito politicamente” all’ex ministro dell’Interno imputato nel processo Breakfast. In un’intercettazione con il cugino avvocato, infatti, Riotto non ne fa mistero: “Ho un solo padrone che si chiama Claudio Scajola”.
PINO PIZZA E LA ‘NDRANGHETA: DA DON STILO AL FUNERALE DI GAMBINOLa parte finale dell’informativa è dedicata alla deposizione di Franco Pazienza, l’ex agente del Sismi condannato a 10 anni di carcere per il depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna e altri 3 anni per il crac dell’Ambrosiano. Interrogato dalla Dia il 22 novembre scorso, l’uomo dei servizi al centro delle più intricate trame italiane si è soffermato sul suo rapporto con il segretario della nuova Dc Giuseppe Pizza, l’organizzatore delle cene romane alle quali partecipavano Dell’Utri, Speziali e Gemayel. Originario di Sant’Eufemia D’Aspromonte, Pizza – ricorda Pazienza – “era stato responsabile giovanile della Democrazia Cristiana quindi a un certo punto era nel direttivo. Mi ricordo che lui si scontrò con Fanfani. Era il 1980 o il 1981 quando mi invitò in Calabria. Vidi che lui era amico dei De Stefano (la cosca di Archi, ndr) e soprattutto di Domenico detto Mimmo Araniti di Sambatello (fratello del boss ergastolano Santo Araniti, ndr). Fecero una grande cena in onore di Pino Pizza. Mi presentò anche don Stilo”.
Quest’ultimo, oggi deceduto, era il controverso prete di Africo Nuovo finito al centro di indagini antimafia e poi stato assolto. In realtà, secondo i pentiti, don Stilo era uno degli uomini più potenti della Calabria tanto che per incontrarlo sono andati ad Africo anche Totò Riina e Bernardo Provenzano. Per dare l’idea di cos’era don Stilo, l’agente del Sismi Franco Pazienza racconta alla Dia di quando pranzarono assieme prima del suo rientro a Roma: “L’aereo era alle 5 del pomeriggio e alle 3 eravamo ancora a tavola da Don Stilo, a casa sua. Lui ha preso il telefono, l’aereo mi ha aspettato, l’aereo dell’Alitalia mi ha aspettato: io sono arrivato con due ore di ritardo e c’era l’aereo fermo che mi aspettava. Come un jet privato”. Dopo la trasferta in Calabria il segretario della Dc Pino Pizza e Pazienza sarebbero andati anche a New York dove hanno partecipato anche al funerale di Tommasino Gambino, il padre del boss Joe Gambino: “Mi disse devo andare a questo funerale. Allora io comprai un cappello grosso così, gli occhiali neri perché io sapevo che saremmo stati fotografati tutti, dall’Fbi”.
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