È morto sei minuti dopo la mezzanotte e la gran parte del suo popolo nulla ha saputo fino al mattino, mentre Olof Palme strappava alla vita i suoi ultimi istanti la Svezia dormiva l’ultima sua notte senza barbarie: dal primo giorno di marzo del 1986 è iniziata qui l’epoca del terrorismo e della violenza, della paura e della rabbia.

Gli svedesi hanno visto tutto questo succedere altrove, sanno che il terrorismo sarà capace di modificare le loro coscienze e la loro società. Sanno che "nulla sarà più come prima". Lo sanno e, impotenti, prima hanno tentato di non credere a quello che diceva la radio, poi hanno provato a credere all’ipotesi di un folle assassino, ad una tragica morte per caso. Ma già alle dieci del mattino le scarne dichiarazioni di chi indaga non consentivano più l’illusione: "Chi ha ucciso sapeva quello che faceva, sapeva che stava andando ad ammazzare il primo ministro".

Gli svedesi piangono Palme e insieme a lui qualcosa che se n’è andato per sempre. Una pallottola calibro nove, sparata da due metri, colpisce Palme alla schiena, raggiunge il rene, lo spappola. Quando la vittima ancora sta cadendo già non c’è più speranza. Un altro proiettile, destinato alla moglie Lisbeth’ la ferisce al fianco. Ma la donna sente a malapena il dolore, chiama aiuto, vede il sangue di suo marito allargarsi sulla neve.

Il premier Olof Palme
Il premier Olof Palme 

Due colpi nella notte di Stoccolma e chi guarda stenta a capire e all’indomani ricorda solo spezzoni, frammenti. "Stavo guidando nella corsia di centro, di fronte all’incrocio quando ho visto sul marciapiede tre persone. Ho udito un primo sparo, quindi un secondo in rapida successione. Ho visto due delle tre persone cadere e la terza che fuggiva in un vicolo. Ho immediatamente avvisato la polizia e il servizio ambulanze con il mio telefono di bordo. Tre, quattro minuti dopo è sopraggiunto un autobus della polizia. Sebbene mi trovassi a meno di dieci metri di distanza non sono riuscito a scorgere bene il killer".

È il racconto di Anders Delsbors, un tassista, l’unico che ha fornito alla polizia una labile traccia: un uomo sui trentacinque anni, capelli scuri, cappotto scuro. La polizia arriva ma gli agenti che scendono da quel furgone non hanno la minima idea di chi sia quell’uomo che agonizza sul marciapiede della Sveavaegen, una delle strade più centrali di Stoccolma. I poliziotti pensano ad un episodio, insolitamente grave, della routine della piccola violenza notturna, forse una rissa degenerata, forse il gesto di un drogato. Vedono il primo ministro in terra e non lo riconoscono, tocca alla moglie gridare: "Non mi riconoscete? Hanno sparato al mio Olof". Attorno a Palme ci sono già due allieve infermiere di 17 anni, passavano per strada, hanno visto uccidere e ora tentano di prestare soccorso: una si china a tastare il polso del ferito a morte, prova un massaggio cardiaco.

Un altro giovane regala a Palme un’inutile respirazione bocca a bocca. Il trasporto in ospedale è velocissimo ma al Sabbatsberg Palme sopravvive forse ancora dieci minuti. Poco dopo la mezzanotte è tutto finito, non è trascorsa un’ora dall’attentato. Non sono passate neanche tre ore da quando Olof Palme, primo ministro di Svezia, ha detto agli agenti della sua scorta di andarsene a casa. Lui e la moglie si preparavano ad andare al cinema, non c’era bisogno di uomini armati. Olof e Lisbeth vedono "I fratelli di Mozart". Poi, finito lo spettacolo, si avviano a piedi verso la vicina abitazione. Alle 23,30 raggiungono l’angolo tra la Sveavagen e la via Tunnelgatan, le loro figure si stagliano contro le luci dei negozi chiusi.

L’assassino le inquadra, accelera il suo passo, è al loro fianco. Spara e poi fugge verso la zona orientale della città. Un passante cerca d’inseguirlo, riesce ad avvicinarglisi fino ad una decina di metri, poi non ha più fiato per continuare. Il killer imbocca una scala e sparisce. Più tardi lo descrivono: giacca a vento blu scuro, pantaloni scuri, berretto con paraorecchi, altezza 170-180 centimetri. La polizia si impossessa di questo sommario identikit e per ora lavora sull’ipotesi dell’assassino solitario. Hanno pochi elementi in mano ma questi ieri mattina erano già sufficienti perché i commissari addetti all’indagine fossero pressoché certi di due circostanze.

Probabilmente non era solo e perciò di un complotto si tratta e non del gesto di un folle. Inoltre chi ha ucciso lo ha fatto con freddezza, forse ha perfino detto qualcosa a Palme, alla sua vittima, un attimo prima di sparare. Un omicidio "professionale". E c’è di più, la moglie del primo ministro ha dichiarato di aver già visto quel volto, non ricorda dove e come ma l’ha visto. Con tutta probabilità Palme era da tempo sotto sorveglianza da parte di un commando che preparava la sua morte.

Palme è già cadavere in ospedale quando la polizia sbarra la Sveavagen e la città comincia a sapere. Le finestre cominciano ad accendersi man mano che la notizia si diffonde. Comincia il pellegrinaggio: tre rose proprio lì, al margine della chiazza di sangue. Arriva la Tv e riprende un giovane che supera le transenne e posa sul marciapiede una fiaccola. Chi piange lo fa in silenzio. All’una e mezza di notte il ministro delle Finanze, Kjell Olof Feldt annuncia ufficialmente la morte di Palme. Il vice capo del governo, il cinquantunenne Ingvar Carlsson, si reca d’urgenza a Rosenbad, sede della cancelleria del primo ministro, per una riunione d’emergenza del governo. A Carlsson va il compito di prendere immediatamente le redini del governo "ad interim". Olof Palme è morto e si scava affannosamente nella sua vita politica per cercare di capire chi e perché lo abbia ucciso. La polizia non scarta e non sposa la pista politica, ma in realtà non ve ne sono altre. Minacce? La prima lettera minatoria la ricevette già il 4 ottobre 1969 quando divenne contemporaneamente primo ministro e presidente del partito socialdemocratico. Poi, via via molte altre.

Nel 1969 la minaccia di un’inesistente bomba al Congresso del suo partito. L’anno dopo il ritardo imposto all’aereo che lo portava a Washington per un altro finto attentato. Palme considerava tutto ciò parte integrante della vita di un uomo politico. Spesso chiedeva ai giornalisti cosa sapessero della meccanica degli attentati; ultimamente aveva chiesto di Fiumicino e di Vienna. Sapeva che il terrorismo è una delle "forze" di questo mondo ma non pensava potesse mai giungere in Svezia. Perciò la sua scorta andava a casa quando il ministro Palme diventava il cittadino Palme.

Chi vive a Stoccolma lo ha incontrato nelle ore più diverse a passeggio nella città vecchia dove da qualche anno era andato ad abitare nell’appartamento dei coniugi e premi Nobel Gunnar e Alva Myrdal. Sempre da solo o con la moglie che ora è tornata a casa ma che la polizia ha dovuto per il momento rinunciare a interrogare perché tuttora in stato di choc. Era naturale per lui muoversi senza scorta ma oggi i responsabili dell’ordine pubblico in Svezia sono sotto accusa per non averla comunque imposta al primo ministro.

Giovedì 8 gennaio infatti la Sapo (polizia per la sicurezza dello Stato) aveva ricevuto un avvertimento molto serio da parte dell’Interpol di Parigi secondo cui almeno due gruppi di azione palestinesi di Abu Nidal sarebbero stati in partenza per la Svezia per effettuare azioni di terrorismo. Allora fu lo stato d’allerta nel paese e alle frontiere. Ancora, c’è chi ricorda l’attività in Svezia del "Partito operaio del Kurdistan": lo scorso 2 novembre un curdo "disertore" di questa formazione era stato ucciso proprio a Stoccolma.

L’ombra dei palestinesi dunque o quella della ritorsione internazionale. Ma anche la possibilità che ad uccidere Palme sia stato un terrorismo di marca europea. Si è pensato in queste ore agli ustascia della Croazia: i terroristi fascisti che nel 1971 uccisero l’ambasciatore jugoslavo a Stoccolma, un delitto per cui un ustascia, Mira Baresic, è detenuto in Svezia. E si pensa, forse più concretamente, a quel che è rimasto della Raf tedesca.

Una telefonata a Londra ha rivendicato al "Commando Holger Meins" l’assassinio. Chi ha chiamato non ha voluto spiegare nulla ma Holger Meins fu uno dei primi militanti della banda Baader-Meinhof. Meins morì in carcere nel 1974 dopo due mesi di digiuno volontario, quasi un’anticipazione di quel che sarebbe accaduto a Stammheim. E nel 1975 il governo svedese guidato da Olof Palme fece estradare in Germania cinque terroristi tedeschi che avevano dato l’assalto alla amabasciata della Rft in Svezia. Uno di questi terroristi morì durante il trasporto in aereo. Allora, una vendetta?

La Svezia non sa e cerca a tentoni nemici antichi e recenti per dare un nome e un volto a chi ha ucciso. La polizia ieri mattina ha fermato un uomo, svedese, con in tasca qualcosa di simile a una piantina del luogo dell’attentato. Un’ora dopo un altro uomo è stato interrogato, di lui si sa che già altre volte aveva profferito minacce contro i politici. Più tardi la polizia ha fatto sapere che i due erano solo testimoni e che presto verranno rilasciati. Come è comprensibile per ora le indagini sono soprattutto fatte di "retate" negli ambienti dell’estremismo politico di ogni colore. È una caccia all’uomo da parte di un paese che sfila in lacrime attorno alla cancelleria del capo del governo per firmare il libro dalla copertina rossa dove si raccolgono le condoglianze dei cittadini. Una folla che si chiede perché: "Il terrorismo è arrivato fin qui su da noi".

È questa infatti la grande paura della Svezia oggi. Il commissario Linder dichiara: "Non abbiamo nessuna ipotesi da privilegiare". Ma un altro commissario, Nillson, ripete che "l’assassino sapeva quello che faceva" e ripete che si è trattato di un delitto consumato con "freddezza professionale". Oggi la Svezia mostra il suo volto del lutto, bandiera nazionale abbrunata dovunque mentre il re, Carlo Gustavo XVI, tornato precipitosamente nella capitale dal Nord del paese, dichiara con grande mestizia: "Ci era molto vicino e la sua morte costituisce per noi una grande perdita personale".

Le campane di Stoccolma hanno battuto per quindici minuti un lento rintocco, non si spegne l’omaggio della gente a quell’incrocio dove Olof Palme è caduto. Oggi la Svezia fatica con la memoria e col cuore: deve tornare al 1772 per trovare un sovrano, Gustavo III ucciso durante un ballo in maschera all’opera. Deve affidarsi al sentimento per comprendere ciò che è accaduto: "Hanno ucciso la nostra colomba di pace" dice un cartello posto a lato di quella macchia di sangue. Oggi la Svezia s’inchina di fronte ad Olof Palme, l’opposizione lo piange come lo piangono i suoi compagni di partito. Domani questo paese cercherà di capire e forse saprà, per il momento la Svezia è in quel titolo di un suo giornale: "Grazie Olof".