domenica 4 agosto 2024

 

L’INDAGINE SU PIGNATONE E NATOLI SPACCA L’ANTIMAFIA - MARIA FALCONE E I PARLAMENTARI DEM IN COMMISSIONE ANTIMAFIA SONO SCESI IN CAMPO IN DIFESA DI NATOLI. ALTRI MAGISTRATI HANNO INVIATO MESSAGGI DI SOLIDARIETÀ A GIUSEPPE PIGNATONE. LE ACCUSE SONO PESANTI: I DUE PM AVREBBERO AVUTO UN RUOLO NELL’INSABBIAMENTO DELL’INDAGINE SUI RAPPORTI  TRA COSA NOSTRA E RAUL GARDINI, NEL 1991 – LA CONTESTAZIONE DEL PENTITO CANCEMI SULL’EX PROCURATORE DI ROMA: “GLI FU DONATO UN IMMOBILE” (MA IL CASO ERA GIÀ STATO ARCHIVIATO NEL 1995)



1. CALTANISSETTA, SI TORNA A INDAGARE SULLA CASA COMPRATA DA PIGNATONE

Estratto dell’articolo di Salvo Palazzolo per www.repubblica.it

 

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Chi ha avuto modo di incontrarli, racconta di uomini amareggiati, provati. Gioacchino Natoli e Giuseppe Pignatone, due magistrati simbolo della lotta a Cosa nostra, si ritrovano adesso indagati per un’accusa infamante: favoreggiamento a Cosa nostra.

 

Secondo la procura di Caltanissetta, avrebbero avuto un ruolo (Pignatone, di “istigatore” insieme all’ex procuratore Giammanco; Natoli, di “esecutore materiale”) nell’insabbiamento dell’indagine che nel 1991 esplorò i rapporti fra i boss Buscemi, Bonura e i manager del gruppo Ferruzzi allora guidato da Raul Gardini.

 

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Un’accusa pesante che ha già diviso l’antimafia. Maria Falcone, il gruppo di magistrati che fa capo al Movimento per la Giustizia, ma anche i parlamentari Dem in commissione antimafia sono scesi in campo in difesa di Natoli. Altri magistrati hanno inviato messaggi di solidarietà a Giuseppe Pignatone, che nel suo curriculum di prestigio contro le mafie annovera un punto che riguarda proprio i boss imprenditori Buscemi, di Passo di Rigano: alla fine degli anni Novanta, fu proprio Pignatone a firmare l’indagine che portò alla maxi confisca di beni nei loro confronti.

 

Un’indagine importante con cui l’allora procuratore aggiunto di Palermo volle ribadire la sua storia professionale e il suo impegno: nei mesi precedenti era finito indagato a Caltanissetta per corruzione, insieme a Giammanco, Lo Forte e De Francisci.  Un’accusa poi archiviata dal gip Gilda Forte.

 

raul gardiniraul gardini

Per Pignatone, in particolare, la contestazione si fondava sulla dichiarazione del pentito Giovanni Brusca («Riina si lamentava che i fratelli Antonino e Salvatore Buscemi avevano un rapporto privilegiato con il dottor Pignatone, rapporto che essi non ponevano a disposizione dell’intera organizzazione»). Dichiarazione rimasta senza riscontri.

 

Come quella di un altro pentito eccellente, Salvatore Cancemi («Fu donato un immobile al magistrato»), che nel 1995 aveva dato luogo a un’altra archiviazione. «Si accertò — scrissero i magistrati di Caltanissetta — che l’immobile era stato regolarmente acquistato nel 1980 dalla moglie del dottor Pignatone, il quale all’epoca mostrò […]di avere ritualmente pagato l’appartamento[…]». Ora, la Procura e la Finanza tornano a indagare sull’acquisto di quella casa.

 

2. MAFIA&APPALTI, COSÌ LA MOGLIE DI NATOLI INGUAIÒ PIGNATONE

Estratto dell’articolo di Marco Lillo per “il Fatto quotidiano”

 

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Le trascrizioni delle conversazioni telefoniche della moglie di Natoli (intercettata da terza non indagata) e una relazione di servizio dell’allora capitano della Finanza Stefano Screpanti hanno peggiorato la posizione di Gioacchino Natoli e Giuseppe Pignatone.

 

I due ex pm sono accusati con Screpanti di favoreggiamento (con l’aggravante di aver voluto favorire la mafia) per avere aiutato nel 1992 a “eludere le investigazioni” Antonino Buscemi; Francesco Bonura (due costruttori poi condannati per mafia); Ernesto Di Fresco (ex presidente della Provincia di Palermo, DC, arrestato nel 1982, assolto dalla concussione in appello e prescritto nel 1991 per interesse privato); Raul Gardini (suicida nel luglio 1993) Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini, manager del Gruppo Ferruzzi, guidato da Gardini. Ipotesi di accusa gravissime contro due esponenti storici dell’antimafia […]

 

raul gardiniraul gardini

La Procura di Caltanissetta contesta le scelte investigative dei due ex pm e del loro capo defunto, Pietro Giammanco, risalenti a ben 32 anni. L’inchiesta palermitana nel mirino era partita nel 1991 in un’Italia diversa.

 

Quel fascicolo che illuminava i rapporti opachi tra due mondi che apparivano lontani, quello dorato degli uomini di Gardini e quello che odorava di mafia dei Buscemi, era planato a Palermo da Massa Carrara nell’agosto del 1991. Il sostituto Gioacchino Natoli, dopo avere disposto alcune intercettazioni, nel giugno 1992 aveva chiesto e ottenuto prima l’archiviazione e poi la smagnetizzazione delle bobine. Tutto ciò era noto da decenni.

 

La questione dell’inerzia della procura e della distruzione delle bobine è stata rilanciata poi con clamore in Commissione Antimafia dall’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino e legale di parte civile dei figli del giudice.

 

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La Procura di Caltanissetta ha scoperto l’ordine di distruzione (che coinvolgeva anche i brogliacci) ma ha ritrovato a Palermo le bobine in teoria distrutte. Le ha quindi fatte ascoltare e dopo un’indagine penetrante ha deciso di indagare Giuseppe Pignatone nel ruolo di co-istigatore insieme al defunto procuratore Pietro Giammanco riservando a Natoli e al capitano che fece le indagini nel 1991-92 (ora generale) Screpanti il ruolo di esecutori.

 

Le conversazioni della moglie di Natoli – secondo la tesi della Procura guidata da Salvatore De Luca – corroborano questo contesto accusatorio. La signora Natoli parla al telefono mentre è intercettata, quando lo scandalo è esploso già in Commissione Antimafia.

Pietro Giammanco paolo borsellinoPietro Giammanco paolo borsellino

 

La moglie difende al telefono la figura del marito sostenendo di aver parlato della questione ‘con Gioacchino’. Spiega che il marito era allora un giovane sostituto. Insomma non aveva grande potere in Procura. Le scelte che poi portarono ad archiviare quel procedimento […] erano decise a un livello più alto: dal capo dell’ufficio, Giammanco, e dal suo collaboratore più fidato Giuseppe Pignatone. I pm nisseni guidati dal procuratore De Luca danno importanza a queste affermazioni e per questo le hanno sottoposte a Gioacchino Natoli all’inizio del suo interrogatorio insieme ad altri elementi.

 

L’ex pm, per una legittima scelta difensiva suggerita dal suo avvocato Fabrizio Biondo, si è avvalso della facoltà di non rispondere anche se in futuro si riserva di chiarire tutto. Stessa linea adottata da Pignatone che rivendica la sua estraneità.

 

Per la Procura di Caltanissetta, Natoli con Screpanti avrebbe svolto su istigazione di Pignatone e Giammanco “un’indagine apparente” chiedendo l’intercettazione di poche utenze e per brevi periodi.

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Gli addebitano la mancata trascrizione delle conversazioni “particolarmente rilevanti” e “da considerarsi vere e proprie autonome notizie di reato” . Nelle telefonate non trascritte emergeva la “messa a disposizione” del politico Ernesto Di Fresco in favore di Bonura, poi condannato per mafia. Per i pm nelle telefonate che dovevano sparire c’era “una concreta ipotesi di ‘aggiustamento’, mediante interessamento del Di Fresco stesso, del processo pendente innanzi alla Corte d’Assise di Appello di Palermo, sempre a carico del Bonura”. Poi Bonura fu assolto.

 

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Per la Procura di Caltanissetta Natoli “richiedeva l’archiviazione del procedimento penale n. 3589/1991 (...) senza curarsi di effettuare ulteriori approfondimenti e senza acquisire il materiale concernente le indagini effettuate dalla Procura di Massa Carrara; infine, per occultare ogni traccia del suindicato rilevante esito delle intercettazioni telefoniche, disponeva la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci”. Un’accusa che ipotizza un dolo difficile da immaginare per chi conosce Natoli.

 

Un altro elemento su cui la Procura basa l’accusa è una relazione di servizio del capitano Screpanti della fine del 1991 trovata negli archivi della Gdf. Screpanti aggiorna i suoi superiori sul procedimento arrivato da Massa. Li informa che ha pochi uomini e che la Procura è scettica sull’indagine. Con il pm Natoli, Screpanti ha concordato di fare le intercettazioni su gruppi di pochi obiettivi in modo da fare l’indagine comunque, anche al fine di evitare in futuro polemiche.

 

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Screpanti scrive di aver parlato della questione anche con Pignatone ma non riporta cosa si sia detto con il pm che non era titolare del fascicolo. Sette mesi dopo, il 25 giugno 1992 Natoli firma la richiesta in cui si legge “ordina la smagnetizzazione dei nastri relativi alle intercettazioni telefoniche e-o ambientali disposte con i decreti 467/91; 2/92; 35/92 536-91”. Questo ordine è ritenuto a dir poco anomalo dalla Procura di Caltanissetta perché il pm fa da solo e non passa dal Gip. Inoltre sul foglio firmato a penna da Natoli c’è un aggiunta a penna risalente probabilmente – per i pm nisseni – a un momento precedente e apposta da una mano diversa.

paolo borsellinopaolo borsellino

 

L’autore dell’aggiunta affianca all’ordine di distruzione delle bobine anche l’eliminazione per sempre dei brogliacci, dove i finanzieri appuntano chi parla con l’intercettato e la sintesi dei contenuti rilevanti. Chi ha aggiunto “e la distruzione dei brogliacci”? Sulla base di una perizia grafologica è escluso sia stato Natoli mentre resterebbe aperta l’ipotesi che sia stato Pignatone, che aveva la delega alle intercettazioni in procura.

GIOACCHINO NATOLIGIOACCHINO NATOLI

 

C’è poi un altro dato inquietante per i pm nisseni. Per dimostrare che le intercettazioni erano irrilevanti (e quindi il procedimento da archiviare) la GdF nel 1992 allegava 29 trascrizioni di chiacchierate effettivamente insignificanti.

 

Però oggi, dopo 32 anni e il riascolto, i finanzieri e i pm nisseni sono arrivati a conclusioni opposte. Se fossero state allegate le conversazioni più interessanti, come quelle di Di Fresco, i pm difficilmente avrebbero archiviato e ordinato di distruggere bobine e brogliacci.

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Per questa ragione i pm di Caltanissetta hanno interrogato il generale Screpanti e i procuratori. Il primo ha risposto senza chiarire i loro dubbi. I secondi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

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