martedì 23 giugno 2020

                                                                 MAFIE

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I padrini della vecchia guardia tornano in libertà, uno dopo l’altro, hanno scontato la loro pena, e riprendono immediatamente i posti di comando nei clan. A Palermo, l’ultima indagine della procura e dei carabinieri del nucleo Investigativo svela quanto sia ancora forte la pressione di Cosa nostra in determinate zone della città: due scarcerati “eccellenti”, Giulio Caporrimo e Nunzio Serio, puntavano a controllare i cantieri edili della parte ovest di Palermo, la zona di Tommaso Natale. Imponevano il pizzo o si accaparravano i lavori, estromettendo le ditte già presenti. Sono dieci le persone finite in carcere questa notte: l’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca e dai sostituti Francesco Gualtieri e Amelia Luise ha potuto contare sulla determinazione e sul coraggio di due imprenditori, che non hanno avuto dubbi quando si sono trovati davanti alle pressioni dei boss, hanno denunciato.

Uno era stato già estromesso dal cantiere di ristrutturazione di un appartamento. Un altro lo volevano escludere da alcuni lavori di movimento terra. "Questa operazione dimostra la persistente operatività di Cosa nostra in un'area della città nella quale è storicamente radicata - dice il generale Arturo Guarino, il comandante provinciale dei carabinieri - il controllo del territorio con l'imposizione delle estorsioni resta una modalità criminale importante e perseguita con ostinazione. Ma è incoraggiate registrare ancora una volta segni di reazione di imprenditori che dicono no al pizzo".

Palermo, i boss scarcerati riorganizzano Cosa nostra. Due imprenditori denunciano il racket, 10 arresti

Le denunce hanno offerto nuovi spunti d’indagine e sono diventate uno straordinario riscontro a quanto già emergeva dalle intercettazioni. Sono sette le estorsioni oggetto di questa indagine: due operatori economici si sono rivolti ai carabinieri, gli altri hanno invece preferito sottostare ai ricatti di Cosa nostra. Giulio Caporrimo era un reuccio nella borgata di Tommaso Natale, rispettato e temuto. "I capi storici di Cosa nostra continuano a svolgere un ruolo significativo all'interno delle famiglie palermitane - dice il colonnello Mauro Carrozzo, il comandante del Reparto Operativo - soprattutto nella prospettiva della riorganizzazione della struttura mafiosa, che le indagini hanno però bloccato".
“Ha cento carati”, dicevano di Caporrimo nel clan, prima ancora che tornasse in libertà. Fra il febbraio e il settembre 2017, le telecamere e le microspie dei carabinieri lo hanno seguito passo passo. Mentre faceva incontri al largo della costa palermitana, sul suo potente gommone. Mentre dava un bacio in bocca ai suoi collaboratori più stretti, segno d’investitura. Un padrino rispettato e osannato nelle borgate. Si atteggiava a uomo d'ordine: così, si lamentava per gli acquascooter che scorrazzavano vicino ai bagnanti. E si vantava di averli fatto spostare in un altro tratto di mare.
"Sin dal momento della sua scarcerazione si è subito reinserito nel circuito criminale - ha scritto il gip Fabio Pilato nell'ordinanza di custodia cautelare - violando gli obblighi imposti dalla misura di sicurezza che gli era stata imposta". Caporrimo aveva ricostruito una rete di fedelissimi nel mandamento di Tommaso Natale, quello storicamente sotto il controllo della famiglia Lo Piccolo: nella borgata marinara di Sferracavallo, aveva messo un altro scarcerato eccellente, Andrea Gioè; alla Marinella, Andrea Bruno, pure lui tornato in libertà dopo aver scontato una condanna per associazione mafiosa; altri fidati, arrestati stanotte, sono Vincenzo Taormina, Vincenzo Billeci e Francesco Di Noto.

 

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