Il boss Giuseppe Graviano ha deciso che non completerà l’interrogatorio iniziato nei mesi scorsi davanti alla Corte d’Assise di Reggio Calabria dove si sta celebrando il processo “’Ndrangheta stragista” in cui è imputato, assieme a Rocco Santo Filippone, come mandate dell’agguato in cui morirono due carabinieri nel gennaio 1994. Al termine dell’udienza dedicata alla testimonianza del pentito Diego Zappia e agli sgoccioli dell’istruttoria dibattimentale, che si concluderà nelle prossime settimane, il colpo di scena lo ha servito l’avvocato Giuseppe Aloisio, difensore del boss di Brancaccio detto “Madre Natura”.
“Volevo manifestare – dice in aula l’avvocato – la volontà di Graviano di rinunciare all’esame. Questa rinuncia è anche motivata. Ovviamente non vi è il timore di rispondere e lo ha dimostrato rispondendo a quelle che possono essere le domande della Corte, dell’ufficio (di Procura, ndr), ma anche dei colleghi. Vi è la consapevolezza che quelle dichiarazioni resteranno prive di riscontro”. E così, dopo molte settimane in cui Graviano, per poter continuare l’interrogatorio, ha chiesto più volte di ascoltare l’audio delle intercettazioni con il compagno d’ora d’aria Umberto Adinolfi, da oggi ha deciso di tornare al silenzio che ha caratterizzato i suoi 26 anni di carcere.

Eppure, nelle udienze di gennaio e febbraio, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, il boss aveva anticipato rivelazioni sconvolgenti: “Vi dirò dov’è l’agenda rossa di Borsellino e chi ha fatto l’attentato al poliziotto Agostino e la moglie”. Ma non solo: prima aveva parlato genericamente di “imprenditori del Nord” e poi ha fatto il nome di Berlusconi che avrebbe incontrato tre volte a Milano mentre era latitante: “Negli anni ’70 mio nonno aveva messo i soldi nell’edilizia al Nord. Il contatto è col signor Berlusconi, glielo dico subito”.
E ancora: “Vada ad indagare sul mio arresto e sull’arresto di mio fratello Filippo – aveva detto sempre al pm Lombardo – e scoprirà i veri mandanti delle stragi”. Tutto, in sostanza, lasciava intendere non solo che Graviano con quelle frasi stesse lanciando precisi messaggi all’esterno, ma anche che volesse continuare a parlare su una delle stagioni più buie dello Stato italiano. Chi sa il linguaggio mafioso, però, ha compreso subito che, sin dall’inizio della sua deposizione, l’intenzione del boss di Brancaccio non è stata mai quella di collaborare con la magistratura. Anzi, alla domanda postagli a gennaio dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo (“Lei ci vuole dire oggi chi sono i responsabili delle stragi?”), “Madre natura” ha precisato: “Io non faccio l’investigatore”.

Tornando all’udienza di oggi, quindi, l’attesa per le nuove dichiarazioni di Graviano rimarrà tale. Il perché lo si deve interpretare dalle motivazioni che l’avvocato Aloisio ha fornito al presidente della Corte d’Assise Ornella Pastore: “Durante il corso dell’esame dovevano essere affrontati alcuni argomenti che comunque andavano anche in linea a quella che è l’ipotesi accusatoria – dice l’avvocato – L’obiettivo era quello di chiarire i rapporti tra alcuni soggetti, ma anche del Graviano stesso, con alcuni imprenditori. Ma vi era anche la volontà di andare a integrare quella che poteva essere la linea dell’ufficio (di Procura, ndr) per dare maggiore ampiezza al processo stesso con alcuni riferimenti che sono già emersi durante l’esame”.
“Siccome queste dichiarazioni del signor Graviano, – aggiunge il difensore del boss – a mio parere, dovevano essere riscontrate e il riscontro ce lo potevano dare soltanto alcuni collaboratori, non ultimi Mandalà e Spataro, su alcune domande non ci è stato permesso di approfondire alcuni temi”. Quali? “In particolare – conclude Aloisio – quando parliamo di Contorno. Avremmo voluto parlare dei rapporti di Contorno con alcuni imprenditori. Non ci è stata data la possibilità di poter andare ad accertare e integrare questi argomenti, la motivazione è questa: non c’è la possibilità di riscontrare le dichiarazioni del Graviano”. Secca la risposta della presidente della Corte d’Assise di Reggio Calabria Ornella Pastore: “Non ritengo assolutamente che sia stato compromesso il diritto di difesa”.