Virginia Raggi “è stata vittima dì un raggiro ordito dai fratelli Marra in suo danno”. E quando ha spiegato all’Anac che il ruolo del suo ex capo di gabinetto (Raffaele), “in relazione alla procedura per la nomina del fratello” (Renato), “era stato di mera pedissequa esecuzione delle determinazioni da lei assunte senza alcuna partecipazione alle fasi istruttorie, di valutazione e decisione”, ha detto una falsità ma solo per errore. Ossia interpretando male il senso della parola “istruttoria”, ragionando insomma da avvocato e non da amministratore. Sono queste in sostanza le motivazioni con le quali il giudice Roberto Ranazzi ha assolto la sindaca Raggi dall’accusa di falso perché il fatto non costituisce reato. In 324 pagine, il giudice spiega i motivi di questa decisione.
Raggi, dice, non sapeva nulla di ciò che avveniva alle sue spalle. Compresa la riunione del 26 ottobre 2016, “tenutasi informalmente presso l’ufficio di Marra Raffaele, ove sostanzialmente è maturata la domanda di Marra Renato alla nomina quale Direttore della Direzione Turismo e il parere favorevole dell’assessore Adriano Meloni, per la nomina medesima”. “Della riunione – continua il giudice – che si è rivelata determinante per la nomina del Marra Renato si tenne all’insaputa del Sindaco Raggi in cui Marra fece il nome del fratello in merito alla nomina”.

Nella nota inviata all’Anac, scrive il giudice, la Raggi “affermava testualmente che Marra aveva eseguito le determinazioni impartite ‘senza alcuna partecipazione alle fasi istruttorie, di valutazione e decisionali, peraltro a me affidate in via esclusiva dalla normativa vigente’. Tale affermazione- prosegue la sentenza – contrasta nettamente con la precedente descrizione dei compiti svolti dal Marra”. In sostanza, continua il giudice, “non v’è dubbio che sotto questo profilo la valutazione del Sindaco sia errata sul piano formale e su quello sostanziale.”
“La affermazione che il Marra non ha partecipato alla fase istruttoria dell’interpello per le nomine da dirigente amministrativo – continua  – non corrisponde alla realtà. Il contrasto tra la descrizione della attività svolta in concreto dal Marra Raffaele nel procedimento di interpello e la sua definizione come non di natura istruttoria, appare dunque stridente, in quanto la prima smentisce la seconda. L’imputata, in sede di esame, si è resa conto della contraddizione e l’ha spiegata come una deformazione professionale, perché avrebbe ragionato da avvocato piuttosto che da Amministratore. In sostanza l’imputata avrebbe errato sulla nozione di ‘attività istruttoria’, ritenendo tale soltanto quella che venisse accompagnala dall’esercizio di un potere autonomo e discrezionale”.

Se quindi “il Sindaco Raggi affermando che Marra Raffaele non ha partecipato alla fase istruttoria, ha effettuato una valutazione non richiesta e ed errata”, appaiono secondo il giudice “corrispondenti al vero le ulteriori valutazioni del sindaco Raggi, anch’esse non richieste, secondo cui il Marra Raffale non avrebbe partecipato alla valutazione delle domande e dei curricula e alla decisione sulle nomine”.
Non solo. Secondo il giudice manca anche il movente del presunto falso. “Il reato di falso – scrive Ranazzi – sempre o quasi sempre si associa ad altro reato, di cui ne costituisce il mezzo, lo strumento. (…) La assenza di un fine illecito per il reato contestato alla Raggi, è stato un limite per l’ipotesi accusatoria, che non potendo sostenere che il falso era finalizzato ad agevolare l’abuso d’ufficio di Marra, dato che ne aveva chiesto l’archiviazione per mancanza dell’elemento soggettivo, ha cercato altrove il movente, dapprima nel rapporto dì amiciziacon quest’ultimo, ma anche in questo caso avrebbe dovuto ritenere sussistente l’ipotesi di concorso in abuso d’ufficio, e in un secondo momento, in sede di requisitoria (quasi improvvisando), addirittura nello scopo di evitare di essere indagata come complice del Marra e di essere quindi costretta a dare le dimissioni dal Movimento 5 Stelle, e, in ultima analisi, dalla carica di Sindaco di Roma”.

Per il giudice il movente che faceva capo al codice etico dei 5stelle viene smentito anche da un post sul blog dei 5stelle in cui si dice che non “esisteva alcun automatismo ma un meccanismo che comportava una valutazione caso per caso”. Inoltre, aggiunge, “Non può ritenersi che il movente per l’imputata fosse lo scopo di tutelare Marra Raffaele da uno ‘scandalo, perché, come si legge nelle varie chat e negli sms di epoca anteriore, il Sindaco Raggi era ben consapevole delle critiche e delle accuse che venivano mosse a Marra Raffaele (per fatti antecedenti alla Giunta Raggi), e quindi a lei stessa, (…) già gli aveva tolto l’incarico di Vice Capo di Gabinetto vicario e lo aveva ‘spostato’ a Direttore dell’ufficio Risorse Umane, incarico sicuramente meno prestigioso, meno remunerato, di natura amministrativa e non di carattere politico”. In definitiva, quindi, secondo il giudice “appare certo che l’imputata non avessealcun interesse a tutelare la persona né la figura di Raffaele Marra”.