“ERANO LÌ QUANDO MARTINA È CADUTA” – A QUASI 8 ANNI DALLA MORTE DI MARTINA ROSSI A PALMA DI MAIORCA LA PROCURA DI AREZZO CHIUDE LE INDAGINI E CHIEDE 7 ANNI DI CONDANNA PER I DUE RAGAZZI CHE TENTARONO UN APPROCCIO SESSUALE SULLA RAGAZZA. PER CERCARE DI SCAPPARE, È PRECIPITATA DAL SESTO PIANO – IL VIDEO CHE LI INCASTRA
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1 – OMICIDIO DI MARTINA ROSSI, ECCO IL VIDEO CHE INCASTRA I SUOI AMICI
Sembrava che la sua morte fosse dovuta a un terribile incidente e invece Martina Rossi, ventenne di Genova, che era precipitata dal balcone di un hotel di Palma di Maiorca nell’agosto del 2011, stava scappando da due «amici» che volevano violentarla. Pochi giorni fa la procura di Arezzo ha chiuso le indagini e la trasmissione «Chi l’ha visto» di Rai3 ha diffuso il video ripreso negli uffici della questura in cui i suoi amici Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi esultano perché l’autopsia sul corpo della ragazza non aveva trovato segni di violenza sessuale.
2 – "QUANDO MARTINA È CADUTA ERANO LÌ IN DUE": PERCHÉ IL PROCURATORE CHIEDE 7 ANNI DI CONDANNA
Salvatore Mannino per “la Nazione – Arezzo”
Martina è morta per colpa loro. Non ha dubbi il procuratore capo di Arezzo Roberto Rossi, non ha dubbi nel puntare il dito (e la scure di una richiesta pesante) contro i due ragazzi di Castiglion Fibocchi, paese a due passi dal capoluogo, che avrebbero provocato la morte della studentessa genovese mentre fuggiva da un loro tentativo di violenza sessuale.
Nell’alba tragica del 3 agosto 2011, a Palma di Maiorca, con un volo terribile dal sesto piano dell’hotel in cui tutti stavano trascorrendo le vacanze. «Condannateli a sette anni», conclude Rossi nella sua requisitoria stringata (un’ora e mezzo) ma densa di fatti e circostanze: tre anni per la morte come conseguenza di altro reato che poi altro non sarebbe se non il tentato stupro di gruppo, per il quale il Pm chiede altri quattro anni.
Lo scenario che il magistrato delinea è praticamente all’opposto di quanto Alessandro Albertoni, campione di motocross, e l’amico Luca Vanneschi, hanno raccontato nel corso dell’indagine spagnola e poi agli albori dell’inchiesta italiana avviata dalla procura di Genova, prima di chiudersi in un silenzio mai più rotto. Fino al punto che al processo non si sono mai fatti vivi.
Mentre loro hanno sempre parlato di una Martina (Rossi il cognome, studentessa di architettura a Milano, 20 anni al momento della morte) che improvvisamente impazzita si butta dalla finestra, con il solo Vanneschi presente perché Albertoni è sceso a chiedere aiuto alle amiche di lei, il procuratore descrive tutt’altra scena. La comitiva, della quale fanno parte quattro giovani di Castiglion Fibocchi e tre ragazze genovesi, si divide al ritorno da una notte in discoteca.
Si formano due coppie che si fermano ad amoreggiare nella stanza d’hotel al primo piano, mentre Martina, Alessandro e Luca salgono al sesto. Qui, ipotizza Rossi, gli accusati tentanto un approccio sessuale, lei rifiuta, loro provano con la forza, sfilandole i pantaloncini, tanto che Martina precipiterà in mutandine. La ragazza reagisce graffiando Albertoni (segni che lui spiega con l’aggressione da follia improvvisa), poi, sempre secondo il Pm, cerca di scappare dal terrazzo verso la stanza a fianco, ma miope com’è e senza occhiali, nella concitazione del momento cade giù.
Gli indizi di questa ricostruzione che il procuratore descrive come «gravi, precisi e concordanti»? Non solo il cadavere seminudo (e Martina «non era tipo da mettersi così dinanzi a sconosciuti»), non solo i graffi, non solo la caduta a candela, quindi senza lo slancio di una che si butta, ma anche la testimonianza dei vicini di camera, padre e figlia danese che hanno testimoniato in videoconferenza.
Loro raccontano di un urlo (la ragazza che precipita, dice il procuratore) e poi di passi precipitosi per le scale di uno uscito dalla stanza. Per Rossi era Albertoni, perché Vanneschi, per racconto unanime scese con l’ascensore, e questo sarebbe l’indizio che ha mentito dicendo che era sceso prima della caduta: «Si è precostituito l’alibi anche ai danni dell’amico», accusa il Pm. Poi, in pochi attimi, si improvvisa la messa in scena.
Alessandro bussa alla porta delle amiche simulando l’impazzimento, Luca scende con più calma a dire che lei si è buttata. Le compagne lì per lì ci credono e ci crede anche la polizia spagnola che fa solo «indagini superficiali per non danneggiare l’immagine turistica di una capitale delle vacanze». Il procuratore getta fiumi di vetriolo sullo scenario del suicidio su cui hanno puntato tutto gli avvocati difensori: è vero che Martina aveva avuto una crisi di depressione un paio di anni prima ma era acqua del passato, tutti la descrivono (e lo diranno poi anche i legali di parte civile dei genitori) come una ragazza solare e piena di vita: che ragione aveva di suicidarsi?
Alla fine, il commento del padre Bruno Rossi, che con la moglie Franca si è battuto per anni perché si facesse il processo in Italia e si restituisse giustizia alla figlia: «Sono sconvolto dall’indifferenza mostrata da questi ragazzi, se avessero visto morire un gatto si sarebbero preoccupati di più. La pena? Non mi importa, voglio che una madre abbia la verità». Arriverà, qualunque sia, prima di Natale. La sentenza è ormai questione di giorni.
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