GENOVA 2018
Strage di Genova, la sicurezza delle autostrade affidata a un laureato in scienze politiche
Le falle nei controlli: il capo della vigilanza del ministro Toninelli non ha competenze ingegneristiche. La componente dell'Autorità dei trasporti non ha superato un concorso pubblico. E dalle macerie emergono gli stessi giunti del ponte crollato in Brianza nel 2016
Il capo della vigilanza del ministero sulla sicurezza delle autostrade? È laureato con lode, ma in scienze politiche. L'Autorità di regolazione dei trasporti? Uno dei due componenti che affiancano il presidente è talmente bravo che ha ottenuto l'incarico senza aver mai superato un concorso pubblico. Il crollo del ponte Morandi, avvenuto martedì 14 agosto, con almeno 39 morti e numerose persone ancora disperse, alza un velo non soltanto sulla gestione della rete viaria: anche il sistema di controllo che lo Stato deve garantire ha le sue crepe.
Sulle cause del disastro, le ipotesi ora non riguardano soltanto il possibile cedimento degli stralli, i tiranti di ferro e calcestruzzo precompresso che sostenevano il piano stradale. Come L'Espresso ha potuto verificare, due parti importanti precipitate sul fondovalle erano collegate con il resto del viadotto da quattro "seggiole Gerber": lo stesso tipo di giunto la cui usura, insieme con il sovraccarico per il passaggio di un Tir, ha contribuito al crollo del ponte sulla superstrada Milano-Lecco ad Annone in Brianza il 28 ottobre 2016.
«Lo schema a travatura Gerber», spiega Sergio Tattoni, professore al Politecnico di Milano, in uno studio per il Centro internazionale di aggiornamento sperimentale, «ha trovato molto favore nella costruzione dei ponti poiché consentiva di abbinare i vantaggi delle travature continue a quelli delle strutture isostatiche. La percolazione di acqua arricchita di agenti corrosivi, residui di combustione dei veicoli, sale anticongelante, oltre all'ossidazione della armature provoca un'alterazione chimica della pasta cementizia e la sua disgregazione».
Due dei piani di autostrada caduti, da una parte e dall'altra del "traliccio" centrale crollato, erano appoggiati su mensole di cemento armato che per la corrosione tendono ad arrotondarsi e quindi a diventare meno resistenti al carico. «La caduta improvvisa di uno di questi piani», spiega un tecnico del ministero delle Infrastrutture, «potrebbe aver provocato uno sbilanciamento e un contraccolpo a tutto il viadotto, con il conseguente cedimento degli stralli e il crollo dell'intera antenna centrale del ponte».
Questo dettaglio potrebbe spiegare la dinamica del collasso, avvenuta in almeno due fasi. All'inizio del video ripreso da un abitante del quartiere si vede infatti che almeno uno dei tratti sostenuto con "seggiole" Gerber è già caduto mentre la struttura di supporto è ancora in piedi e proprio in quel momento collassa. L'inchiesta stabilirà se si è rotto prima uno strallo oppure se è ceduto uno dei giunti. La risposta è piuttosto importante: perché non esistono in Italia altri ponti con stralli a calcestruzzo precompresso, ma migliaia di viadotti si reggono invece su "seggiole" Gerber.
Un altro aspetto su cui stanno cominciando a indagare gli investigatori, coordinati dalla Procura di Genova, è la concomitanza tra la proroga dal 2038 al 2042 della concessione alla società “Autostrade per l'Italia”, avvenuta il 27 aprile di quest'anno con il via libera della Commissione europea, e la pubblicazione appena sei giorni dopo, il 3 maggio, dell'avviso della gara d'appalto per venti milioni per «interventi di retrofitting strutturale del viadotto». L'indagine verificherà se importanti lavori di manutenzione, che avrebbero dovuto rinforzare proprio gli stralli del tratto ora crollato, sono stati rinviati per fare pressione sulle autorità e ottenere così la proroga della concessione. Con una sottovalutazione del pericolo, che ha portato al disastro. Le procedure di appalto sono tuttora in corso. Ma ormai drammaticamente inutili.
L'attenzione in queste ore riguarda anche le presunte falle nella sorveglianza da parte del ministero delle Infrastrutture, che avrebbe dovuto monitorare l'obbligo della società "Autostrade per l'Italia" nel garantire manutenzioni e sicurezza. Nessuna illegalità, ovviamente. Ma il 14 agosto 2017, per sostituire l'architetto Mauro Coletta al vertice della Direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali, la scelta dell'allora ministro per la Semplificazione, Maria Anna Madia, è caduta su Vincenzo Cinelli, 60 anni, laureato con lode in scienze politiche: con successiva specializzazione alla Scuola superiore della pubblica amministrazione, diploma di consulente legislativo conseguito all'Istituto per la documentazione e gli studi legislativi e un master su "Il codice dei contratti sui lavori pubblici, servizi e forniture". Un'eccellente preparazione amministrativa, con cui però l'attuale capo degli ispettori del ministro Danilo Toninelli deve coordinare anche: la "vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione»; «l'approvazione dei progetti relativi ai lavori inerenti la rete stradale e autostradale di interesse nazionale»; «la proposta di programmazione... del progressivo miglioramento e adeguamento delle autostrade in concessione»; e soprattutto la «vigilanza sull'adozione, da parte dei concessionari, dei provvedimenti ritenuti necessari ai fini della sicurezza del traffico autostradale». Si tratta ovviamente di competenze strettamente ingegneristiche.
Barbara Marinali fino al 16 settembre 2013 è stata invece direttore generale della "Direzione generale per le infrastrutture stradali" del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. Sue competenze: la regolazione del settore autostradale, la disciplina delle concessioni e delle convenzioni autostradali e la relativa regolazione tariffaria. Dal 2013, su proposta del presidente del Consiglio e su nomina del presidente della Repubblica, è uno dei componenti dell'Autorità di regolazione dei trasporti. L'organismo si occupa anche di autostrade: stabilisce i sistemi tariffari dei pedaggi, definisce gli schemi di concessione da inserire nei bandi di gara relativi alle gestione e costruzione e gli ambiti ottimali di gestione delle tratte. Insomma, tra le altre cose, fa in modo che le società private accantonino anche le risorse per le manutenzioni. Ma secondo una segnalazione al presidente dell'Autorità, Andrea Camanzi, nessun concorso pubblico, come accade per tutti gli altri dirigenti di Stato immessi in ruolo, ha mai verificato le indiscusse capacità di Barbara Marinali.
Una svista sfuggita allo staff dell'allora ministro Renato Brunetta che l'ha promossa senza concorso; più volte non notata dalla Corte dei conti che ha approvato i suoi aumenti di stipendio; e per due volte sopravvissuta perfino allo scrupolo del Quirinale che l'ha poi nominata all'Autorità. Nemmeno alla presidenza del Consiglio se ne sono accorti, quando l'hanno proposta: nonostante un parere, sollecitato dal sottosegretario Antonio Catricalà, avesse messo in dubbio la legittimità del decreto 400 del 2011 con cui il direttore generale del ministero delle Infrastrutture, Alberto Migliorini, aveva inserito la Marinali nel ruolo dirigenti di prima fascia. Dal decreto risultava infatti che fosse già dirigente di seconda fascia all'Antitrust, l'amministrazione di provenienza: dove invece era soltanto una dipendente.
L'Espresso si è già occupato della vicenda nel 2016 e Barbara Marinali aveva risposto così: «Sono stata nominata all’Autorità all’esito di un procedimento che ha visto il coinvolgimento delle competenti commissioni parlamentari... Sono prescritte indiscussa moralità e indipendenza e comprovata professionalità e competenza, requisiti che mi pare trovino conferma sia nel mio curriculum, sia nell’apprezzamento bipartisan a seguito dell’indicazione dei governi Monti e Letta. Per quanto attiene all’immissione nei ruoli del ministero... l’approfondita istruttoria non ha rilevato alcun elemento tale da mettere in discussione il conferimento degli incarichi dirigenziali». Sarebbe bastato rispondere con gli estremi e la data del concorso. Ma al presidente Camanzi evidentemente va bene così. Nessuna autorità controlla l'Autorità.
Sulle cause del disastro, le ipotesi ora non riguardano soltanto il possibile cedimento degli stralli, i tiranti di ferro e calcestruzzo precompresso che sostenevano il piano stradale. Come L'Espresso ha potuto verificare, due parti importanti precipitate sul fondovalle erano collegate con il resto del viadotto da quattro "seggiole Gerber": lo stesso tipo di giunto la cui usura, insieme con il sovraccarico per il passaggio di un Tir, ha contribuito al crollo del ponte sulla superstrada Milano-Lecco ad Annone in Brianza il 28 ottobre 2016.
«Lo schema a travatura Gerber», spiega Sergio Tattoni, professore al Politecnico di Milano, in uno studio per il Centro internazionale di aggiornamento sperimentale, «ha trovato molto favore nella costruzione dei ponti poiché consentiva di abbinare i vantaggi delle travature continue a quelli delle strutture isostatiche. La percolazione di acqua arricchita di agenti corrosivi, residui di combustione dei veicoli, sale anticongelante, oltre all'ossidazione della armature provoca un'alterazione chimica della pasta cementizia e la sua disgregazione».
Due dei piani di autostrada caduti, da una parte e dall'altra del "traliccio" centrale crollato, erano appoggiati su mensole di cemento armato che per la corrosione tendono ad arrotondarsi e quindi a diventare meno resistenti al carico. «La caduta improvvisa di uno di questi piani», spiega un tecnico del ministero delle Infrastrutture, «potrebbe aver provocato uno sbilanciamento e un contraccolpo a tutto il viadotto, con il conseguente cedimento degli stralli e il crollo dell'intera antenna centrale del ponte».
Questo dettaglio potrebbe spiegare la dinamica del collasso, avvenuta in almeno due fasi. All'inizio del video ripreso da un abitante del quartiere si vede infatti che almeno uno dei tratti sostenuto con "seggiole" Gerber è già caduto mentre la struttura di supporto è ancora in piedi e proprio in quel momento collassa. L'inchiesta stabilirà se si è rotto prima uno strallo oppure se è ceduto uno dei giunti. La risposta è piuttosto importante: perché non esistono in Italia altri ponti con stralli a calcestruzzo precompresso, ma migliaia di viadotti si reggono invece su "seggiole" Gerber.
Un altro aspetto su cui stanno cominciando a indagare gli investigatori, coordinati dalla Procura di Genova, è la concomitanza tra la proroga dal 2038 al 2042 della concessione alla società “Autostrade per l'Italia”, avvenuta il 27 aprile di quest'anno con il via libera della Commissione europea, e la pubblicazione appena sei giorni dopo, il 3 maggio, dell'avviso della gara d'appalto per venti milioni per «interventi di retrofitting strutturale del viadotto». L'indagine verificherà se importanti lavori di manutenzione, che avrebbero dovuto rinforzare proprio gli stralli del tratto ora crollato, sono stati rinviati per fare pressione sulle autorità e ottenere così la proroga della concessione. Con una sottovalutazione del pericolo, che ha portato al disastro. Le procedure di appalto sono tuttora in corso. Ma ormai drammaticamente inutili.
L'attenzione in queste ore riguarda anche le presunte falle nella sorveglianza da parte del ministero delle Infrastrutture, che avrebbe dovuto monitorare l'obbligo della società "Autostrade per l'Italia" nel garantire manutenzioni e sicurezza. Nessuna illegalità, ovviamente. Ma il 14 agosto 2017, per sostituire l'architetto Mauro Coletta al vertice della Direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali, la scelta dell'allora ministro per la Semplificazione, Maria Anna Madia, è caduta su Vincenzo Cinelli, 60 anni, laureato con lode in scienze politiche: con successiva specializzazione alla Scuola superiore della pubblica amministrazione, diploma di consulente legislativo conseguito all'Istituto per la documentazione e gli studi legislativi e un master su "Il codice dei contratti sui lavori pubblici, servizi e forniture". Un'eccellente preparazione amministrativa, con cui però l'attuale capo degli ispettori del ministro Danilo Toninelli deve coordinare anche: la "vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione»; «l'approvazione dei progetti relativi ai lavori inerenti la rete stradale e autostradale di interesse nazionale»; «la proposta di programmazione... del progressivo miglioramento e adeguamento delle autostrade in concessione»; e soprattutto la «vigilanza sull'adozione, da parte dei concessionari, dei provvedimenti ritenuti necessari ai fini della sicurezza del traffico autostradale». Si tratta ovviamente di competenze strettamente ingegneristiche.
Barbara Marinali fino al 16 settembre 2013 è stata invece direttore generale della "Direzione generale per le infrastrutture stradali" del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. Sue competenze: la regolazione del settore autostradale, la disciplina delle concessioni e delle convenzioni autostradali e la relativa regolazione tariffaria. Dal 2013, su proposta del presidente del Consiglio e su nomina del presidente della Repubblica, è uno dei componenti dell'Autorità di regolazione dei trasporti. L'organismo si occupa anche di autostrade: stabilisce i sistemi tariffari dei pedaggi, definisce gli schemi di concessione da inserire nei bandi di gara relativi alle gestione e costruzione e gli ambiti ottimali di gestione delle tratte. Insomma, tra le altre cose, fa in modo che le società private accantonino anche le risorse per le manutenzioni. Ma secondo una segnalazione al presidente dell'Autorità, Andrea Camanzi, nessun concorso pubblico, come accade per tutti gli altri dirigenti di Stato immessi in ruolo, ha mai verificato le indiscusse capacità di Barbara Marinali.
Una svista sfuggita allo staff dell'allora ministro Renato Brunetta che l'ha promossa senza concorso; più volte non notata dalla Corte dei conti che ha approvato i suoi aumenti di stipendio; e per due volte sopravvissuta perfino allo scrupolo del Quirinale che l'ha poi nominata all'Autorità. Nemmeno alla presidenza del Consiglio se ne sono accorti, quando l'hanno proposta: nonostante un parere, sollecitato dal sottosegretario Antonio Catricalà, avesse messo in dubbio la legittimità del decreto 400 del 2011 con cui il direttore generale del ministero delle Infrastrutture, Alberto Migliorini, aveva inserito la Marinali nel ruolo dirigenti di prima fascia. Dal decreto risultava infatti che fosse già dirigente di seconda fascia all'Antitrust, l'amministrazione di provenienza: dove invece era soltanto una dipendente.
L'Espresso si è già occupato della vicenda nel 2016 e Barbara Marinali aveva risposto così: «Sono stata nominata all’Autorità all’esito di un procedimento che ha visto il coinvolgimento delle competenti commissioni parlamentari... Sono prescritte indiscussa moralità e indipendenza e comprovata professionalità e competenza, requisiti che mi pare trovino conferma sia nel mio curriculum, sia nell’apprezzamento bipartisan a seguito dell’indicazione dei governi Monti e Letta. Per quanto attiene all’immissione nei ruoli del ministero... l’approfondita istruttoria non ha rilevato alcun elemento tale da mettere in discussione il conferimento degli incarichi dirigenziali». Sarebbe bastato rispondere con gli estremi e la data del concorso. Ma al presidente Camanzi evidentemente va bene così. Nessuna autorità controlla l'Autorità.
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