Insieme alle grottesche ricevute Telepass di cui vi ho raccontato ieri, “incrociate” con prelievi bancari scelti ad capocchiam tra innumerevoli altri identici, e senza nessuna coincidenza temporale plausibile, Angelini tira fuori l’ennesimo colpo di teatro. Una serie di foto, che raffigurano una mazzetta di denaro nelle sue mani; poi l’immagine sfocata di una persona indistinguibile che il suo fedele autista testimonierà essere lo stesso Angelini, con una innocua busta con i manici, tipo profumeria, sul vialetto di casa Del Turco; poi, quando è ormai buio pesto, una foto – sempre nelle mani di Angelini – di una busta un po’ stracciata piena di mele e castagne.

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Premesso che mai Del Turco ha negato di avere ricevuto in quegli anni Angelini a casa sua quattro o cinque volte, come decine e decine di altre persone che volevano incontrarlo, questa roba qui è stata considerata – anche in Appello – la prova, indiretta ma certa, di una dazione di denaro ad Ottaviano. Ciò si pretenderebbe di desumere dalla successiva foto con le mele, inserite dal vorace Del Turco nella stessa busta (dicono in un primo momento Angelini ed il suo fido autista) che all’ingresso conteneva i soldi, «per non insospettire l’autista», qualunque cosa ciò possa mai significare, visto che secondo l’accusa di Angelini a quella data l’autista lo aveva accompagnato per la medesima operazione almeno altre venti volte. Ottaviano si preoccupa improvvisamente di non insospettire l’autista, tornando il suo datore di lavoro alla macchina senza la busta con la quale era entrato (e chissà mai perché dovrebbe immaginare che l’autista ne sospetti il contenuto illecito!), e pretende che Angelini la riporti con sé, piena di mele e castagne.

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E questa surreale, insensata messinscena lui la pretende proprio nel giorno, esattamente nel giorno in cui Angelini, esasperato, aveva deciso per la prima volta di documentare la dazione! So che stentate a credermi, ma la storia è questa, e non vi siete ancora goduti il meglio. Proiettata la foto in udienza, perfino il Tribunale deve prendere atto che la busta con le mele è diversa da quella che avrebbe contenuto i soldi!! Dunque la messinscena raccontata dal nostro accusatore perderebbe ogni residua briciola di sensatezza, giusto? Non per i giudici di questa Repubblica.

Anche la Corte di Appello, che demolirà i quattro quinti delle accuse ritenute provate in primo grado, manterrà la residua condanna agganciata a questa follia. E la Corte di Cassazione, che a sua volta annullerà anche il capo di associazione per delinquere che la Corte di Appello aveva incomprensibilmente mantenuto in vita, dirà: non siamo giudici di merito, non entriamo nella dinamica del fatto, ma questa è l’unica dazione rispetto alla quale vi è un principio di prova (le foto ed il racconto dell’autista) e quindi questo residuo brandello della vicenda lo dobbiamo salvare. Non vi tedio sul tema della falsa datazione di quelle foto, perché è oggi oggetto del nostro ricorso per revisione. Ma quando vi raccontano che comunque Ottaviano Del Turco è stato condannato in via definitiva e dunque è un corrotto conclamato, è giusto che sappiate di cosa stiamo parlando.

Ricapitoliamo: in primo grado il Tribunale di Pescara ritiene tutte le accuse fondate, corregge solo la qualificazione giuridica (Angelini non fu concusso da Del Turco, ma lo corruppe; nel frattempo per lui, Angelini, il reato si è prescritto visto che mai era stato iscritto fino ad allora come corruttore, mannaggia, peccato, ci dispiace tanto). Il poderoso sviamento della attività amministrativa in suo favore, descritto dalla miriade di reati di falso, omissione, abusi eccetera è altresì pienamente provato; ed anzi – siate attenti – il Tribunale di Pescara imprudentemente afferma che «tale accertata generale condizione di illegalità [costituisce] il più significativo riscontro dell’attendibilità dell’Angelini». Dieci anni di reclusione. A nulla è valsa nemmeno la prova certa in atti, della assenza di ogni traccia di anche un solo euro non tracciato, nel patrimonio di Ottaviano.

«È esatto dire che non avete riscontrato né un euro, né la traccia di un euro che non avesse una giustificazione su risorse finanziare pregresse ai fatti che interessano questo processo?», chiedo in udienza al Colonnello Favia della Guardia di Finanza. «Sostanzialmente è giusto», è la sua risposta. Lo stesso vale per l’acquisto di alcuni immobili, per i quali si accerta che Del Turco disinveste risparmi ventennali, e addirittura vende due quadri, condotta semplicemente inspiegabile se fosse vero che in quegli stessi momenti, egli avesse le tasche piene di milioni di euro in contanti. Ed invece, solo per darvi un assaggio della serenità di giudizio del giudice di primo grado, ecco come se la cava il Tribunale: «Gli acquisti, pur compatibili con la condizione patrimoniale complessiva dell’imputato, si collocano in periodi immediatamente successivi» ad alcune della dazioni contestate «sicché ben può ritenersi che l’imputato non si sia preoccupato di procurarsi per tempo le provviste necessarie all’acquisto degli appartamenti, potendo contare in caso di estremo urgente bisogno, sul denaro che l’Angelini illecitamente gli aveva consegnato». Devo aggiungere altro, sulla sentenza di primo grado? Credo proprio di no, sebbene avrei da raccontarvi decine di altri simili aneddoti, soprattutto descrittivi della atmosfera incredibile nella quale si è celebrato quel processo.

Senonché, la Corte di Appello de L’Aquila, in accoglimento di larga parte del nostro appello, ci assolve – e con noi i nostri coimputati – da quasi tutte (21!) le fantomatiche tangenti, facendo salve quelle in qualche modo riferibili alle leggendarie foto delle mele. Da sei milioni e trecentomila euro, ora ne avremmo invece presi ottocentomila. Ma soprattutto, ci assolve (per insussistenza dei fatti) da tutti – tutti – i reati che avremmo commesso per favorire Angelini in cambio del denaro. Tutti. La Giunta Del Turco, ammette ora la Corte, non ha mai sviato l’amministrazione della sanità Regionale in favore di nessuno (anzi, ad Angelini, il favorito, ha decurtato 68 milioni di euro!). E quindi, questa associazione per delinquere si sarebbe costituita intorno a quale obiettivo? Non si sa. Di far soldi con qualche pollo da spennare, “cogliendo l’occasione” propizia derivante comunque dalla forza intimidatrice del potere esercitato.

E Angelini perché darà del denaro a chi gli ha decurtato 68 milioni di euro? Boh. La Corte di Cassazione annullerà poi anche la associazione per delinquere (il fatto non sussiste, sancirà definitivamente il giudice di rinvio), salvando solo, come ho detto, le dazioni riconducibili alla tragicomica storia delle foto. Così si impicca un uomo ad un errore giudiziario, quando esso è troppo, davvero troppo grande per poter essere interamente ammesso e riconosciuto dal sistema; che si autoprotegge, per quanto possibile.

Hai arrestato il Presidente di una Regione democraticamente eletto, e mezza sua Giunta; hai interrotto il corso democratico di una istituzione elettiva; hai coperto di ignominia uomini pubblici e le loro famiglie. Tutto questo sul nulla: in questa Italia divenuta orgogliosamente patria della forca e del linciaggio, ci vogliono non dei giudici, ma degli eroi che abbiano la forza di sancire che fu tutto un enorme, grossolano, imperdonabile “errore” giudiziario. Nella vicenda giudiziaria di Del Turco, questo di fatto è stato ammesso, ma salvando un pezzettino di quella indecenza, giusto un pezzettino, al quale chi ne fu responsabile possa aggrapparsi.

Ora, caro Ottaviano, mentre noi proviamo a combattere l’ultima battaglia per la revisione di quella infamia che ti ha piegato e piagato, tu non sei più in grado nemmeno di comprendere questa ennesima, ultima umiliazione che uno Stato ottusamente feroce e protervo ti sta infliggendo: la revoca della tua pensione di parlamentare della Repubblica. Tu che sei Stato Ministro delle Finanze, Parlamentare italiano ed europeo, Presidente della Commissione Antimafia. Meglio così. Chissà quale delle tue amate tele stai immaginando di poter dipingere, finalmente in silenzio, finalmente in pace.