domenica 28 giugno 2020

                                                                     VIRUS 2020


ECCO PERCHE' BERGAMO E DINTORNI SONO STATI FALCIDIATI DAL COVID - "MOLTI IMPRENDITORI BERGAMASCHI TORNAVANO DA WUHAN E NON ANDAVANO IN QUARANTENA” - PARLA UN AUTISTA NCC: “QUANDO, CON IL LOCKDOWN, GLI AEROPORTI HANNO CHIUSO, SONO ANDATO A RECUPERARE I CLIENTI IN SVIZZERA, A ZURIGO, O A LUGANO PER I JET PRIVATI, E A NIZZA. POI IN MACCHINA FINO A BERGAMO” - NEGLI ULTIMI DIECI GIORNI DI FEBBRAIO NELLA PROVINCIA DI BERGAMO I CONTAGI S'IMPENNANO, A PARTIRE PROPRIO DA ALZANO E NEMBRO - L’INCHIESTA  

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wuhan il punto da cui e partito il contagio del nuovo coronavirusWUHAN IL PUNTO DA CUI E PARTITO IL CONTAGIO DEL NUOVO CORONAVIRUS
Paolo Berizzi per “la Repubblica”

Scandisce le parole con il tono di chi ha visto le cose e ne è rimasto impressionato. «Tra febbraio e marzo ho fatto 3mila e 700 chilometri. Ho preso imprenditori della Val Seriana di ritorno dalla Cina e li ho accompagnati dall'aeroporto a casa. Arrivavano a Orio al Serio, Linate, Malpensa. Quando, con il lockdown, gli aeroporti hanno chiuso, sono andato a recuperare i clienti in Svizzera - a Zurigo, o a Lugano per i jet privati - e a Nizza. Perché tanti clienti di rientro hanno dovuto volare su questi scali. Poi macchina fino a Bergamo».

BERGAMO - FOLLA ALLA CORSAROLABERGAMO - FOLLA ALLA CORSAROLA
Si ferma un attimo. Aggiunge: «Mi chiedevo - visto che presto si è capito che il coronavirus girava nella Bergamasca ben prima del 21 febbraio e che le aziende della Val Seriana hanno rapporti stretti con la Cina - perché queste persone, che tornavano da Pechino, Shanghai, Wuhan, Shenzhen, non venissero messe in quarantena. La stessa domanda se la sono fatta anche i miei colleghi».

M.C. è un autista privato: un Ncc. Fa questo mestiere da 30 anni. Ha un van da sette posti («Adesso, con il distanziamento, sono diventati quattro») e una berlina. Ma usa quasi sempre il primo. «La mia media è di 12 mila chilometri l'anno. L'80% del lavoro è sugli aeroporti. Tra i miei clienti fissi: imprenditori, uomini d'affari, dirigenti, personaggi pubblici. Anche famiglie e persone sole che vogliono essere accompagnate nelle seconde case».

Arrivo al cimitero di Cinisello delle salme portate da BergamoARRIVO AL CIMITERO DI CINISELLO DELLE SALME PORTATE DA BERGAMO
Il driver ha osservato e assistito alla strage orobica del Covid 19 (6mila morti, di cui 670 in città, ndr) da una prospettiva particolare: il suo posto di guida. «Non abbiamo mai smesso di lavorare». Già. Perché dalla chiusura decisa dal governo e entrata in vigore il 10 marzo era esentato anche il trasporto pubblico non di linea, taxi e Ncc. M.C. accetta di raccontare a Repubblica il suo lavoro di febbraio e di marzo: i due mesi durante i quali la falce del virus, nella Wuhan italiana con epicentro la Val Seriana, ha colpito più duro.

«Le aziende hanno continuato a lavorare fino al blocco delle attività non essenziali. Alcune hanno iniziato a rallentare già prima. Però per tutto febbraio ho trasportato clienti business. Tanti di ritorno dall'Oriente. Via Francoforte, Berlino, Monaco, Londra. Imprenditori della Val Seriana e che in valle abitano anche».

bergamo mortiBERGAMO MORTI
Gli ultimi dieci giorni di febbraio sono quelli che decidono i giochi sulla roulette del Covid 19: nella provincia di Bergamo i contagi s' impennano, a partire proprio da Alzano e Nembro, i due paesi che tra il 5 e l'8 marzo il governo era pronto a cinturare ma poi non se n'è più fatto nulla. «Ho iniziato a prendere precauzioni: sanificazione dell'auto, niente strette di mano, distanza per quanto possibile». Lo stupore dell'autista - per come lo descrive ora - non era solo riferito ai mancati "filtri" su imprenditori e uomini d'affari di rientro dalle aree da dove il coronavirus è partito.

PUNTATA DI REPORT SU BERGAMOPUNTATA DI REPORT SU BERGAMO
«Ho visto tantissimi studenti, Erasmus e non, che atterravano a Orio al Serio, accolti dalle famiglie al completo. Mamme, papà, fratelli, nonni. Baci e abbracci e zero controlli». Siamo ancora a febbraio. «Ho fatto 3mila chilometri in un mese ». Il 12 marzo il governo chiude 23 aeroporti italiani. Come cambia, a quel punto, il lavoro degli Ncc che caricano clienti per 90 centesimi a chilometro? «Nizza, Zurigo, Lugano. Molti si sono fatti venire a prendere lì. Anche al confine. Un'auto dall'aeroporto. Un'altra, la mia, dal confine. Hanno rivisto i piani di viaggio in base a divieti e chiusure».

Quanto hanno contribuito questi "ritorni" non mappati - un combinato aereo-auto Ncc - a diffondere il virus a febbraio nelle valli bergamasche? E che succede quando i contagi impazzano? Sono alcune delle domande a cui l'inchiesta aperta dalla procura di Bergamo dovrà trovare delle risposte. Mancata zona rossa, caos Rsa, la vicenda dell'ospedale di Alzano Lombardo.

coronavirus bergamoCORONAVIRUS BERGAMO
«A marzo - racconta M.C., che è stato convocato dagli inquirenti, sono già decine i lavoratori che hanno consegnato lo loro testimonianza per aiutare a far luce - ho iniziato ad accompagnare anche clienti Covid a Milano per fare esami». Anche qualche imprenditore di febbraio? «Può darsi». Il van scuro oggi ha una parete di plexiglass che separa l'autista dai clienti. «Sono stato tra i primi a mettere il sanificatore ad ozono. Il lavoro, con la crisi post covid, si è ridotto moltissimo. Oggi è il 5%. Ma se penso a chi non c'è più, ai loro familiari, e a cosa hanno passato i medici e gli infermieri, mi ritengo fortunato».

sabato 27 giugno 2020

                                                                     STRAGI





UNA STRAGE E MOLTI MISTERI - CI FU UNA VITTIMA IN PIÙ, IL 2 AGOSTO 1980 DOPO L’ATTENTATO ALLA STAZIONE DI BOLOGNA: UNA DONNA DI CUI RESTA SOLO UN LEMBO DEL VOLTO, CHE NON APPARTIENE A NESSUNA DELLE 85 VITTIME FIN QUI IDENTIFICATE E CHE SI TROVAVA VICINISSIMA ALL'ORDIGNO CHE DEVASTÒ LA STAZIONE - I SUOI RESTI, IN QUARANT' ANNI, NON SONO MAI STATI RECLAMATI: ERA LA PERSONA CHE TRASPORTAVA LA BOMBA? - LA VERSIONE DI COSSIGA NEL 2008: “FU UN'ESPLOSIONE ACCIDENTALE DI ESPLOSIVO TRASPORTATO DAI PALESTINESI”
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Aldo Cazzullo per “il Corriere della Sera”

I TERRORISTI DELLA PORTA ACCANTO - PIERO CORSINII TERRORISTI DELLA PORTA ACCANTO - PIERO CORSINI
Ci fu una vittima in più, il 2 agosto 1980 a Bologna: una donna di cui resta solo un lembo del volto, che non appartiene a nessuna delle 85 vittime fin qui identificate. Una donna senza nome, i cui resti, in quarant' anni, non sono mai stati reclamati, e che si trovava vicinissima all'ordigno che devastò la stazione .

È da questa scoperta, che viene dal lavoro dell'ex giudice Priore e dell'avvocato Cutonilli e dall'ultimo processo sulla strage, quello che il 9 gennaio scorso si è concluso con la condanna in primo grado di Gilberto Cavallini, che muove la nuova edizione de «I terroristi della porta accanto», il libro-inchiesta di Piero A. Corsini - già autore con Giovanni Minoli de «La Storia siamo noi» - che Newton Compton pubblica il 9 luglio, con le ultime notizie su uno dei grandi misteri d'Italia.

strage stazione bolognaSTRAGE STAZIONE BOLOGNA
La scoperta di questa nuova vittima riporta alla mente quello che Francesco Cossiga disse al Corriere nel 2008. Secondo Cossiga - al tempo presidente del Consiglio -, l'eccidio di Bologna fu dovuto all'esplosione accidentale di esplosivo trasportato dai palestinesi, che in virtù del «lodo Moro» in quegli anni si muovevano liberamente per il nostro Paese. Quei resti - si chiede Corsini - appartengono forse a chi doveva trasportare la bomba?
strage stazione bolognaSTRAGE STAZIONE BOLOGNA

Una tesi sempre duramente avversata dai magistrati bolognesi (i quali scrivono che il «lodo Moro» non è mai esistito) e dall'Associazione tra i familiari delle vittime, che restano convinti della colpevolezza di Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, condannati con sentenza definitiva quali esecutori materiali. Per questo si tratta di una materia da maneggiare con cura. Il libro di Corsini si muove con rispetto sia del lavoro della magistratura, sia del dolore dei familiari.
giuseppe valerio fioravanti e francesca mambroGIUSEPPE VALERIO FIORAVANTI E FRANCESCA MAMBRO

E, con questa premessa, racconta la vicenda di Fioravanti e Mambro, che continuano a dirsi innocenti. La loro storia è tra le più terribili di quegli anni spietati, in particolare di quella pagina del terrorismo nero conosciuta come «spontaneismo armato». Ma i nuovi capitoli del libro, con un lavoro capillare sugli atti e sui documenti, si concentrano soprattutto sulla strage del 2 agosto 1980.

È accertato, infatti, che quel giorno a Bologna c'era Thomas Kram, esperto tedesco di esplosivi e affiliato al gruppo Carlos; così come è noto che l'arresto, nel 1979, di un palestinese che trasportava missili insieme ad alcuni autonomi aveva irritato il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, che aveva ufficialmente chiesto la sua liberazione (e la restituzione dei missili) minacciando, in caso contrario, ritorsioni.
francesca mambro e giusva fioravantiFRANCESCA MAMBRO E GIUSVA FIORAVANTI

Una minaccia confermata da Stefano Giovannone, all'epoca capocentro dei servizi segreti militari a Beirut. Nel più classico stile del giornalismo investigativo, Corsini mette in fila i dubbi e gli interrogativi, elenca tutte le strane presenze che si affollavano alla stazione e si concentra, da ultimo, sulla misteriosa vicenda di Paolo Bellini, ennesimo indagato per la strage (in attesa della decisione del Gup di Bologna) che la moglie avrebbe riconosciuto nel filmato girato il 2 agosto da un turista su quella banchina, come ha scritto il Corriere qualche settimana fa.

strage alla stazione di bolognaSTRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA
Bellini, però, somiglia anche ad un giovane che, come lui, porta i baffi e indossa una maglietta celeste, e che subito dopo la strage è raffigurato nelle fotografie e nei filmati mentre presta soccorso alle vittime e ai superstiti: una novità dell'ultima ora che si deve ad altri due ricercatori, Pelizzaro e Paradisi, che mal si concilierebbe con l'ipotesi che fosse lui un altro esecutore materiale. Bellini, si è scoperto, ha alloggiato nel febbraio 1980 a Bologna, nello stesso albergo dove - per quella notte soltanto - ha dormito anche Thomas Kram. Solo una coincidenza? Così il libro, che intreccia cronaca e ricostruzione storica, indagine e introspezione psicologica, chiede una memoria di quel tempo che sia - è l'auspicio dell'autore -, se non condivisa, almeno «pacificata».
vittime della strage di bolognaVITTIME DELLA STRAGE DI BOLOGNAvalerio fioravanti francesca mambroVALERIO FIORAVANTI FRANCESCA MAMBROstrage alla stazione di bolognaSTRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNAcamera ardente vittime strage della stazione di bolognaCAMERA ARDENTE VITTIME STRAGE DELLA STAZIONE DI BOLOGNAstrage alla stazione di bolognaSTRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNAstrage alla stazione di bolognaSTRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNAstrage alla stazione di bolognaSTRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNAstrage alla stazione di bolognaSTRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNAstrage alla stazione di bolognaSTRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA
             
strage alla stazione di bologna 2 agosto 1980 3STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA 2 AGOSTO 1980 3strage alla stazione di bolognaSTRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNAstrage alla stazione di bolognaSTRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA

venerdì 26 giugno 2020

                                                                 USTICA 4O ANNI



ABBATTIAMO IL MURO DI GOMMA SU USTICA: “UN CACCIA NON IDENTIFICATO APPARVE SULLA SCENA CON UNA DELIBERATA MANOVRA D'ATTACCO DA OVEST. L'OBIETTIVO NON ERA L'AEREO CIVILE, MA…” 40 ANNI SENZA VERITÀ BY ANDREA PURGATORI - UNO SCENARIO DI GUERRA NEI CIELI DEL MEDITERRANEO. I CACCIA LIBICI IN SCIA AL DC9 PER NASCONDERSI AI RADAR, L'ESPLOSIONE, LE 81 VITTIME. E POI SEGRETI, MORTI MISTERIOSE, BUGIE (IL CEDIMENTO STRUTTURALE, LA BOMBA). C’E’ ANCORA UNA INCHIESTA APERTA
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ANDREA PURGATORI per il Corriere della Sera

usticaUSTICA
Raccontare la strage di Ustica dopo 40 anni, un tempo infinito per i familiari delle 81 vittime che dal 27 giugno del 1980 aspettano la verità, è un po' come fare la cronaca di una lunga e complessa corsa a ostacoli.

Serve la memoria, che conta ma non basta. E non soltanto perché alla Procura di Roma c'è tuttora una inchiesta aperta per stabilire cause e responsabilità dell'esplosione di quel DC9 che volava da Bologna a Palermo in un cielo limpido ma, al contrario di quello che per decenni si sono affannati a sostenere i vertici militari dell'epoca, affollato di caccia di molte nazioni: americani, francesi, britannici e naturalmente italiani.
gheddafiGHEDDAFI

E tutto questo in un Mediterraneo che allora era uno dei luoghi più pericolosi del pianeta. Dove si scaricavano fortissime tensioni internazionali tra i due blocchi, quello occidentale e quello sovietico, ma anche confronti tra nazioni. Ecco, è in questo contesto che va calata la storia della strage. In una stagione in cui l'Italia giocava su più tavoli, per interessi diversi.

Basta pensare alla Libia del colonnello Muammar Gheddafi, che all'epoca era considerato il nemico numero uno dell'Occidente come poi lo sarebbero diventati Saddam Hussein e Osama Bin Laden. Nel 1980, Gheddafi possedeva il 13 per cento delle azioni della nostra industria più importante: la Fiat. Ci garantiva quasi la metà dell'energia di cui il Paese aveva bisogno, tra petrolio e gas. E aveva accolto oltre ventimila lavoratori italiani, che costituivano la forza necessaria a costruire la grande Jamahiriya su cui il colonnello aveva fondato la propria ambizione di leader del mondo arabo. Potevano americani e francesi tollerare che l'Italia intrattenesse rapporti tanto ambigui con Gheddafi? Certamente, no.

itaviaITAVIA
E ce lo avevano detto esplicitamente. Il DC9 Itavia decolla dall'aeroporto di Bologna alle 20.08 con due ore di ritardo, a causa di un violento temporale. A bordo ci sono due piloti, due assistenti di volo e 77 passeggeri tra cui 13 bambini. La rotta prevede il sorvolo dell'Appennino, la discesa fino a Roma e poi l'ultima tratta lungo l'aerovia Ambra 13 fino a Palermo. Ma è proprio quando l'aereo si trova sull'Appennino che, secondo le perizie radaristiche, si verificano i primi due episodi sconcertanti di questa lunga storia.

Ivo Nutarelli e Mario NaldiniIVO NUTARELLI E MARIO NALDINI
Primo. Il DC9 viene agganciato da un altro velivolo, quasi certamente un caccia e forse un Mig libico (tre settimane dopo ne verrà «ufficialmente» rinvenuto uno precipitato sulla Sila), che si mette nella scia dell'aereo civile per nascondersi ai radar.

Secondo. Due intercettori F104 dello stormo dell'Aeronautica di Grosseto incrociano il DC9 e rientrano alla base segnalando un'emergenza come previsto dal manuale Nato: volando in modo triangolare sull'aeroporto mentre inviano segnali muti premendo il pulsante della radio. Sull'F104 che dà l'allarme ci sono i piloti Ivo Nutarelli e Mario Naldini. Hanno visto l'intruso? Sì, perché volavano «a vista». Ma non potranno mai raccontarlo. Prima di essere interrogati dal giudice Rosario Priore moriranno a Ramstein, in Germania, dove si scontreranno uno contro l'altro durante un'esibizione delle Frecce tricolori.
itavia 2ITAVIA 2

Intanto il DC9 continua sulla rotta verso Sud. E il controllo del traffico aereo di Ciampino lo segue. Ma la traccia è a zigzag, e i periti la interpreteranno come doppia, confermando la presenza del secondo velivolo sconosciuto. Fino al cielo sulle isole di Ponza e Ustica.

Dove pochi secondi prima delle 21 il copilota dice quell'ultima frase, completata da una nuova analisi compiuta da Rainews sulla registrazione del voice recorder: «Guarda cos' è...». Poi l'esplosione e il silenzio. Cosa è accaduto? Cosa hanno visto i piloti del DC9? Secondo i periti italiani e americani, la ricostruzione delle tracce radar indica che in quell'istante almeno un altro caccia non identificato appare sulla scena con una deliberata manovra d'attacco provenendo da Ovest. L'obiettivo non è ovviamente l'aereo civile, ma l'intruso che si nasconde.

itavia 1ITAVIA 1
Chi colpisce chi non lo sappiamo, ma sappiamo che in mezzo ai resti del DC9 che precipitano in mare l'intruso tenta la fuga, inseguito da due caccia che testimoni in punti diversi della Calabria vedono distintamente. La direzione è quella che porta al luogo nel quale verrà rinvenuto il Mig23 libico. E l'autopsia sul cadavere del pilota rivelerà che non è morto il 18 luglio, giorno del ritrovamento ufficiale ma tre settimane prima. Quindi, la sera del 27 giugno 1980.

Anche se quella relazione sparirà insieme a parti del corpo prelevate durante l'autopsia, a tutte le foto scattate e agli appunti che aveva con sé. Il resto, il resto di questi 40 anni, è una catena di silenzi o bugie che coprono ancora oggi il cuore di quello scenario di guerra.

STRAGE DI USTICASTRAGE DI USTICA
Silenzi o bugie (il cedimento strutturale, la bomba) italiane, francesi, americane e di tanti Paesi che insistono a non fornire ai magistrati ciò che sarebbe necessario a chiudere questa sporca partita. Ma caricare sulle spalle di chi indaga tutto il peso della ricerca della verità è un alibi.


purgatoriPURGATORI
Non potranno mai essere dei magistrati a bussare alla porta della Casa Bianca o dell'Eliseo, serve uno Stato che abbia voglia di fare i conti col proprio passato. Perché appunto la memoria e le commemorazioni non bastano. Né bastano i risarcimenti stabiliti dai tribunali che hanno condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti certificando che ad abbattere il DC9 fu un missile. Soprattutto se c'è in ballo il dolore di 81 famiglie e la loro sacrosanta pretesa di avere giustizia.
USTICAUSTICAIL FILM DI MARTINELLI SU USTICAIL FILM DI MARTINELLI SU USTICADC 9 USTICADC 9 USTICA

purgatoriPURGATORIIL FILM DI MARTINELLI SU USTICAIL FILM DI MARTINELLI SU USTIC

giovedì 25 giugno 2020

                                                               GIUSTIZIA


C’E’ PIÙ DI UN MISTERO SUL RUOLO DI EZIO MAURO NEL TRIANGOLO TRA L’EX PM ANTONINO INGROIA E L’ALLORA PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, NAPOLITANO, PER LA RICERCA DI UNA “SOLUZIONE” AL CONFLITTO D'ATTRIBUZIONE TRA PROCURA DI PALERMO E QUIRINALE EMERSO DURANTE IL PROCESSO SULLA TRATTATIVA STATO-MAFIA - LO STRANO RUOLO DI MEDIATORE DI MAURO, LE AMNESIE SU PALAMARA, LA RITROSIA A UN CONFRONTO…
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Antonio Amorosi per https://www.affaritaliani.it/

ingroiaINGROIA
Dopo l’intervista di ieri all’ex pm Antonio Ingroia abbiamo chiesto un’intervista anche all’ex direttore de La Repubblica Ezio Mauro. L’argomento è “l’incontro” avvenuto con Ingroia, nel quale, a detta dell’ex pm si sarebbe parlato di un presunto interessamento del Quirinale, guidato allora da Giorgio Napolitano, per “una soluzione” al conflitto d'attribuzione tra Procura di Palermo e Quirinale emerso durante il processo-procedimento sulla trattativa Stato-mafia. Il conflitto sarebbe insorto sulle intercettazioni tra lo stesso Napolitano e l'imputato nel processo ed ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. 

ezio mauroEZIO MAURO
Secondo i pm, l’ex ministro, insediatosi al Viminale nel 1992, sapeva della trattativa e avrebbe mentito sui rapporti tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra, intercorsi nei primi anni ’90. Mancino avrebbe fatto varie telefonate e tra queste anche al Quirinale, per sollecitare un intervento di Napolitano al fine di evitare un confronto con l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli. Il Presidente della Repubblica ritenne lese le proprie prerogative e la Consulta gli diede ragione. Gli audio con le conversazioni intercettate vennero poi distrutte con una procedura camerale. Mancino in seguito è stato assolto.

nicola mancino foto di baccoNICOLA MANCINO FOTO DI BACCO
L’incontro tra Mauro e Ingroia o i 2 incontri, come sostiene l’ex pm, si sarebbero tenuti nel 2012. Ezio Mauro ci ha ringraziato per l’interessamento ma ha preferito non farsi intervistare. “Avendo già risposto pochi giorni fa non ha altro da aggiungere sulla vicenda in questione”, ci ha scritto la segreteria di redazione de La Repubblica. Peccato non potergli fare delle domande. La questione non è risolta e restano non pochi dubbi sulle parole dell’ex direttore che dà risposte che si smontano da sole.

il presidente emerito giorgio napolitanoIL PRESIDENTE EMERITO GIORGIO NAPOLITANO
Mauro aveva reagito in precedenza al caso tramite l’agenzia Adnkronos sostenendo che fosse l’ex pm Ingroia a cercare “un canale di comunicazione con il Quirinale”. E che all’epoca non conoscesse Luca Palamara, uno dei possibili mediatori tra Quirinale e Procura di Palermo. Mauro: "Nessuno mi ha mai fatto il nome di Palamara, un nome che ho scoperto più tardi leggendo le cronache dei giornali e che al momento non conoscevo".

claudio martelliCLAUDIO MARTELLI
Ora non si comprende perché un procuratore aggiunto come Ingroia, che seguiva inchieste delicatissime, avesse bisogno del direttore de La Repubblica per contattare il Quirinale! E perché, se avesse voluto, vista anche la riservatezza della questione, doveva farlo sapere al direttore di un giornale, con il pericolo che la vicenda trapelasse. Va bene che il direttore di Repubblica è quasi un’istituzione in Italia ma doverlo contattare per parlare con il presidente della Repubblica sembra eccessivo!

Appare altrettanto difficile comprendere come Ezio Mauro non conoscesse, almeno di nome, Luca Palamara, in quel momento presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati. Palamara veniva continuamente intervistato da La Repubblica, tanto più viste le posizioni dello stesso magistrato contro Silvio Berlusconi e le campagne di Ezio Mauro contro il leader di Forza Italia. I due esprimevano lo stesso giudizio negativo. E’ possibile che Mauro non lo conoscesse? Che il direttore di Repubblica non avesse mai sentito il nome del capo dell’Associazione Nazionale magistrati quando appariva quasi tutti i giorni sul suo giornale?
luca palamaraLUCA PALAMARA

Ingroia ha riferito che quel conflitto tra Procura e Quirinale sia stato lo stop più grave a quell'indagine. “Perché”, a detta dell’ex magistrato, “ha costituito un esercizio di un potere legittimo che però è utilizzato come un avvertimento intimidatorio all'interno dello Stato”.

E’ un’ accusa, vero o falsa che sia, per quanto attribuita a terzi, molto grave. Il dubbio che ricade su questa vicenda pesa quanto le rivelazioni di Ingroia. “Le amnesie” dell’ex direttore Ezio Mauro o la sua ritrosia a un confronto le amplificano. Non è infatti d’altro canto compito dei giornalisti fare gli intermediari tra istituzioni anche se queste si chiamano presidente della Repubblica, tanto più su un caso che riguarda una trattativa, o presunta tale, tra Stato e mafia.

luca palamaraLUCA PALAMARA
“La magistratura è diventata, complessivamente, non tutta, come ha dimostrato la sentenza della Corte d'Assise di Palermo, ostile nei confronti di quell'indagine, di quella verità, di quelle persone fisiche”, ha detto Ingroia e sarebbe accaduto non solo nel ramo giudiziario, ma anche “negli ambienti politici e giornalistici nel quale, non solo il presidente Napolitano ma anche chi era attorno a lui, avrebbe fatto in modo di arrivare a quel conflitto di attribuzione”.

martedì 23 giugno 2020

                                                                 DONNE


E LA CHIAMATE GIUSTIZIA - GLI UOMINI CHE IL 29 GENNAIO DEL 2018 HANNO INCONTRATO PAMELA MASTROPIETRO ALLO SBANDO E INVECE DI AIUTARLA NE HANNO ABUSATO, LA FARANNO FRANCA - PER LORO NESSUN PROCESSO: MANCA LA QUERELA DELLA VITTIMA E QUINDI IL PROCEDIMENTO PENALE VA CHIUSO - LA RAGAZZA, CHE POI E’ STATA FATTA A PEZZI A MESSA IN UNA VALIGIA, AVEVA INCONTRATO UN 50ENNE DI MOGLIANO E UN TASSISTA DI ORIGINI ARGENTINE CHE…

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Adelaide Pierucci per “il Messaggero”

pamela mastropietroPAMELA MASTROPIETRO
Abusata due volte, il giorno prima di essere drogata, stuprata, ammazzata e fatta a pezzi da altri. Gli uomini che il 29 gennaio del 2018 hanno incontrato Pamela Mastropietro allo sbando e invece di aiutarla ne hanno abusato la faranno franca. Per loro nessun processo. Potrebbe sembrare surreale ma la giustizia ha i suoi meccanismi. Manca la querela della vittima e, in assenza, il procedimento penale va chiuso. L'archiviazione delle indagini è stata sollevata dalla stessa procura di Macerata che aveva indagato sul cinquantenne di Mogliano che aveva dato un passaggio in auto alla ragazza allora 18enne, dopo che si era allontanata dalla comunità Pars di Corridonia, dove era in cura, e sul tassista di origini argentine che l'avrebbe ospitata a casa la notte prima dell'omicidio.

Erano accusati di aver avuto intimità con la ragazza approfittando del suo «evidente stato di difficoltà» e di »'minorata difesa». Pamela, però, non li aveva denunciati. L'indomani aveva continuato la sua fuga consegnandosi inconsapevolmente al suo assassino, Innocent Oseghale, nigeriano, poi condannato all'ergastolo.

PAMELA MASTROPIETROPAMELA MASTROPIETRO
Un orrore giudiziario, una stortura, che va subito corretto secondo lo zio e legale della famiglia, l'avvocato Marco Valerio Verni: «Sostanzialmente la motivazione è il difetto di querela che, essendo maggiorenne, solo Pamela avrebbe dovuto presentare. Nessun altro, né l'amministratore di sostegno, né la nonna o un eventuale curatore speciale, avrebbe potuto farlo se non lei stessa, uccisa però in via Spalato il giorno dopo le violenze». «Eravamo preparati a questo esito - ha continuato - purtroppo la storia di mia nipote ha dimostrato di essere uno sfortunatissimo unicum».

IL GIUDICE
pamela mastropietroPAMELA MASTROPIETRO
Tra l'altro il giudice delle indagini preliminari non sembra aver affatto escluso che Pamela, quel 29 gennaio, potesse essere in condizioni di inferiorità psichica e che queste potessero essere riconoscibili da chiunque l'avesse incontrata, ma ha respinto l'ipotesi che Pamela potesse trovarsi in uno stato tale da configurare il presupposto per una eventuale omissione di soccorso. Omissione, secondo il penalista, che avrebbe, invece, potuto permettere di superare l'ostacolo tecnico sul difetto di querela per lo stupro.

Da qui la decisione di rivolgere un appello alle forze politiche affinché colmino il vuoto normativo. È a un passo dalla sentenza a Roma il processo a carico dell'ex fidanzato di Pamela, colpevole di averla avviata all'uso di droghe.

pamela mastropietroPAMELA MASTROPIETRO
Per Andrei Claudiu Nitu quel fidanzato giovane e troppo problematico, poi arrestato per aver compiuto sette rapine ai danni di ragazzini, la procura di Roma ha chiesto la condanna, in abbreviato, a sei anni e sei mesi di carcere per cessione di sostanze stupefacenti, induzione alla prostituzione e circonvenzione di incapace, proprio nei confronti di Pamela allora poco più che sedicenne. Per Pamela Mastropietro l'anticamera dell'inferno si era aperta proprio a Roma, a piazza Re di Roma. Mesi prima che venisse ritrovata nelle due valigie a Macerata.
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