venerdì 30 ottobre 2020

                                                                           VIRUS 2020


PARIGI NON VAL BENE UN LOCKDOWN – LE IMPRESSIONANTI IMMAGINI DELL’ESODO DI MASSA DALLA CAPITALE FRANCESE PRIMA DEL LOCKDOWN: MIGLIAIA DI PERSONE SI SONO MESSE IN MACCHINA SULLE ARTERIE PRINCIPALI PROVOCANDO CHILOMETRI DI CODE MENTRE ALTRE HANNO PRESO D’ASSALTO LE STAZIONI – VI RICORDA QUALCOSA? - VIDEO

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Da "www.leggo.it"

 

fuga da parigi 4FUGA DA PARIGI 4

Parigi, esodo di massa prima del lockdown. Anche ieri sera, nella notte tra giovedì 29 ottobre e venerdì 30, il traffico dei parigini in fuga dal lockdown era notevole, come si vede nel video. Un esodo di massa che ha coinvolto tutte le arterie principali di Parigi a poche ore dall’inizio del lockdown, che scatterà in Francia venerdì 30 ottobre.

 

E' stato calcolato che fossero 800 i chilometri di coda provocati dalle auto in uscita. In 300mila hanno abbandonato in queste ore la capitale della Francia scossa anche dall'attentato terroristico di matrice islamica nella chiesa di Nizza di stamani che ha provocato 3 morti.

fuga da parigi 5FUGA DA PARIGI 5

 

Inoltre stando a diversi media in tutto il territorio francese, sono ripresi i fenomeni di accaparramento di alcuni prodotti nei supermercati, una pratica che si rivelò assolutamente inutile a marzo-aprile (non ci fu penuria di alcun prodotto, contrariamente ai timori) e che sembra esserlo ancora di più in occasione del secondo lockdown. Come ormai tradizione, a ruba carta igienica, pasta, riso e farina. 

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Silvio Brusaferro (ansa)

Coronavirus, Brusaferro (Iss): "RT arrivato a 1,7. Situazione grave si passa da scenario 3 a 4"

Il presidente dell'Istituto superiore di sanità: "Servono interventi urgenti e mirati". "In molte regioni ci sono criticità e non si riesce neanche a raccogliere i dati". Sono 11 le regioni che vengono considerate a rischio elevato di una trasmissione non controllata

 3 MINUTI DI LETTURA
L'epidemia peggiora e la fotografia che fa il monitoraggio settimanale della Cabina di regia dell'Istituto superiore di sanità è preoccupante.  L'Italia è in uno scenario di tipo 3 ma in evoluzione verso il 4. L'indice Rt, che calcola la capacità di replicazione dei contati "in Italia è a 1,7, ancora in crescita  - spiega Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto -  Tutte le regioni sono sopra il valore Rt 1 e molte anche significativamente sopra, e questo è un elemento importante".

Il monitoraggio della cabina di regia racconta, per il periodo dal 19 al 25 ottobre, di numeri sempre più negativi. Addirittura in certe regioni non si riesce nemmeno a raccoglierli al meglio, proprio per l'alta circolazione del virus. Secondo gli esperti dell'Istituto superiore di sanità “11 regioni e Province autonome sono da considerare a rischio elevato di una trasmissione non controllata e 8 sono classificate a rischio moderato con probabilità elevata di progredire a rischio alto nel prossimo mese”. Del gruppo maggiormente in difficoltà fanno parte Abruzzo, Basilicata, Calabria, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Val d'Aosta, Veneto. A rischio moderato ci sono Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Molise, Umbria e nelle Province di Bolzano e Trento

In alcune regioni c'è già uno scenario compatibile con il 4, quello che in base al documento che indica le misure da prendere per prevenire e fronteggiare il Covid, per il quale è indicato il lockdown. In realtà il numero è inferiore a quello della settimana scorsa ma perché una parte delle amministrazioni locali, appunto, non hanno comunicato tutti i dati. Riguardo alla situazione nazionale, Brusaferro conferma che "è compatibile con lo scenario 3 verso lo scenario 4".

Nel testo del monitoraggio si spiega ancora: “Sono necessarie misure che favoriscano una drastica riduzione delle interazioni fisiche tra le persone e che possano alleggerire la pressione sui sistemi sanitari, comprese restrizioni di attività non essenziali e restrizioni della mobilità nonché l'attuazione della altre misure previste”, cioè quelle del documento appena citato. I cittadini sono invitati a rimanere a casa il più possibile. È “fondamentale” che lo facciano. Chi esce comunque deve fare attenzione al distanziamento, usare correttamente la mascherina e rispettare le misure igienico sanitarie. Le Regioni vengono invitate “nuovamente” ad analizzare il rischio, anche in determinate zone del loro territorio e a “considerare un tempestivo innalzamento delle misure di mitigazione nelle aree maggiormente affette in base al livello di rischio e sulla base delle linee di indirizzo” sempre del documento con il rischio.

Tra l'8 ottobre e l'1 ottobre l'Rt, il fattore di replicazione, dei casi sintomatici è stato 1,70. Nella maggior parte delle Regioni è superiore a 1,25. La Cabina di regina sottolinea che c'è stato un “peggioramento nella qualità dei dati” comunicati, sia se si valuta la tempestività che la completezza. “Questo può portare a una sottostima della velocità di trasmissione e del rischio”. Significativo è che scende la percentuale dei casi scoperti con il tracciamento. Sono solo il 19.2% del totale. Significa, come detto da più parti negli ultimi giorni, che questa attività è ormai saltata. I casi non riconducibili a catene di trasmissione note, cioè slegati dall'attività di tracing, sono ben 49.511 contro i 23.018 della settimana precedente. Aumentano anche i focolai attivi (sono 12.716 dei quali 3.573 nuovi). “Si conferma il prevalente ruolo di amplificazione dell'infezione svolto dall'ambito familiare/domiciliare (82,6% di tutti i focolai attivi), a cui si accompagnano focolai in ambito lavorativo (3,8%) e legati ad attività ricreative (2,5%)”. Sono in aumento i focolai in cui la trasmissione potrebbe essere avvenuta in scolastico (sono il 3,8% di tutti i nuovi focolai).

Per la prima volta una regione ha superato la soglia critica dell'occupazione in aree mediche, che è del 40%. Si tratta della Val d'Aosta, che ha superato il 50%. Ci sono 15 regioni che superano le soglie critiche di terapia intensiva e aree mediche nel prossimo mese.

Brusaferro ribadisce che "l’epidemia sta crescendo significativamente nel nostro Paese, mediamente l’Italia ha 280 casi per 100 mila abitanti. Tutto il Paese è coinvolta nell’epidemia, quasi tutte le regioni hanno un numero significativo di casi ed è in crescita, dove più dove meno, non c’è regione dove il numero delle infezioni non sia in crescita. L'occupazione dei posti letto "è cresciuta e la tendenza è alla crescita, questo è un altro elemento importante. Sebbene possa sembrare che ci siano ancora dei margini per il superamento delle soglie e in alcune regioni è ancora così, dobbiamo guardarlo con grande attenzione perché l’obiettivo che tutti noi abbiamo è di continuare a garantire tutti i bisogni assistenziali".

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GLI ANTICORPI AL COVID NON DURANO: DOPO POCHI MESI IL LORO LIVELLO DIMINUISCE - UN TEAM DELL'IMPERIAL COLLEGE DI LONDRA HA SCOPERTO CHE IL LIVELLO DI ANTICORPI RAGGIUNGE IL SUO PICCO DOPO CIRCA TRE SETTIMANE DALLA COMPARSA DEI SINTOMI PER POI GRADUALMENTE DIMINUIRE. TRE MESI DOPO L'INFEZIONE SOLO IL 17% DI CHI AVEVA CONTRATTO IL VIRUS MANTIENE LA STESSA POTENZA DI RISPOSTA IMMUNITARIA - MA PER IL VACCINO DOVREBBE ESSERE DIVERSO PERCHÉ…

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Silvia Turin per il “Corriere della Sera”

 

anticorpi coronavirusANTICORPI CORONAVIRUS

Un team dell' Imperial College di Londra ha scoperto che il numero di persone risultate positive agli anticorpi è diminuito del 26% tra giugno e settembre. Nel primo ciclo di test - a fine giugno - circa 60 persone su 1.000 avevano anticorpi rilevabili. Ma nell' ultima serie di test, a settembre, solo 44 persone su 1.000 erano positive. La caduta è stata maggiore negli over 65, rispetto ai gruppi di età più giovane, e in persone senza sintomi, rispetto a chi aveva avuto una malattia sintomatica.

 

Il numero di operatori sanitari con anticorpi è rimasto relativamente alto, il che, secondo i ricercatori, potrebbe essere dovuto alla regolare esposizione al virus. Alcuni studiosi commentano con allarme i risultati paventando un' immunità di breve durata che esporrebbe al rischio di contrarre il virus più volte.

 

coronavirus anticorpiCORONAVIRUS ANTICORPI

Non è la prima volta che uno studio ha rilevato questo dato: ne aveva scritto una ricerca del King' s College di Londra in cui si era visto che il livello di anticorpi raggiunge il suo picco dopo circa tre settimane dalla comparsa dei sintomi per poi gradualmente diminuire. Lo studio aveva monitorato come, tre mesi dopo l' infezione, solo il 17% di chi aveva contratto il virus mantenesse la stessa potenza di risposta immunitaria, destinata a ridursi in certi casi fino a non essere più rilevabile.

 

Gli studiosi non hanno ancora certezze su quanto gli anticorpi ci proteggeranno da nuove infezioni, ma non tutti sono pessimisti riguardo ai risultati di questi studi perché, in certa misura, è normale che gli anticorpi diminuiscano dopo la guarigione da un' infezione. Gli anticorpi scendono a livelli base non rilevabili dai test sierologici comunemente usati.

 

vaccinoVACCINO

Ad esempio, le persone con sintomi lievi o nulli possono aver prodotto meno anticorpi rispetto a quelle con malattia grave, ma anche una piccola diminuzione della quantità di anticorpi può far scendere i loro livelli al di sotto del limite di rilevamento. Se è normale che gli anticorpi diminuiscano, lo è anche che bassi livelli di anticorpi possano produrre ugualmente una risposta del sistema immunitario in caso di riesposizione al virus.

 

Per quanto riguarda i possibili vaccini le preoccupazioni sono limitate: «Un vaccino genera cellule che possono fornire una protezione duratura - hanno scritto sul New York Times Akiko Iwasaki e Ruslan Medzhitov, professori di immunobiologia all' Università di Yale -. Uno dei vantaggi rispetto alla reazione naturale è che gli antigeni del vaccino possono essere progettati per focalizzare la risposta immunitaria sul tallone d' Achille di un virus».

 

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                                                                    VIRUS 2020


Coronavirus, Arcuri: “Le Regioni potevano cominciare ad allestire ospedali a maggio e le avremmo rimborsate, lo prevede il decreto”

Coronavirus, Arcuri: “Le Regioni potevano cominciare ad allestire ospedali a maggio e le avremmo rimborsate, lo prevede il decreto”

Il commissario per l'emergenza coronavirus si difende dall'attacco arrivato riguardo all'allestimento degli ospedali Covid e le dotazioni per approntare le terapie intensive in vista della seconda ondata: "Non abbiamo un problema di affollamento delle terapie intensive - ha sottolineato - ma degli ospedali". E sui tamponi: "Dalla prossima settimana 100mila test rapidi"

Le slide con quanto previsto dal decreto, i dati snocciolati nel dettaglio, i tassi di occupazione attuali, l’annuncio che dalla prossima settimana sarà possibile arrivare a 300mila tamponi al giorno. Ma anche la preoccupazione che il sistema non regga incrementi quotidiani vertiginosi, da qui la necessità di “raffreddare” la curva. Il commissario per l’emergenza coronavirus Domenico Arcuri, prima di tutto, si difende dall’attacco arrivato da diverse Regioni sull’allestimento degli ospedali Covid e le dotazioni per approntare le terapie intensive in vista della seconda ondata. A chi imputa i ritardi a sue lentezze risponde mostrando quanto previsto dal decreto Rilancio all’articolo 2: “Potevano cominciare ad attuare i piani a maggio, e sarebbero state rimborsate”, scandisce. E puntualizza sui tempi di realizzazione, che in ogni caso, afferma “avrebbero visto la fine della realizzazione alla fine nel 2022″. Una difesa tout court a chi dice che tra fine luglio e i primi di ottobre, il tempo trascorso tra l’arrivo dei progetti e l’apertura delle gare, si sarebbero persi due mesi a causa sua.

Ma non solo. Arcuri ricorda anche che “stasera circa il 19% dei posti in terapia intensiva dei malati Covid” e “abbiamo 1.849 ventilatori pronti ad essere distribuiti”, spiega ricordando che a inizio pandemia i posti in terapia intensiva erano 5.179 e, al netto delle forniture proprie, alle Regioni ne sono stati distribuiti altri 3.309 che portano i posti letto attivabili ad oggi a 8.488, a cui – come spiegato anche dal ministro Francesco Boccia – si aggiungono i 1.849 ventilatori che saranno presto distribuiti per un totale di 10.337 posti letto complessivi da un punto di vista tecnico. Poi c’è la questione dei medici che servono per gestirli senza fermare altre attività ospedaliere, come fa notare il governatore siciliano Nello Musumeci. In ogni caso sottolinea Arcuri “se non raffreddiamo la curva, nessun sistema sanitario può tenere”.

“In Italia i contagiati il 7 ottobre erano 3.677, il 14 ottobre 7.332, il 21 15.199, ieri il 28 ottobre 24.988. La progressione dell’attuale Rt determina un raddoppio ogni settimana. Questa è la cruda realtà dei numeri, ogni numero vale più di mille parole”, ha detto ancora il commissario. “Non abbiamo un problema di affollamento delle terapie intensive – ha sottolineato – ma degli ospedali”. E si è rivolto a medici di base e pediatri di libera scelta: “Dovranno aiutarci ancora di più di quanto hanno fatto finora (somministrando i test, ndr) – ha aggiunto – Dobbiamo chiedergli di curare il più possibile a casa, dotandoli dei dispositivi di sicurezza adeguati. Dobbiamo a tutti i costi alleggerire la pressione sugli ospedali”. Quindi ha annunciato che “abbiamo in animo di aumentare ad almeno 200mila la capacità quotidiana di tamponi e da lunedì faremo almeno altri 100mila test molecolari rapidi antigenici, quindi sarà possibile uno screening di 300mila italiani”. A marzo, ha sottolineato, “facevamo 26mila tamponi al giorno, 12 volte di meno”.

“Siamo in un altro mondo, prima il virus correva più forte di noi, correva e uccideva. Ora lo inseguiamo e lo colpiamo”, ha aggiunto. Anche se i dati dell’Istituto superiore di Sanità, contenuti nell’ultimo monitoraggio settimanale, certificano che il sistema di test and tracing sia ormai saltato. “Stiamo vivendo un nuovo dramma, ma per affrontarlo dobbiamo capire quanto è diverso”, ha detto ancora Arcuri. Le misure del governo sono state definite dal commissario “la minima combinazione di azioni possibili per provare a raffreddare la curva dei contagi”. Bastano queste misure? “Io credo che serva qualche nuovo ingrediente. Innanzitutto serve quello che io chiamo un nuovo patto di responsabilità ritrovata. Serve un sacrificio ulteriore, dobbiamo tutti muoverci il meno possibile. L’80 per cento dei contagi avviene in famiglia ma qualcuno nelle case il virus ce lo porta”.


                                                                   MAFIE

i ci interessa la Regione Puglia per avere i soldi dell’agricoltura”: così il clan della mafia foggiana mirava al palazzo per avere i fondi Ue

“A noi ci interessa la Regione Puglia per avere i soldi dell’agricoltura”: così il clan della mafia foggiana mirava al palazzo per avere i fondi Ue

Nella frangia della batteria Sinesi-Francavilla, oltre a riciclare il denaro proveniente dalle attività illegali, Aldo Delli Carri aveva il compito di mantenere i rapporti col mondo della politica e con i funzionari regionali che, secondo gli inquirenti, chiudevano gli occhi nei controlli per consentire al clan di ottenere milioni di euro provenienti dall’Unione Europea: "Che me ne frega...destra, sinistra... Anto', qua devi fare i fatti tuoi"

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L'infettivologo Viale: "Non serve tenere in isolamento le persone fino al doppio tampone negativo"
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“Che me ne frega…destrasinistra… Anto’, qua devi fare i fatti tuoi!”. Aldo Delli Carri, uno degli uomini ritenuti al vertice di una frangia della Società foggiana smantellata dall’operazione “Grande Carro” eseguita dal Ros di Bari, ha le idee chiare sulla politica. Nella batteria Sinesi-Francavilla oltre a riciclare il denaro proveniente dalle attività illegali, ha il compito di mantenere i rapporti col mondo della politica e con i funzionari della Regione Puglia che chiudevano gli occhi nei controlli per consentire al clan di ottenere milioni di euro provenienti dall’Unione Europea.

Dalle indagini dei carabinieri è emerso infatti che l’organizzazione è scesa in campo almeno due volte: nel 2014 in occasione delle elezioni per l’amministrazione comunale di Foggia e nel giugno 2015 per l’elezione del Consiglio della Regione Puglia. L’esponente politico di riferimento, stando a quando si legge nelle 1178 pagine di ordinanza, è Pino Lonigro, ex consigliere di centrosinistra non riconfermato alle ultime regionali che non è indagato. Tra Lonigro e il clan, da quanto si legge nelle carte dell’inchiesta, esiste un “illecito rapporto”. Il sodalizio mafioso, scrive il gip Giuseppe De Benedictis, si attivava per “ottenere agevolazioni nell’erogazione dei finanziamenti comunitari, in materia agroalimentare, veicolati per il tramite della Regione Puglia”. E così a maggio 2014, Aldo Delli Carri raccomanda ai suoi interlocutori di votare per tale Rosario Rinaldi della lista elettorale “Lavoro e Libertà”, collegata al candidato sindaco Leonardo Di Gioia. “Don Antonio ti ricordi che domani si vota? Glielo hai detto pure a Donato e insomma in famiglia? Ti raccomando Anto’!”. Anche Rinaldi, che non figura tra gli indagati, ha un programma chiaro: “Meh, se fai tutte le presenze diciamo – spiega il candidato proprio a Delli Carri – nella normalità… il minimo sono… cinquecento euro… quattro… 500 euro al mese…si, così mi pare è una cosa del genere… ma non ce ne frega, ma noi non è il prestigio a noi sono le tangenti che ci interessano…”. Il programma però, fallisce: Rinaldi otterrà pochissime preferenze. Non è una bella figura per il gruppo, ma non è neppure una tragedia. Quello che conta, in realtà, è mantenere i rapporti con Lonigro: “A noi ci serve perché noi dipendiamo dalla Regione Puglia… noi dipendiamo da Bari – diceva Delli Carri intercettato in una Bmx X3 – Allora, questo qua sta a stretto contatto con Vendola… sta a stretto contatto… a noi ora ci serve… hai comunque la Regione Puglia che manda i soldi…poi per esempio…per esempio… no, lascia stare per il Comune… a noi del Comune c’interessa poco quanto niente! a me m’interessa la Regione Puglia… la Regione Puglia… noi c’abbiamo… arrivano i soldi… per l’agricoltura…dove stanziano un sacco di soldi…”.

E dalle attività dei militari guidati dal colonnello Alessandro Mucci, infatti, il tesoro raccolto dal clan in quegli anni supera i 13 milioni di euro. Un risultato raggiunto, secondo gli inquirenti, anche grazie alla complicità di alcuni funzionari pubblici come Cosimo SpecchiaLuigi CianciGiovanni Bozza e Giovanni Granatiero. Avrebbero sostanzialmente aiutato il clan a incassare milioni di euro attestando falsamente una serie di regolarità procedurali. Bozza, in particolare, è accusato di aver intascato mazzette: gli investigatori hanno scoperto la consegna di contanti per almeno 30mila euro, ma anche anche bonifici, cisterne di gasolio e l’uso di una automobile Hyundai.