venerdì 3 gennaio 2020

                                                         MEDIORIENTE


Soleimani, l'uomo più potente del Medio Oriente che voleva "punire" l'America

Il generale iraniano regista della riorganizzazione sciita. Dall’Afghanistan al Libano, dalla Siria all'Iraq: negli ultimi vent'anni non c'è stata operazione politica o militare nell'area che non abbia portato la sua firma
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Qassem Soleimani, 62 anni, comandava dal 1998 le forze Qudscioè le unità speciali delle guardie rivoluzionarie iraniane. Una figura leggendaria: responsabile di tutte le operazioni all’estero di Teheran e punto di riferimento strategico degli ayatollah. L’uomo che ha ridisegnato gli scenari geopolitici del Medio Oriente in favore dell’Iran. Tanto che l’ex agente Cia John Maguire lo aveva definito "la persona operativa più potente in Medio Oriente".

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Negli ultimi vent'anni Soleimani ha praticamente firmato tutte le più importanti “vittorie” militari dell’Iran. E dire che fino al tragico 11 settembre del 2001, il generale era ritenuto assai affidabile dall’Amministrazione americana, tanto da accreditarsi come il punto di riferimento Usa nella lotta ai Talebani afgani. Ma la caduta delle Torri gemelle e l’inserimento dell’Iran, da parte di George W. Bush, nel cosiddetto “asse del male” aveva cambiato radicalmente le carte in tavola e da quel giorno il pensiero fisso del generale iraniano era stato quello di infliggere colpi mortali al nemico di Washington. Ancora di più da quando il comandante in capo è diventato Donald Trump.

Il comandante dei Pasdaran ha stretto nel tempo anche un legame fortissimo con Hezbollah, il gruppo armato sciita libanese al quale ha fornito supporto, armi e soldi. Assieme a Hezbollah, Soleimani ha sostenuto Assad al potere in Siria mantenendo un fortissimo controllo a Damasco, anche grazie alle amicizie russe che al generale iraniano non sono mai mancate. Con il comando di Soleimani le truppe iraniane e irachene hanno fermato l’avanzata dell’Isis e grazie proprio a queste ultime operazioni il carisma del generale, soprattutto in patria, era cresciuto a dismisura. Tanto da consacrarsi come una vera e propria star con milioni di follower sul suo account Instagram.


Per i suoi sostenitori come per i suoi detrattori, Soleimani è stato dunque l'uomo chiave dell'influenza iraniana in Medio Oriente, dove ha rafforzato il peso diplomatico di Teheran, in particolare in Iraq e Siria, due Paesi nei quali gli Stati Uniti sono impegnati militarmente. "Per gli sciiti in Medio Oriente, è un mix di James Bond, Erwin Rommel e Lady Gaga", ha scritto l'ex analista della CIA Kenneth Pollack nel suo ritratto di Soleimani per la rivista americana Time dedicata alle 100 le persone più influenti al mondo nel 2017. E quest'anno The Times l'aveva inserito tra i 20 personaggi potenzialmente protagonisti del 2020.

Per l'Occidente, era responsabile di aver esportato la Rivoluzione islamica dall'Iran e di aver sostenuto i terroristi. Nell’Iran in piena crisi economica era invece considerato un eroe e tanti gli avevano suggerito di lanciarsi sulla scena politica. Ma il generale iraniano, fino a qualche settimana fa, aveva continuato a respingere le voci secondo cui avrebbe potuto candidarsi alle elezioni presidenziali del 2021.

Un alto funzionario iracheno, qualche tempo fa, lo aveva descritto come un uomo calmo e loquace. "È seduto dall'altra parte della stanza, da solo, con molta calma. Non parla, non commenta: ascolta soltanto", aveva detto all'inviato del New Yorker. Secondo uno studio pubblicato nel 2018 da IranPoll e dall'Università del Maryland, l'83% degli iraniani intervistati aveva un'opinione favorevole di Soleimani, superiore persino a quella del presidente Rohani e a quella del capo della diplomazia Zarif. La sua corsa è finita nella notte a due passi dall’aeroporto di Bagdad.

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