Un impegno solenne a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto a sua conoscenza. Con tutti i rischi che questo comporta. Oppure il silenzio dopo aver pronunciato sette parole: “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere“. È quest’ultima, salvo colpi di scena, la scelta che farà il più eccellente di tutti i testimoni. Berlusconi Silvio, nato a Milano il 26 settembre 1936, è il teste atteso oggi dalla corte d’Assise d’Appello di Palermo che sta celebrando il processo di secondo grado sulla cosiddetta Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. Un appuntamento dall’alto valore simbolico. Dopo venticinque anni di indagini e processi sui legami tra la mafia e il suo braccio destro, Marcello Dell’Utri, dopo inchieste complicate e finora sempre archiviate sulla presunta presenza del Caimano tra i mandanti a volto coperto delle stragiBerlusconi è stato alla fine costretto a volare a nel capoluogo siciliano. Fino a oggi era sempre riuscito a evitarlo, riuscendo a farsi interrogare – quando si discuteva di mafia e stragi – lontano dai riflettori di un’udienza pubblica e dalla città che ha dato i natali all’amico Marcello. Ma anche a Vittorio Mangano, il boss di Porta Nuova arruolato come stalliere di Arcore nel 1974.

Se il Caimano sta in silenzio – Questa volta, invece, l’ex cavaliere è stato costretto a venire in Sicilia, la terra che un tempo gli regalava un massiccio sostegno elettorale. Qui entrerà in un luogo simbolo della lotta a Cosa nostra, l’aula bunker del carcere Ucciardone, l’astronave verde costruita per il Maxiprocesso di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, si accomoderà davanti al giudice Angelo Pellino e – con tutta probabilità -formalizzerà il suo silenzio. Il quattro volte capo del governo, già cavaliere e leader di quello che un tempo fu il primo partito del Paese, sembra intenzionato a non rispondere su alcuni dei fatti più misteriosi della storia recente d’Italia. Fatti che lo riguardano direttamente visto che lo stesso Berlusconi è indagato per le stragi del 1993 a RomaMilano e Firenze, per l’attentato in via Fauro a Maurizio Costanzo e per quello del 1994 a Formello al pentito Salvatore Contorno.

Se parla non potrà mentire – Quell’indagine aperta due anni fa dalla procura del capoluogo toscano è lo “scudo” che gli consente di avvalersi della facoltà di non rispondere. I suoi avvocati, Franco Coppi e Niccolò Ghedini, hanno preferito farsi certificare dall’ufficio inquirente di Firenze i gravissimi sospetti avanzati nei confronti dell’ex premier che rischiare di farlo deporre come semplice testimone obbligato a rispondere e a dire la verità. Berlusconi, infatti, è indagato per le stragi del 1993, fatti connessi a quelli oggetto del processo. La corte gli ha riconosciuto lo status di teste assistito: sarà accompagnato dai suoi difensori e potrà restare in silenzio per evitare di dovere rispondere a eventuali domande che comporterebbero dichiarazioni auto-indizianti. Se invece il leader di Forza Italia dovesse decidere di rispondere non potrà mentire, senza rischiare un’imputazione per falsa testimonianza.
Non difenderà l’amico Marcello – In questo modo, però, non potrà difendere l’amico di una vita: Marcello Dell’Utri, accusato di essersi fatto portatore della minaccia di Cosa nostra al primo governo Berlusconi nel 1994. Con questa accusa – prevista dell’articolo 338 del codice di procedura pensale – l’ex senatore di Forza Italia è stato condannato in primo grado il 20 aprile del 2018 a dodici anni di carcere. È per questo motivo, per provare a evitare una condanna anche in secondo grado, che Dell’Utri ha chiamato l’amico Berlusconi. L’ex senatore in questi giorni sta finendo di scontare la pena a sette anni di carcere per concorso esterno a Cosa nostra: ora che ha riacquistato la libertà vorrebbe mantenerla. Dell’Utri, infatti, ha 78 anni: se la condanna per la Trattativa dovesse diventare definitiva rischierebbe di finire la sua vita agli arresti domiciliari.

Dell’Utri cinghia di trasmissione tra B e la mafia – È per questo motivo che l’avvocato Francesco Centonze, difensore del fondatore di Forza Italia, ha deciso di citare l’ex presidente del consiglio, guida di un governo che nelle motivazioni della sentenza di primo grado è indicato come “vittima” della minaccia stragista di Cosa nostra. Di questo è accusato Dell’Utri: di aver fatto da “cinghia di trasmissione” delle intimidazioni dei boss mafiosi da Palermo a Palazzo Chigi. Solo che Berlusconi, parte lesa del suo storico braccio destro, non è non è mai stato sentito in aula durante il processo sulla Trattativa, né in fase d’indagine. Una circostanza che secondo l’avvocato Centonze andava “sanata” essendo l’esame di Berlusconi “una logica conseguenza dalla qualifica di persona offesa attribuita al medesimo nella sentenza impugnata in quanto destinatario finale della pressione o dei tentativi di pressione di Cosa nostra”.
Lo sfogo di lady Dell’Utri – Insomma: la speranza di Dell’Utri è quella di essere scagionato in aula dall’amico Silvio. Una frase tipo: “Marcello è una persona perbene che non mi ha mai condotto alcuna minaccia da parte di Cosa nostra“. Difficile. Perché se risponde e mente, Berlusconi rischia di finire nei guai. E infatti dopo essere stato citato una prima volta, l’ex premier aveva fatto sapere di avere impegni istituzionali legati alla sua carica di parlamentare europeo. Una decisione che aveva provocato la rabbia di Miranda Ratti, moglie di Dell’Utri: “Qui c’è la vita di Marcello in gioco, è meglio che non parlo, che non dico quello che penso”, erano state le parole usate dalla donna per commentare il tentativo di Berlusconi di sottrarsi al processo.

Cosa c’è scritto nella sentenza di primo grado – In un primo momento si era ipotizzato che Berlusconi avesse potuto chiarire fatti diversi da quelli che gli vengono contestati dalla procura di Firenze: quelli cioè ricostruiti nelle 5252 pagine delle motivazioni della sentenza di primo grado della Trattativa. “Se pure non vi è prova diretta dell’inoltro della minaccia mafiosa da Dell’Utri a Berlusconi, perché solo loro sanno i contenuti dei loro colloqui, ci sono ragioni logico-fattuali che inducono a non dubitare che Dell’Utri abbia riferito a Berlusconi quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporti con l’associazione mafiosa Cosa nostra mediati da Vittorio Mangano“, scrisse la corte d’assise. L’ex senatore, secondo i giudici, avrebbe svolto con continuità almeno fino al 1994 il ruolo di intermediario tra interessi di Cosa nostra e quelli di Berlusconi e ciò sarebbe dimostrato dall’esborso di ingenti somme di denaro da parte delle società di Arcore in direzione Cosa nostra anche quando Berlusconi sedeva già a Palazzo Chigi. “Si ha la conferma – prosegue la sentenza – che sino alla predetta data Dell’Utri, che faceva da intermediario di Cosa nostra per i pagamenti, riferiva a Berlusconi riguardo ai rapporti coi mafiosi ottenendone le necessarie somme di denaro e l’autorizzazione a versarle a Cosa nostra“. Soldi e pressioni legavano Dell’Utri, Cosa nostra e Berlusconi fino al 1994. Poi, con la vittoria di Forza Italia, Cosa nostra beneficia anche di altro: leggi per avere impunità. “Vi è la prova che Dell’Utri interloquiva con Berlusconi anche al riguardo al denaro da versare ai mafiosi ancora nello stesso periodo temporale nel quale incontrava Mangano per le problematiche relative alle iniziative legislative che i mafiosi si attendevano dal governo”. Il riferimento è al tentativo di abolire l’arresto in flagranza di reato per i mafiosi, grazie a una legge ignota ai ministri ma anticipata da Dell’Utri a Mangano. “Ciò dimostra – prosegue la corte d’assise – che Dell’Utri informava Berlusconi dei suoi rapporti con i clan anche dopo l’insediamento del governo da lui presieduto, perché solo Berlusconi, da premier, avrebbe potuto autorizzare un intervento legislativo come quello tentato e riferirne a Dell’Utri per tranquillizzare i suoi interlocutori“.
Le accuse, le stragi e gli altri “non rispondo” – Su tutto questo Berlusconi può non dire una parola. Dopo aver ricevuto la documentazione proveniente dalla procura di Firenze, il giudice Pellino ha considerato Berlusconi teste indagato di reato connesso, garantendogli automaticamente la possibilità di non rispondere alle domande. Le accuse sono note: insieme a Dell’Utri, il leader di Forza Italia è sospettato di essere tra i mandanti occulti delle stragi del 1993 (a Milano in via Palestro, Firenze in via dei Georgofili e Roma in via Fauro) e degli attentati falliti del 1994 (a Formello contro Contorno e allo stadio Olimpico contro i bus dei carabinieri). Già in passato Berlusconi e Dell’Utri erano stati indagati per gli stessi fatti sia a Firenze (con i nomi in codice di autore 1 e autore 2) e a Caltanissetta (erano rispettivamente alfa e omega). Due anni fa il capoluogo toscano ha dovuto riaprire l’inchiesta dopo le intercettazioni di Giuseppe Graviano, che in carcere sembra tirare in ballo l’ex premier proprio a proposito delle stragi. I legali di Berlusconi sono riusciti a ottenere una documentazione che certifica le 23 contestazioni verso il suo cliente. Contestazione che secondo rumors giudiziari sono a un passo dall’ennesima archiviazione. In questo modo, però, i legali di Berlusconi riusciranno a proteggerlo con la possibilità di avvalersi della facoltà di non rispondere. Un jolly che l’ex premier si è giocato già in passato: nel 2002, quando i giudici del processo a Dell’Utri lo andarono a sentire a Palazzo Chigi. Dieci anni dopo, invece, l’ex cavaliere decise di rispondere alle domande della procura di Palermo che indagavano su una presunta estorsione da 40 milioni subita sempre dallo stesso Dell’Utri. Un’interrogatorio che poi finì nel nulla visto che l’indagine passò a Milano per competenza, prima di essere archiviata. Adesso, invece, Berlusconi Silvio è chiamato a sedersi sul banco dei testimoni. Probabilmente non risponderà. Ma se a sorpresa dovesse deciderlo di farlo, deve prima giurare di dire la verità. Tutta la verità.