Al momento dell’introduzione del bail-in, la normativa che impone di gestire la risoluzione delle banche in crisi senza far gravare i costi dei salvataggi sulle casse pubbliche, in Italia “erano tutti contrari, anche la Banca d’Italia in modo discreto si oppose. Il ministro di allora era Saccomanni che fu praticamente ricattatodal ministro delle Finanze tedesco”, all’epoca Wolfgang Schaeuble, con la minaccia che se l’Italia non avesse accettato il nuovo sistema “si sarebbe diffusa la notizia che il nostro sistema bancario era prossimo al fallimento“. Lo ha detto il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, rispondendo alle domande della commissione Finanze del Senato.
Tria: "Saccomanni fu praticamente ricattato da ministro finanze tedesco su Bail-In"
di Agenzia Vista
Volume 90%
di Agenzia Vista
Tria ha spiegato di aver letto alcune dichiarazioni dell’ex ministro dell’Economia al riguardo e di condividere sul bail in “l’opinione di Patuelli“, il presidente dell’Abi che ha definito la norma desueta, chiedendone l’abrogazione. “Condivido il fatto che dovrebbe essere abolito“, ha sottolineato il ministro, ma “non prevedo che in tempi brevi possa essere abolito o che ci sia una convergenza tale che si possa arrivare, almeno per ora e non so se in futuro, all’abolizione”, ha precisato.
Saccomanni disse che l’Italia era in minoranza – Fabrizio Saccomanni, che era ministro del Tesoro durante il governo Letta quando l’Ecofin raggiunse un accordo sul meccanismo di “fallimento ordinato” degli istituti, in audizione davanti alla commissione parlamentare di inchiesta sulle banche ha raccontato che l’Italia era a favore del bail su specifiche passività delle banche e non su quello “allargato” che poi è stato adottato. Ma il negoziato, ha detto, “si è svolto in condizioni di urgenza, si doveva chiudere l’unione bancaria entro fine 2013 perché il Parlamento concludeva il mandato” e “non c’era nessun veto possibile su quella materia, la presidenza di turno prese atto dei commenti fatti e l’Italia rimase in netta minoranza“. Un gruppo di paesi, con la Germania capofila, “era vincolato a portare avanti la linea di severità con il coinvolgimento dei creditori delle banche facendo un’artificiosa distinzione tra i contribuenti e i risparmiatori, volete salvare i primi e coinvolgere i secondi ma le due figure spesso coincidono”. Il governatore di Bankitalia Ignazio Visco nel 2017 ha ricordato che via Nazionale all’epoca manifestò perplessità “ma non fummo ascoltati. Rendemmo poi pubblica la sostanza delle nostre riserve in un riquadro del rapporto sulla stabilità finanziaria del novembre di quell’anno”.“Ritardi nei rimborsi ai risparmiatori a causa delle modifiche del parlamento” – Restando sulle conseguenze delle nuove norme, Tria ha parlato del ritardo nel varo del decreto sui rimborsi ai risparmiatori “azzerati” dai crac bancari degli ultimi anni. “Nella formulazione originaria” presentata dal governo, ha rimarcato, “i risparmiatori sarebbero già nella fase in cui vengono pagati”. Invece le modifiche approvate dal parlamento, “che hanno creato una serie di interrogativi sul rispetto delle norme comunitarie, hanno provocato qualche ritardo”. Dall’Europa è arrivata “una richiesta di informazioni su una serie di punti, a cui abbiamo preparato una risposta in difesa della legge, con un’interpretazione che consenta di non violare le norme comunitarie”. Secondo le normative Ue, l’accertamento di una vendita fraudolenta deve essere operato da un tribunale o da un arbitrato indipendente, ma la legge di Bilancio non lo prevede, concedendo invece ai risparmiatori la possibilità di fare una semplice richiesta al Mef, che poi invierebbe la domanda a una commissione giudicante. Per evitare una sanzione da Bruxelles, il Mef ha deciso di rinviare il via libera al decreto. Così, nonostante gli annunci di martedì sera, nulla è giunto questa mattina in consiglio dei ministri.

PRIMA DI CONTINUARE

Se sei qui è evidente che apprezzi il nostro giornalismo. Come sai un numero sempre più grande di persone legge Ilfattoquotidiano.it senza dover pagare nulla. L’abbiamo deciso perché siamo convinti che tutti i cittadini debbano poter ricevere un’informazione libera ed indipendente.
Purtroppo il tipo di giornalismo che cerchiamo di offrirti richiede tempo e molto denaro. I ricavi della pubblicità ci aiutano a pagare tutti i collaboratori necessari per garantire sempre lo standard di informazione che amiamo, ma non sono sufficienti per coprire i costi de ilfattoquotidiano.it.
Se ci leggi e ti piace quello che leggi puoi aiutarci a continuare il nostro lavoro per il prezzo di un cappuccino alla settimana.
Grazie,
Peter Gomez
×
Your Online Choices Logo