Sono tornati a casa di Bruno Contrada per perquisirla. E questa volta gli investigatori della Dia cercano elementi utili all’inchiesta sull’omicidio dell’agente Nino Agostino, ucciso assieme alla moglie Ida a Villagrazia di Carini, nel 1989. A ordinare la perquisizione nell’abitazione dell’ex numero due del Sisde è stata la procura generale di Palermo, cha ha avocato l’indagine sul delitto del poliziotto dopo la richiesta di archiviazione presentata dai pm del capoluogo.
Per l’omicidio sono iscritti nel registro degli indagati i boss Antonino Madonia e Gaetano Scotto. Del fascicolo sono titolari il procuratore generale Roberto Scarpinato e i sostituti Domenico Gozzo e Umberto De GiglioNel marzo scorso i magistrati avevano disposto accertamenti su una calibro 38 trovata in un arsenale della mafia in contrada Giambascio, a San Giuseppe Jato, nel 1996. Tra fucili, mitragliatori, munizioni, mine anticarro e congegni elettrici del boss Giovanni Brusca, venne sequestrata una pistola che ha attirato l’interesse degli inquirenti. L’arma, che i boss hanno cercato di alterare e che è stata danneggiata, verrà esaminata dai consulenti della procura generale, da quelli dei due indagati per il delitto, e dal perito del gip. Gli accertamenti, che dovranno valutare se c’è compatibilità tra la calibro 38 ritrovata e la pistola usata dai killer, verranno svolti nel corso di un incidente probatorio il 18 luglio.

Nel frattempo gli investigatori sono andati a casa di Contrada dove hanno sequestrato due album di foto del periodo in cui il poliziotto era capo della Mobile di Palermo, alcune carte processuali relative al processo dell’ex 007 e un suo memorandum con alcuni appunti sul delitto Agostino. “Contrada non è indagato”, ha detto il suo legale Stefano Giordano. Le perquisizioni proseguiranno anche in altri due immobili di proprietà dell’ex superpoliziotti, uno in via dei Cantieri, a Palermo, e un villino a Carini.
“Questa è una persecuzione giudiziaria che va avanti da anni. Attendiamo che finisca, ma è evidente che a un anno dalla sentenza della Cassazione, che ha revocato la condanna di Contrada, qualcuno ha dimenticato che il mio assistito è e rimane un uomo innocente e incensurato”, ha detto l’avvocato Stefano Giordanocommentando la perquisizione in casa del suo assistito. Contrada venne condannato per concorso in associazione mafiosa a dieci anni. Dopo un tentativo di revisione dichiarato inammissibile, si è rivolto alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. E nel 2015 i giudici, con una sentenza che ha fatto discutere, hanno condannato l’Italia a risarcire il funzionario, nel frattempo radiato dalla polizia, sostenendo che non andava processato nè condannato. Questo perché il reato di concorso in associazione mafiosa ha assunto una dimensione chiara e precisa solo con la sentenza Demitry, del 1994. E Contrada era finito davanti ai giudici per fatti precedenti a quella data. Uno spunto, quello della pronuncia della Cedu, che Giordano ha usato per chiedere, tramite un incidente di esecuzione, la revoca della condanna. Ma la Corte d’appello di Palermo giudicò il ricorso inammissibile e la partita sembrava chiusa. Fino a quando, un anno fa, la Cassazione ha annullato senza rinvio la decisione dell’appello revocando la condanna e privando il verdetto della eseguibilità e degli effetti penali. Come l’interdizione dai pubblici uffici.
Antonino Agostino era un poliziotto in servizio alle volanti del commissariato San Lorenzo. Lo stesso commissariato al quale era stata affidata la vigilanza della villa dell’Addaura dove soggiornava Giovanni Falcone nel periodo del fallito attentato, scoperto il 21 giugno 1989, poche settimane prima dell’omicidio di Agostino e della moglie. Alla veglia funebre della giovane coppia, in base ai ricordi del padre di Agostino, Vincenzo, Falcone disse che doveva la vita al figlio. Secondo il commissario Saverio Montalbano, dirigente del commissariato di San Lorenzo, il giudice poi morto a Capaci gli disse che “quest’omicidio è stato commesso contro di me e contro di te”. E per attentare alla vita del magistrato, nel giugno del 1989, furono usati candelotti di Brixia B5, come quelli rinvenuti a San Giuseppe Jato, nella tenuta di Brusca. Che, ricorda la sentenza della Corte d’assise di Firenze sulla strage del Rapido 904, disse: “Quando non si otteneva il risultato [di aggiustare processi o piegare giudici e pubblici ufficiali], si andava per le vie criminali, [uccidendo] magistrati o chi non si metteva a disposizione”.
Solo anni dopo l’omicidio i collaboratori di giustizia fecero il nome dei presunti autori materiali, Scotto e Madonia, che avrebbero agito con la complicità di un ex agente di pubblica sicurezza morto nell’agosto 2017: era Giovanni Aiello, conosciuto anche come “faccia da mostro“, accusato per anni di essere in realtà un killer con il tesserino dei servizi in tasca al servizio delle cosche.